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【ʜᴀɪʟᴇᴇɴ】

Finalmente ero riuscita a sbarazzarmi di quel ragazzo insistente. Aveva persino avuto il coraggio di proclamare gli Oreo come suoi, quando la prima a posare gli occhi su di essi ero stata io. Ero stata io la prima ad arrivare davanti alla scaffalatura dei dolciumi e di lui non c'era nessuna traccia quindi era ovvio che gli Oreo fossero miei di diritto e non suoi, dell'ultimo arrivato.

Lanciai un'occhiata al sacchetto di carta sul sedile del passeggero e sorrisi trionfante, poi decise di fermarmi vicino al parchetto, non molto distante dal minimarket, per poter mangiare in santa pace. Se andassi a casa, rischierei di non mangiarne nemmeno uno per il semplice fatto che il mio appartamento era stato messo a soqquadro dai miei parenti e io detestavo il caos quindi so per certo che se ci entrassi, mi metterei a pulire piuttosto che fare altro. C'erano briciole sparse ovunque, bibite lasciate aperte e sacchetti di dolciumi lasciati sul tavolino del mio salotto anziché buttati nel cestino in cucina. Tipico della mia famiglia. Creavano il caos e poi sparivano come se niente fosse. Mio fratello aveva decisamente preso quella caratteristica della famiglia. Io ― per mia grande fortuna ― ero il loro contrario. Preferivo di gran lungo l'ordine e la pulizia. Ecco perché non potevo andarci in quel momento. Finirei col accantonare da parte la mia voglia di Oreo per mettermi a pulire il caos che avevano lasciato e quello non mi andava per niente.

Uscii dalla macchina, col sacchetto di carta in una mano poi con passi veloci, mi diressi verso la prima panchina ― non mezza distrutta ― che i miei occhi avevano localizzato come libera e non a pezzi. Quel parco era stato quasi del tutto distrutto dai vandali, che alla sera si divertivano a spaccare e ai imbrattare i giochi e le panchine. Si vedeva che non avevano un cazzo da fare se non rovinare le cose pubbliche.

All'improvviso, si alzò una ventata di aria bollente che si infranse contro al mio viso, insinuandosi con violenza nelle mie narici. Quando ne presi una boccata, sembrò bruciarmi i polmoni talmente era calda. L'aria oltre essere bollente era anche afosa, in pratica respiravo acqua e sudavo come un maiale. Dio quanto odiavo l'estate afosa che ti faceva sudare praticamente sempre, anche dopo essere appena uscita dalla doccia.
Mi sedetti sulla panchina ― ricoperta da cima a fondo di scritte ― e iniziai ad aprire la mia confezione di Oreo, ma una voce maschile alle mie spalle mi fece bloccare di colpo.

«Ehi, ragazza Oreo», sapevo per certo che quell'appellativo fosse diretto a me. E la persona che mi stava sicuramente chiamando era il ragazzo del minimarket e per saperlo non mi serviva nemmeno girarmi perché doveva per forza essere lui. Lui che ancora non si era arreso e che mi stava incominciando a far girare le palle.

Mi legai i capelli biondi in chignon alla veloce poi mi passai il dorso di una mano sulla fronte per asciugarmi il sudore che continuava a colarmi fastosamente. Stavo rimpiangendo la mia decisione di essere scesa dall'auto, rinfrescata dall'aria condizionata per mangiare i biscotti all'aria aperta e immersa nella natura ― si fa per dire.

Cristo, faceva troppo caldo e in più dovevo stare calma e non agitarmi davanti a quel tizio di cui non sapevo nemmeno il nome e che continuava a stressarmi.

«Che diavolo vuoi, stalker?», domandai acidamente, voltando di tre quarti il viso e ritrovandomelo davanti con le braccia conserte e le sopracciglia aggrottate per la rabbia. Oh, ma che paura.

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