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Questa è una delle ultime fic che ho scritto nella vecchia versione. Spero vi piaccia ancora (ora che l'ho revisionata).
Pensavo quasi di ampliarlo e proseguirlo oltre, ma ho iniziato una fic intera basata su questo concept e non l'ho ancora finita quindi nulla lol, che da scrivere ne ho già abbastanza.
Enjoy

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Categoria: Crossover con Avatar: The Last Airbender
Protagonisti: Mik e Lux
Trigger/Content warning: Prigionia, tortura, tentato soffocamento, genocidio (menzione)

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I dominatori dell'aria vivevano in libertà. Amavano volare liberi nel cielo e non essere costretti in qualunque modo.

Costringere in catene un dominatore dell'aria era togliergli la libertà, ed era il motivo per cui Mikhail era così furioso e difficile da fermare. Persino con le mani legate dietro la schiena e dei pesi alle caviglie, nessuno dei soldati dominatori della terra riusciva a raggiungerlo: continuava a soffiare in ogni direzione, buttando giù muri, pietre, e facendo volare via le guardie stesse.

Gli altri dominatori dell'aria erano stati presi con facilità: non professavano la violenza e si erano arresi. Nemmeno Mikhail professava la violenza, ma non voleva neanche finire in catene in una cella.

I soldati si stancarono di combatterlo singolarmente e lo attaccarono tutti insieme, lanciandogli contro quattro muri e tirando una pietra dall'alto per rinchiuderlo in una sorta di scatola. Mikhail non ebbe tempo di riprendere fiato: non poteva vedere da dove avrebbero colpito, non poteva percepire grazie alle correnti d'aria i nemici alle sue spalle, così non poté fare nulla quando un soldato riuscì ad andargli alle spalle e ad imbavagliarlo. Tolta quell'ultima forma di resistenza, i muri caddero e la pietra frantumata prima che uccidesse il prigioniero e il soldato.

Tutti i dominatori erano stati caricati su mezzi corazzati diretti ad un campo di prigionia. Mikhail non venne messo con loro, ma venne buttato su un altro mezzo corazzato, controllato a vista da non meno di dieci soldati sebbene fosse ormai inerme.

Come scoprì in seguito, era stato bollato come un nemico giurato del Regno della Terra, e in quanto tale c'era un campo apposta per lui.

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Far entrare Mikhail nel campo di lavoro si rivelò per i soldati più complesso del previsto, e avevano già previsto il peggio. Persino senza poter usare il dominio il giovane era un osso duro da tener fermo: nemmeno con quattro uomini a sorreggerlo fu semplice trasportarlo fin dentro la caserma.

I prigionieri avevano una divisa verde scuro da indossare, composta da maglietta verde e pantaloni color sabbia. Mikhail non aveva l'intenzione di lasciarsi vestire tanto facilmente: ci vollero cinque guardie per tenerlo fermo, mentre altre due si occuparono di fare a pezzi i suoi vecchi vestiti e sostituirli con i nuovi. Fu più semplice fargli indossare i pantaloni rispetto alla maglia: non riuscendo a tenerlo fermo a sufficienza, una delle guardie addette alle punizioni gli aveva rifilato cinque frustate, minacciando di colpirlo nuovamente se si fosse ribellato. Il dominatore aveva lanciato un'occhiata infuocata, ma stavolta aveva lasciato che le guardie lo privassero delle manette, gli mettessero la maglia e gli mettessero nuovamente le manette, stavolta legando i polsi davanti a lui.

Dopodiché Mikhail fu trascinato davanti a quello che doveva essere il capo del campo e buttato in ginocchio. Il silenzio venne presto riempito dai suoi rapidi respiri dovuti alla fatica, all'adrenalina e al dolore: non potendo usare la bocca per far entrare più aria nei polmoni, doveva per forza respirare dal naso e aumentare il ritmo.

Non vide il capo del campo, non subito; semplicemente, a un certo punto qualcosa di rosso entrò nel suo campo visivo e si appoggiò al suo avambraccio. Mikhail gemette attraverso il bavaglio mentre il metalo rovente gli bruciava la pelle fino ad imprimergli nella carne un numero.

L'uomo si fece avanti appena l'oggetto lasciò il suo braccio, facendo dondolare l'attrezzo in una mano.

«Dunque, questo è il giovane dominatore dell'aria che vi ha dato tanto filo da torcere?» chiese ai due soldati che lo stavano tenendo in ginocchio, le mani su spalle e braccia. Mikhail tentò di scrollarsi le loro mani di dosso: odiava non potersi alzare ma odiava ancora di più essere toccato senza permesso.

«Lo ha visto anche lei, signore. Non è stato facile cambiarlo e non lo è stato neanche mettergli le catene.»

«Privare un dominatore dell'aria della sua libertà è come tagliare le ali ad un uccello: bisogna essere tenaci per riuscirci. Avete farro un ottimo lavoro. Lo avete imbavagliato per il suo dominio, vero?»

«Sissignore.»

L'uomo, alto e con una lunga barba nera, annuì e guardò Mikhail, che lo stava osservando con uno sguardo furioso. «Meglio mandare subito al lavoro il ragazzino. Aspettatemi fuori, dopo passo a darvi il compenso.»

Il dominatore sentì le mani che aveva addosso lasciarlo andare, dei passi allontanarsi e una porta chiudersi dietro di lui. A quel punto l'uomo parlò: «Se sei qui, vuol dire che sei ritenuto un pericolo per noi, un pericolo pari a quello costituito da un dominatore del fuoco. Io ti avviso, ragazzino: non ti conviene fare cazzate. In questo campo non ci facciamo scrupoli ad usare ogni forma di tortura, non ci facciamo scrupoli a tenere le persone incatenate ad un muro, e non ci facciamo nemmeno scrupoli a lasciarle senza mangiare.»

Si avvicinò a lui, andandogli davanti. «Questo vuol dire che io ora ti tolgo il bavaglio, e se provi a soffiarmi contro te ne metterò uno apposito di metallo con cui non potrai neanche muovere la lingua e te lo terrai fino a domani. Hai capito?»

Mikhail assottigliò lo sguardo. Quando non rispose, l'uomo lo afferrò per i capelli e glieli tirò, facendolo grugnire di dolore. «Hai capito, moccioso?»

Mikhail fece un secco gesto affermativo. Il capo gli mollò i capelli e gli tolse il bavaglio improvvisato, e il dominatore dovette ricorrere a tutta la sua forza di volontà per non sbatterlo contro al muro con un soffio.

«Questo discorso vale con tutte le guardie. Il lavoro qua dentro è duro e ti assicuro che saltare due o tre pasti può fare la differenza tra la vita e la morte, quindi ti conviene tenere a bada il tuo dominio. La notte dormirai nella stessa cella con la persona al cui fianco lavorerai ogni giorno, e noi non alzeremo un dito se te la dovessi inimicare e dovesse ucciderti, quindi ti suggerisco di startene buono. Oh, naturalmente le catene le terrai su sempre, non vogliamo certo vederti volare via. Te le toglieranno le guardie di sera. Forse. Non entrambe quelle che indossi, comunque.»

Lo scrutò. «Spero ti sia tutto chiaro.»

Mikhail non fece alcun movimento, rimase semplicemente zitto a guardarlo, mordendosi la lingua per non rispondergli. Quando lo vede allungare di nuovo una mano verso di lui, fece un unico cenno affermativo.

«Bene. D'ora in poi non avrai più nome, sarai il numero 501 e basta.» scandì, poi lo prese per il braccio sano e lo tirò in piedi.

Mik venne trascinato dentro il campo, facendo fatica a tenere il passo a causa delle catene. Vide decine di prigionieri in catene come lui che indossavano la stessa divisa, tutti che lavoravano.

«Il tuo compagno sarà il numero 773.» disse l'uomo. «Ha soffocato con le sue catene il vecchio compagno di stanza. Vi troverete bene insieme.»

Infine venne portato davanti alla parete rocciosa del monte sotto cui era stato costruito il campo. C'era una guardia lì e quello che doveva essere il numero 773.

Era un ragazzo che doveva avere la sua età, dai capelli castani e la pelle abbronzata. Al contrario degli altri prigionieri, le catene che gli cingevano polsi e caviglie erano collegati a una palla di ferro dall'aria pesante.

«Ehi, moccioso. Eccoti il tuo nuovo compagno di cella.» disse il capo ridendo. Spinse Mikhail in avanti, poi disse alla guardia: «Tutto tuo.»

La guardia fece un ghigno, poi prese un piccole e glielo ficcò tra le mani, poi indicò la parete e disse: «In questa parete ci dovrà essere un buco. Mettiti al lavoro.»

«Siete dominatori della terra, ve lo potete fare da soli.» affermò stizzito Mikhail.

Persino sopra la maglia scura, la frustata che la guardia gli tirò fu dolorosa.

«Hai detto qualcosa, cinque-zero-uno?» chiese l'uomo, la frusta che oscillava tra le sue mani.

Mikhail esitò un momento prima di scuotere il capo e di mettersi al lavoro.

Era un lavoro faticoso, scoprì presto, e peggiorò quando il sole spuntò dalle nubi che avevano accompagnato il suo arrivo, rendendo la terra rovente e il caldo insopportabile.

La guardia presto se ne andò per prendere qualcosa con cui proteggersi dal sole, lasciando i due nuovi compagni da soli.

Il ragazzo al suo fianco non aveva aperto bocca nelle due ore abbondanti in cui avevano lavorato. Ora che la guardia era andata via, il biondo si azzardò a sussurrare: «Ma è sempre così qui?»

Il ragazzo girò il volto verso di lui, fermandosi un istante. Solo così Mikhail notò con stupore che aveva un occhio marrone e uno azzurro ghiaccio.

«Sì. Se ti serve conforto, da noi il sole va via prima, quindi non cuoceremo come aragoste fino a stasera. Dovremo solo lavorare.»

Mikhail fece un respiro profondo e chiese: «Possiamo azzardarci a fare una pausa?»

«Chi fa una pausa senza permesso, persino in assenza delle guardie, viene punito. A te la devisione.»

Mikhail sbuffò irritato e riprese a picconare. La guardia tornò poco dopo, sorridendo compiaciuta nel vederli a lavoro.

La pausa pranzo arrivò due ore dopo e durava un'ora soltanto. Il pranzo consisteva in una scodella di poltiglia biancastra che fece arricciare il naso al biondo appena la guardia gliela ficcò tra le mani.

Non sapeva cosa fosse e preferì non chiederlo, dal momento che rimase insistentemente incollata alla sua scodella anche quando la girò a faccia in giù: imitando il suo compagno, si tappò il naso e mandò giù tutto cucchiaiata dopo cucchiaiata, senza soffermarsi su odore, sapore o consistenza.

La guardia ritirò i loro piatti appena ebbero concluso e disse: «Se devi farla, approfitta dei cespugli là dietro.»

Mikhail arricciò il naso anche a quello, ma ritenne saggio non dire ciò che pensava. Semplicemente attese che la guardia se ne andasse e si svuotò lì la vescica, subito imitato dal suo compagno.

Quando tornò al suo posto, venne informato che mancavano ancora quaranta minuti di tempo prima di riprendere il lavoro, che sarebbe poi durato fino alle sette di sera almeno. Voleva dire sei ore di lavoro ininterrotte dopo pranzo, calcolò, e con solo quella sbobba collosa in pancia.

Il suo compagno appoggiò la schiena e la testa contro la parete scavata e chiuse gli occhi. Non fece altro che quello, lasciando interdetto il biondo.

Appena la guardia li lasciò di nuovo, chiese: «C'è almeno una pausa pomeridiana?»

«Credo non ti sia chiaro il concetto di "campo di lavoro". No, niente pausa pomeridiana, c'è tempo di riposare dopo cena e stanotte. Fidati, sarai così stanco che ti addormenterai appena toccherai la lastra di pietra.» rispose il moro tenendo gli occhi chiusi.

Almeno a quella ci era già abituato.

Fissò ancora un momento il compagno di lavoro e chiese: «Come ti chiami?»

Il moro aprì gli occhi e gli mostrò il numero impresso a fuoco sul suo braccio.

«Pensavo ad un nome vero.» disse Mikhail guardando il numero con disgusto.

«I nomi veri li usi fuori di qui. Qua dentro sei solo un numero.»

«Io non sono solo un numero.»

Il moro gli lanciò un'occhiata come di chi aveva già sentito quella frase, ma non commentò.

Mikhail sospirò, poi disse: «Io sono Mikhail. O Mik.»

Il ragazzo lo osservò un lungo momento, poi rispose: «Luxifer, o Lux.»

«Da che regno vieni?»

«Nazione del Fuoco.»

Un lungo silenzio calò su di loro. I Nomadi dell'Aria non erano stati i primi ad essere stati presi di mira dal Regno della Terra: il primo territorio che avevano sottomesso e conquistato era stata la Nazione del Fuoco. Mik ricordava le notizie del genocidio dei dominatori del fuoco, della razzia compita, della distruzione che avevano causato.

Un tempo era stata la Nazione del Fuoco a far paura ai bambini; nessuno aveva visto chi era il vero nemico finché non era stato troppo tardi.

«Mi dispiace.»

Lux fece un semplice cenno, poi la guardia tornò e nessuno dei due disse altro finché non riprese il turno.

Fortunatamente il sole lasciò le loro pelli a metà pomeriggio, smettendo di tormentare Mik con il suo calore asfissiante. La stanchezza si era fatta sentire dopo una sola ora mattutina, era di per sé incredibile che dopo sette riuscisse ancora a muoversi.

Mancava appena un'ora di lavoro quando una picconata di Lux fece crepare la parete. Persino Mik si fermò, osservando la crepa salire fino in cima e diramarsi.

Un pezzo di parete si staccò e cadde verso di loro. Il dominatore dell'aria era esausto, ma prese comunque un bel respiro e soffiò, bloccando le pietre e deviandole a fatica alla sua sinistra, verso i cespugli. Appena esse caddero lì, il giovane cadde a terra a sua volta, sentendosi prosciugato.

Scoprì che la guardia era fuggita quando tornò con il capo del campo, e bastò un'occhiata alle pietre spostate e ai due ragazzi vivi per capire cosa fosse successo.

Neanche il tempo di un respiro e Mik si ritrovò tenuto fermo da due guardie mentre il capo gli metteva addosso il bavaglio di metallo che aveva menzionato quella stessa mattina. Si trattava di una maschera di metallo bloccata con un lucchetto perché nessuno la potesse togliere e una barra di ferro in corrispondenza della bocca per impedirgli di parlare.

Lux non lo difese. Non fece nulla, lasciando il biondo da solo a capire il suo posto là dentro.

-

Bastarono un paio di settimane a rendere più mansueto Mikhail, numero 501. Un paio di settimane a capire come funzionava realmente quel luogo, a non cercare di salvarsi la vita "se la terra decide altrimenti", a limitarsi a fare il suo lavoro. La routine divenne una, semplice e costante: colazione dalle sette alle otto, lavoro dalle otto alle dodici, pausa pranzo dalle dodici alle tredici, lavoro dalle tredici alle diciannove, cena fino alle venti e poi a letto.

Era una routine devastante, eppure riuscì a tenersi vivo e integro. Non provò più ad usare i suoi poteri per difendersi, non ne valeva la pena. Se qualcuno si faceva male, ci avrebbe pensato una prigioniera della tribù dell'acqua del nord a curare le ferite, così da poter tornare subito al lavoro.

Per Mik quella era una semplice situazione temporanea. Aveva accettato la situazione, ma continuava a cercare una via di fuga; se però all'inizio aveva pensato che includere il suo compagno di cella potesse essere un punto a suo favore, dopo l'incidente del primo giorno aveva lasciato perdere.

Non aveva più rivolto la parola a Lux di sua iniziativa. Lui non gli aveva rivolto una sola parola di consolazione o di supporto, e Mik aveva capito che tipo di persona era. Non avrebbe sprecato ulteriori energie per lui.

Poi una sera Mik si ritrovò sulla lastra che faceva da letto a fissare il soffitto, così stanco da non riuscire a prendere sonno.

Generalmente bastava essere esausti per riuscire a dormire nelle celle, anche con il freddo che c'era lì dentro, ma quella sera nemmeno con la coperta e con la stanchezza riusciva ad addormentarsi.

Rimase quindi ad osservare il soffitto, distinguendo ogni crepa rocciosa, ogni buco. Ci mise un momento ad accorgersi che lì dentro doveva esserci il buio più assoluto, essendo sotto terra ed essendo la porta totalmente chiusa.

Girò la testa, vedendo una leggera penombra sul muro. Preso dalla curiosità, guardò giù dalla lastra per vedere quella sotto, occupata da Lux.

Il ragazzo era seduto sul bordo della lastra, sveglio, e stava facendo danzare una fiammella sulla mano.

Poi alzò lo sguardo e si accorse che Mik lo stava guardando.

La luce si spense e il dominatore dell'aria venne scaraventato a terra. Mik gemette di dolore, ma Lux si stava già muovendo; lo girò come fosse una bambola di pezza e gli strinse le catene attorno al collo.

Il biondo cercò di tirare le catene per respirare, ma era evidente che il moro sapeva cosa stava facendo. Doveva averlo già fatto prima, non sarebbe riuscito a liberarsi.

Mik sapeva che sarebbe morto lì se non avesse reagito, così tirò le mani verso di lui e strinse l'aria dietro di sé, poi tirò avanti.

Il dominio dell'aria era di difesa più che di attacco, ma l'aria era pur sempre l'elemento che consentiva a tutti loro di vivere, e manipolarla poteva essere molto utile. Lux si accorse della cosa a sue spese.

Per un momento ci fu stallo, Mik con la catena al collo e Lux senza più aria da respirare, poi il moro cedette e lo liberò di scatto.

Mik tossì e liberò l'aria che stava trattenendo a fatica, per poi trascinarsi lontano dal compagno di cella.

Per un po' si sentirono solo colpi di tosse e ansiti, finché non calò di nuovo il silenzio interrotto solo dai loro respiri.

La voce di Lux interruppe la quiete: «Credevo i dominatori dell'aria fossero pacifisti.»

Mik rispose dopo un istante. «Lo siamo, ma siamo anche fatti per volare liberi, non per stare qui.»

Altro silenzio, poi una luce illuminò di nuovo la cella. Mik fissò Lux, che teneva in mano una fiammella alta pochi centimetri.

«Sei un dominatore.» mormorò il biondo alla fine. Non un dominatore qualsiasi, ma un dominatore del fuoco, nientemeno.

«Sono un abile combattente. Sono sempre in catene e controllato a vista per questo.» rispose Lux. Era teso, realizzò Mik.

«Credevo foste morti tutti.»

Lux per un momento non disse nulla, poi sussurrò: «Io non sono un dominatore. Mi rifiuto di chiamarmi così solo perché so fare una fiammella... Non so fare altro che questo. Le mie capacità di dominio sono scarse, non posso usarlo per combattere o difendermi. Ecco perché sono ancora vivo.»

«Potresti essere l'ultimo dominatore del fuoco.»

«Te l'ho detto, non sono un dominatore.»

Mik non insistette, ma la vecchia fiamma del primo giorno si riaccese in un istante. Si alzò da terra e gli andò davanti, poi mormorò: «Potremmo fuggire di qui.»

«Dovresti aver capito che è impossibile.»

«Da solo è impossibile, sì, ma in due? No, io penso che se collaboriamo allora sia fattibile.»

«Credi nessuno ci abbia mai provato prima d'ora? Sono qua da mesi, Mikhail, e ti garantisco che nessuno è riuscito a fuggire. Nessuno, nemmeno i dominatori della terra, nonostante siano nel loro ambiente, e fidati, ne ho visti più di uno provarci. Se non ci riescono loro, non vedo come potremmo riuscirci noi due.»

Mik lo scrutò e disse: «Stavo pensando da quando sono arrivato a come fuggire. Quel vuoto d'aria era l'unica parte del piano che non avevo ancora messo a punto perché dovevo testarlo. Con sufficiente tempo a disposizione, posso togliere l'aria a tutto il campo.»

Sollevò le sopracciglia. «Hai sperimentato personalmente la sua efficacia. Può funzionare.»

«Resta il fatto che fuori di qui saremo ammanettati e controllati a vista.»

«Vero, ma sono certo che tu puoi aiutarmi.»

I due rimasero a guardarsi, poi Lux fece un sorriso inquietante.

«Penso proprio di sì.»

-

Le guardie del campo erano addestrate per fronteggiare evasioni di qualunque genere da parte di chiunque. Nonostante ciò, non poterono nulla contro il piano che Lux e Mik attuarono insieme.

Attesero di essere lasciati soli dalla guardia il mattino successivo, e il moro iniziò a picconare le catene ai polsi del compagno di lavoro, mettendoci tanta energia e forza che nei dieci minuti di assenza della guardia le catene di Mik vennero finalmente spezzate. Lux proseguì con quelle dei piedi mentre il biondo attendeva il ritorno della guardia: appena la vide le tolse l'aria da attorno la testa, facendola cadere priva di sensi dopo un minuto o due di agonia.

Anche le catene ai piedi vennero spezzate. Mik corse dalla guardia e frugò nelle tasche fino a trovare le chiavi, così da liberare entrambi da ogni bracciale e catena avessero addosso. A quel punto il moro si appoggiò alle spalle del biondo, il quale chiuse gli occhi, spalancò le braccia ai suoi lati, chiuse i pugni e alzò le braccia, privando di aria l'intero campo.

Lux poteva respirare, essendo accanto a Mik, ma il potere che aveva scatenato lo lasciò comunque senza fiato, un po' per l'ammirazione, un po' per la paura.

Il dominatore lasciò passare un paio di minuti, poi abbassò di nuovo le braccia, facendo tornare l'aria sul campo. Come d'accordo, il moro iniziò a correre con rinnovata energia verso il capanno delle armi, mentre l'altro rimase a controllare che nessuno si svegliasse.

Quando il moro tornò indietro, lo fece con un coltello nella cintura e una coppia di scimitarre in un fodero sulla schiena. In mano aveva invece uno zaino e un lungo bastone, che Mik riconobbe immediatamente.

«Quello è un bastone da dominatore dell'aria!» esclamò afferrandolo. e aprendolo. Un paio di ali uscirono sul davanti, un altro paio più piccole dietro. Non c'erano però altri dominatori lì, il che voleva dire che c'era stato qualcun altro prima di lui che non doveva avercela fatta.

Mik scacciò il pensiero e sorrise. «Con questo non dovremo fuggire a piedi.»

«Non è per due.» osservò Lux.

Il biondo disse: «Aggrappati alle ali o al bastone con le mani.»

«Stai scherzando, vero?»

«In alternativa dovrai aggrapparti a me.»

Lux non parve entusiasta di nessuna delle due scelte, ma alla fine si mise lo zaino e afferrò le due ali. Mik sorrise e con un colpo d'aria fece alzare il bastone, poi vi si aggrappò e iniziò semplicemente a volare via di lì guidando il bastone attraverso le correnti.

«Ho cambiato idea, io vado a piedi, riportami giù!» urlò Lux appena furono sufficientemente in alto.

«Ormai siamo su, così andremo più veloci, fidati!» esclamò Mik, felice di essere di nuovo libero di volare nel cielo.

Volarono per ore tra urla e imprecazioni da parte del moro, finché il sole non scese oltre la linea dell'orizzonte e decisero quindi di scendere e accamparsi. Si fermarono davanti a una grotta e Lux baciò l'erba davanti ad essa appena vi poggiò i piedi, poi decisero di restare lì per la notte.

Mik accese lì dentro un fuoco caldo su cui Lux mise a cuocere un coniglio che aveva catturato lui stesso. Lasciarono che lo scoppiettio del fuoco riempisse il silenzio, decidendo in comune accordo di parlare solo dopo la cena, la quale risultò essere migliore dei pasti che avevano mangiato nel campo.

«Ancora non ci credo che siamo riusciti a fuggire.» disse Lux con un sorriso allegro, il primo che Mik ricordasse di avergli visto in volto da quando lo aveva conosciuto.

«Mi sento un po' in colpa di aver dovuto usare così il mio dominio, non è così che dovrebbe comportarsi un dominatore dell'aria!» si lamentò Mik, sebbene non si sentisse triste quanto avrebbe dovuto.

«Si fanno chiamare dominatori anche quelli coinvolti nella guerra, quelli che uccidono le persone. Tu non hai ucciso nessuno e hai salvato una persona. Se non sei un dominatore, sei comunque migliore di loro.»

Mik non rispose, accennando a un sorriso. La domanda successiva cambiò argomento: «Che farai, ora che sei libero?»

«Forse tornerò nella capitale a vedere se è sopravvissuto qualcuno. Ho i miei dubbi, ma sperare non costa nulla. Forse cercherò mia sorella, non era una dominatrice, quindi forse è stata lasciata libera. Tu invece?»

«Gli altri dominatori del mio gruppo sono stati catturati, non mi è rimasto nessuno. Mia sorella non so dove sia, come la tua anche lei non aveva il dominio, quindi è stata allontanata dal Tempio. La vorrei trovare, ma non ho idea di dove possa essere.»

«La troverai. Mi sembri abile ad ideare buoni piani.»

«Forse ad idearli, ma non a metterli in pratica. Non da solo.» commentò Mik.

Lux sorrise senza dire altro, chiudendo gli occhi. Li riaprì solo quando il biondo disse: «Potrei venire con te.»

Il moro lo squadrò attentamente, ma non lesse nulla sul suo volto.

«Perché?»

«Perché insieme siamo una bella coppia. Lavoriamo bene, e poi è un buon punto di partenza, la tua città.»

Lux non rispose, ma sorrise.

«Va bene, ma non voleremo. D'accordo?»

Mik scoppiò a ridere. «Come vuoi, saremo più lenti così però.»

«Correrò il rischio. Ora è meglio dormire, comunque, domani dovremo camminare parecchio.» commentò Lux prima di sdraiarsi accanto al fuoco, subito imitato dal biondo.

Quello era di certo l'inizio di una bella amicizia.

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