Capitolo 6 Lavoro

La mattinata era stata già, alquanto, troppo normale; o meglio dire secondo Melker i ragazzi non avevano indossato dei veli per coprirsi dal ridicolo.
Si erano, bensì, subito aperti a quella povera anima in pena, facendola scappare.
Il ragazzo era in camera sua; ammirava i suoi muscoli allo specchio, oltre a del buon esercizio fisico ed a una dieta,,la sua magrezza era un fenomeno della sua altezza.
Si, perché oltre ad essere biondo,pallido e allegro Melker era anche alto, un vero nordico.
Ammirava il suo giro vita snello e pulito, i suo addominali, i pettorali non troppo gonfi e le sue spalle larghe abbastanza da non sembrare un anziano fragile.
E poi c'era il suo tatuaggio... nulla di speciale certo, nessuno era a conoscenza del marchio. Era il simbolo celtico della vita; lo aveva visto su un insegna in un gay village nella sua terra natia, dove per la prima volta sfoggiò la sua omosessualità.
Era angosciato e sollevato dai ricordi, il suo passato non era stato fra i migliori eppure quel posto aveva tracciato una linea nella sua vita, non aveva più mentito, aveva deciso di vivere veramente.
Era ormai tardi e Melker doveva andare a lavorare.
Si vesti frettolosamente con abiti comodi ed uscì dalla stanza.
Si imbatté in Lou, che stava sgattaiolando guardinga da qualche parte, con la testa piegata e schiacciata al muro.
-S-stai bene? Chiese il ragazzo leggermente in imbarazzo.
Quella scattò come una molla.
-Certo ho perso qualcosa. Disse annuendo all'impazzata.
-Ah si, e cosa? Chiese ridendo sotto ai baffi.
Lou prima fece una smorfia, muovendo le labbra come i pesci; poi sorrise sconfitta.
-Io...ecco....Balbettò aprendo le braccia.
-Ehi mica devi spiegare. Però le regole qui sono due.
La prima non uccidere. Il ragazzo era tornato serissimo, con l'indice per aria.
-La seconda- Continuò, alzando il medio- è non intromettersi in relazioni altrui.
ElFine buona permanenza.
Data un pacca sulla spalla si dileguò.
Il suo lavoro stava per avere una svolta, uno degli aiutanti dello chef se n'era andato, questo voleva dire che lui che spesso lavorava come cameriere e lavapiatti, avrebbe preso il posto ne era sicuro.
Prese la bicicletta Atala col cestino e il cartellino col suo nome e si addentrò nella città; il centro era formato da una piazza ovale con fontana sgorgante e negozietti, posti ai primi piani di edifici ampi tutt'attorno, fatti di mattonelle rosse o mattoni grigi; dal centro verso sud, la grande strada percorre l'intera cittadina fino ad arrivare ai campi, dove la gente ata del luogo lavora.
Come in ogni paese vi sono ristoranti e locali, così come palestre e scuole. Arrivato su Rooseveltlaan, legò la bici ed entrò al Bar e Ristorante "One night".
Salutati i camerieri suoi amici Louise e Andrej, lei madrelingua francese, lui del posto.
-Ciao mio piccolo Usignolo. Lo salutò Louise, era la classica ragazza che desiderava avere amici gay, che sapeva vestirsi bene, bionda con le labbra carnose e il corpo minuto. Andrej invece era il suo ragazzo e sembrava tutto tranne che delicato, aveva muscolatura di ferro e lo sguardo ghiacciante, era il ragazzo di Louise, la quale era capitata anche una volta fra le grinfie di Edit; il vero problema era che Andrej era omofobo, quindi la loro amicizia spesso vacillava.
Non che lui parlasse male dei gay davanti a Melker ma se capitava lo svedese guardava altrove disinteressato.
-Ciao. Li salutò dando una pacca sulla spalla ad Andrej.
-Ehi agitato? Gli chiese quello in olandese.
-No sono prontissimo, farò vedere a tutti di cosa sono capace e non intendo con una saponetta. Rispose il ragazzo parecchio agitata.
-Lavapiatti vai a lavare che qui abbiamo del lavoro. Scherzò l'amico apparecchiando un tavolo.
Il ristorante affianco al bar, era composto da una grande e spaziosa stanza aperta ed illuminata, con un lungo tappeto verde che copriva il pavimento; una carta da parati a righe marroni e bianche alternate e una greca dello stesso colore del tappeto. Vi erano dieci tavoli in tutto, quelli occupati erano più della metà.
Mentre si avviava in cucina, passando accanto ai vasi di tulipani, fece una linguaccia ai due e si preparò al suo successo.

Appena entrato vide già che tutti erano al proprio posto, muovendosi velocemente si mise davanti al lavandino.
-Ehi bello arrivare tardi! Scherzò un suo collega tarchiato.
- Ho una nuova coinquilina. Urlò giustificandosi il ragazzo, per farsi sentire fino all'angolo cottura.
La cucina era grande interamente fatta di metallo, vi lavoravano cinque persone, ognuno aveva i suoi posti.
Aksel il cuoco più anziano posto ai fornelli, era amico dello svedese da tempo ormai, l'aveva aiutato a trovare lavoro cinque anni prima, in quel ristorante a tre stelle più conosciuto della città.
-Signori. Chiamò lo Chef serio, la sua voce potente richiamò sull'attenti tutti.
Era un uomo magro e di piccola statura lo Chef, con i capelli corti e due baffi ispidi dello stesso colore del miele.
-Come saprete Camiel se n'è andato, per tanto ho preso una decisione sul suo rimpiazzo.
Ilcuore di Melker non si fermava, batteva a velocità costante; aveva le mani sudate, si sentiva un bambino.
- Non è stato facile ma ho deciso che Haico prendere il suo posto. Disse infine l'uomo soddisfatto, facendo cadere dalle nuvole Melker che già si era sognato un futuro perfetto.
Tutti applaudirono, Aksel addirittura fischiò; Melker rimase invece impalato, offeso e deluso di sé stesso.
Haico il suo nemico, si trovava a pochi passi da lui, era l'olandese per eccellenza bello, libertino con un boccale di birra fra le mani e stronzo quanto Edit, ma per quanto amasse la ragazza la sopportava, lui era peggiore.
Era il suo incubo.
Lo sfotteva spesso solo per vederlo balbettare, Haico così come Aksel l'avevano conosciuto quand'era obeso; perciò aveva da criticarlo anche su quello.
Fu invaso da sentimenti nocivi; odiava quell'idiota, l'avrebbe ucciso anche perché non capiva se ci provasse o meno; il che impauriva il povero svedese.
Infatti mentre Haico sorrideva estasiato, ringraziando chiunque, quando posò lo sguardo su Melker i suoi occhi verde prato diventarono estremamente cattivi, sogghignò terrificante e gli fece l'occhiolino, giusto per mandarlo in bestia.
Si avvicinò allo Chef che superava in altezza e insieme si diressero fuori per discutere.
La stanza si ammutolì. Melker era arrabbiato tanto da stringere la mascella fino a sentirla dolere.
Sentì delle parole in lontananza, le stava pronunciando Aksel, ma per lo sconforto sentì solo le ultime.
-Sei forte non te la prendere...l'uomo con il suo grande pancione era davanti a lui.
-Non abbastanza. Disse sconsolato, facendo cadere i suoi capelli sul viso.
Si passò una mano fra i capelli nervosamente.
Non voleva rimanere in cucina un minuto di più, era stanco e troppo strano, e non aveva assolutamente voglia di vedere Haico in azione, piuttosto avrebbe ucciso un essere umano.
-Di agli altri che sto male. Si limitò a dire.
Uscì da quel buco metallico mandando un occhiata a Louise significativa, che gli aveva chiesto come fosse andata; Andrej aveva messo un braccio attorno alla ragazza e aveva detto un semplice Mi dispiace.
-Non è colpa tua. Lo rassicurò poi uscì troppo arrabbiato e depresso.
Un'altro insuccesso.
Perfetto. Il mondo mi volta sempre le spalle, perché non farlo anche stavolta!

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