26. Shock.
In piedi di fianco al portone verde spalancato, sul balcone angusto di quel piano d'ospedale, Gregory Lestrade ha inspirato a fondo l'aria della sua città. Chris era in sala operatoria, in quel momento, ma quella adibita all'attesa era davvero troppo piccola per lui. E piena di gente che sembrava non essere capace di fare altro che disturbarlo.
Ha guardato l'ennesima sigaretta accesa che stringeva tra le dita della mano destra, e non trovando alcun interesse a finirla, dopo qualche momento l'ha buttata nel portacenere in mezzo ai numerosi mozziconi di quelle che aveva già fumato.
Era in ansia, in ansia. Troppe cose insieme lo stavano facendo impazzire, ma almeno il caso di Jones era stato chiuso e per questo gli avevano già concesso qualche giorno delle ferie che aveva arretrate.
Tremava. Era ancora decisamente sotto shock, e sapeva che nulla avrebbe potuto distoglierlo da quello stato - meno di tutti un paio di dottori o psicologi della struttura ospedaliera presso la quale si trovava.
Ancora una volta si è sentito ritrasportato dal balcone della struttura in quel maledetto parcheggio buio, con il canto di un uccellino nelle orecchie che diventava lo stridore delle gomme e poi il rumore del diesel acciaccato; e per l'ennesima volta il suo tallone ha battuto nel nero contro il corpo di Chris steso a terra.
Senza più controllo su sé stesso si è afferrato la testa con le mani ed ha urlato, prima di accovacciarsi con la schiena appoggiata al muro. La luce del sole gli feriva gli occhi come i fari della volante che gli avevano rivelato la sagoma del corpo di Mycroft Holmes solo qualche ora prima; e il vento che gli accarezzava il volto faceva gelare le lacrime sulle sue guance, che non avevano praticamente mai smesso di scendere nonostante si fosse arrossato per il vigore e la costanza con cui le asciugava.
°•°•°
Arrivato nella saletta per l'attesa, tutta bianca e luminosa con le finestre che davano sul cortile, piena di gente metà nel panico e metà annoiata, l'uomo con l'ombrello si è bloccato sull'uscio.
Era venuto per due motivi ben precisi, e nessuno dei due si trovava nella sala in cui avrebbero dovuto essere.
Con una smorfia si è girato ed è andato verso le sale operatorie; forse Chris era già stato sistemato e per questo ora erano entrambi là, per accompagnare il lettino.
Ma erano serrate, e fuori dai portoni non stava aspettando neanche mezza anima.
Sbuffando è tornato nella saletta: prima o poi almeno uno dei due sarebbe sicuramente tornato. Beh, più che sicuramente, molto probabilmente; e come sempre, i suoi calcoli non hanno fatto cilecca.
«È lei Anne?» ha chiesto, dopo aver allungato il passo verso una signora leggermente sovrappeso, con un bicchiere di caffè delle macchinette fumante tra le mani, dai corti capelli scuri e dal viso giovanile e, nonostante tutto, sorridente.
Lei ha annuito.
«Molto piacere» ha scandito freddamente, allungandole la mano destra mentre con l'altra teneva ben saldo il manico del suo fido ombrello nero. «Dubito che suo marito le abbia mai parlato di me, ma in ogni caso il mio nome è Mycroft Holmes».
Lo sguardo della simpatica donna si è illuminato quando è parsa ricordarsi di chi fosse l'uomo che si nascondeva dietro quel nome e quel cappotto scuro che aveva di fronte, e prima di stringergli vigorosamente la mano si è alzata in piedi.
«Ma certo che Chris mi ha parlato di lei! Eravate amici ai tempi dell'università. Sono veramente felice di poterla conoscere... Anche se ammetto che avrei preferito avvenisse in circostanze meno disastrose».
Si sono scambiati un sorriso.
«Chris è un uomo forte, e credo che sbaglieremmo a preoccuparci davvero per lui. Ce la farà senza ombra di dubbio, sperando che sia l'ultima volta che accade»
«Ah, signor Holmes, sinceramente che sia l'ultima la vedo molto dura. Ma sono profondamente ottimista anch'io sulle probabilità di riuscita dell'operazione».
Dopo aver raggiunto a grandi passi lenti una seggiola tra tutte quelle libere, il ministro ci si è accomodato facendo guizzare gli occhi da una parte all'altra, immerso nel tenue sforzo di analizzare l'ambiente in cui si trovava; un obiettivo l'aveva raggiunto, ora mancava solo l'altro.
Non ha dovuto aspettare molto per poterlo affrontare, comunque, in quanto dopo solo qualche momento un urlo dal fondo del corridoio ha fatto voltare le teste delle poche persone che non indossavano gli auricolari.
Ovviamente lui era tra queste. Riconoscendo subito la voce di chi l'aveva tirato, si è dovuto sforzare di non balzare in piedi ma di alzarsi con nonchalance; e facendo un occhiolino ad Anne si è allontanato dalla sala.
Le sue gambe lunghe gli hanno permesso, come sempre, di raggiungere il luogo che gli serviva in pochi attimi; e giunto al portone non ha esitato un secondo ad accovacciarsi di fianco a un Lestrade in piena crisi. Gli ha accarezzato il viso con gentilezza, e mantenendo una mano sulla sua guancia ha continuato a guardarlo negli occhi, fin quando questi non hanno ricambiato il suo sguardo.
Si sono guardati in silenzio, poi senza che nessuno dei due fiatasse si sono alzati. Rimanendo serio, per l'ennesima volta il più grande si è asciugato gli occhi arrossati.
«Grazie»
Il silenzio che ha seguito questa parola appena sussurrata è stato molto più intenso di quello che l'aveva preceduta, e forse anche in virtù di questo molto più breve. Greg sapeva alla perfezione che era merito suo se le truppe li avevano trovati, con l'ambulanza e i rinforzi - l'ha dato per scontato senza nemmeno chiedersi come avesse potuto fare, sorpreso già da come aveva spezzato il secondo con la sua comparsa peraltro estremamente rischiosa.
La Dacia non aveva comportato nulla, alla fine, era stato solo un diversivo; ma la pistola di Jones era stata indubbiamente un tangibile pericolo per tutti, proprio per tutti. Senza contare che anche lui e Chris erano armati, e avrebbero potuto colpirlo scambiandolo per un complice.
Mycroft ha abbassato lo sguardo sulle punte dei suoi piedi, distanti solo pochi centimetri da quelle di colui che un tempo era stato un suo amico così caro.
«Mi spiace di essere arrivato tardi. Vi avevo sopravvalutato».
Per nulla offeso delle parole schiette del ministro, Lestrade ha accennato un sorriso: anche dopo tutto quel tempo, le sue parole avevano il potere di sorprenderlo e stupirlo nei momenti meno opportuni.
«Sei sempre il solito» si è risolto a dire infine, timidamente. «Che ci fai qui?»
«Due dei miei pochi amici sono in un ospedale. E io che cosa avrei dovuto fare, starmene a casa?»
Tornando improvvisamente serio, l'ispettore ha staccato gli occhi da quelli di Holmes per rivolgerli qualche momento all'interno del corridoio.
«Non hanno ancora finito, vero?»
«No».
Greg ha alzato le spalle e si è stropicciato le palpebre. Sentiva di avere un gran bisogno di dormire, ma d'altra parte sapeva perfettamente che non sarebbe mai riuscito a farlo.
Il cuore gli batteva all'impazzata oltreché per la situazione in cui si trovava Chris, per l'uomo che aveva di fronte. Mycroft Holmes. Lo stesso Mycroft Holmes che così tanto tempo prima girava insieme a lui per le strade di Londra in canottiera e jeans, e che ora aveva proprio di fronte, in giacca, cravatta e inequivocabilmente con lo stesso spirito di una volta. Ha ingoiato a vuoto e si è sforzato, ancora una volta, di smetterla di fissare quegli occhi.
«È tutta colpa mia» ha detto dopo un po', non alludendo solo a quanto era capitato a Chris.
«Ti sbagli, Gregory. Non è colpa di nessuno. Le cose accadono, ci accadono, ma non sta a noi decidere cosa né a chi».
Il detective si è passato una mano tra i capelli, e non ha trovato la forza di aggiungere nulla - rimanendo in silenzio fino a quando il ministro non è intervenuto.
«Dai, torniamo dentro. Non hai la cera di uno che starà in piedi ancora per molto».
°•°•°
Mm... Un capitolo in cui non accade nulla... Seccccs...
**Si nasconde in un angolino e piange**
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