Capitolo 5 Giornata no

Se Lou avesse creduto che il secondo giorno di convivenza sarebbe stato imbarazzante ed esageratamente strano, sarebbe scappata gridando dalla finestra di un quinto piano, senza scala d'emergenza, la finestra del salotto, larga abbastanza per buttarsi di sotto, schiantarsi col terreno, vivendo nei suoi ultimi momenti di vita l'improvvisa passione per il volo; non le sarebbe importato della grande macchia sul marciapiede o della polizia in giro a interrogare alcuni e importunare altri; sarebbe felicemente morta con un sorriso sulle labbra e amarezza dentro al cuore a causa della sua insulsa e flagellante vita.
Ma tutto ciò non avvenne.
Per sfortuna...

Si svegliò grugnendo, con i capelli biondi intrecciati; la sua stanza aveva necessità di aria nuova, così come lei del caffè.
Esattamente Lou non sapeva che aspettarsi, era solo il secondo giorno e non aveva nessuno da contattare, degli amici certo le avevano scritto ma non erano abbastanza; sapeva che i suoi si sarebbero arrangiati a pedinarla sui social come Twitter o Facebook, perciò all'arrivo in Olanda e nell'appartamento aveva già postato gli aggiornamenti, con foto anche.
Si alzò dal letto, faticosamente e si avviò in corridoio.
Un profumo di candele profumate alla mela l'assalì, continuando a strisciare i piedi sul parquet, Lou finì in salotto e si svegliò all'istante.
Davanti al divano vi era un tappetino di gommapiuma viola, dove sopra una Edit molto concentrata era in posizione piegamento in avanti.
-Buon giorno. Salutò la ragazza con gli occhi chiusi, mentre si rialzava con il busto, in una posizione seduta.
-Buon..dì. Rispose insicura la ragazza avviandosi verso la cucina.
-Dove vai? Chiese subito la ragazza con il suo tono di voce grave, aveva dei leggins neri aderenti e una canottiera sportiva verde; il suo bel fisico atletico era ben mostrato e ogniqualvolta che Lou cercava di guardarla incontrava il didietro.
-A farmi un caffè. Rispose Lou presa alla sprovvista.
-Non puoi. Le disse l'altra come se fosse la cosa più normale del mondo, questa volta in posizione triangolo.
-Perché no? Ora Lou si ostinava a guardarla, e non ad ammirare il pavimento pulito.
-Fa Melker il caffè, perché è sua la macchinetta, e si arrabbia se qualcuno tocca la sua cucina.
-Oh. Rispose Lou secca, appoggiando la tazza, che aveva preso poco prima.
-Già! aspira ad essere uno chef, ma non lo sarà mai parliamoci chiaro. Disse sdraiandosi completamente a terra inerme.
-Fai Yoga? Disse la ragazza, pur conoscendo la risposta, intendendo iniziare una conversazione più lunga e meno imbarazzante.
-No ho solo l'insonnia. Rispose lei sarcastica.
In quel preciso istante Melker spuntò fuori dal corridoio assonnato ma sorridete, salvando quel momento di intimità eccessiva, come un cavaliere su un cavallo bianco.
-Lei fa Sivananda Yoga, e perdonala è solo idiota e molto mattiniera.
Disse avvolto nella sua vestaglia marrone, simile ad un accappatoio; con pochi passi raggiunse la cucina e preparò la macchinetta del caffè metallica, di quelle in cui bisogna prima mettere un dosaggio di acqua e poi il caffè, ed infine metterla sui fornelli.
-Buongiorno anche a te Usignolo. Lo salutò Edit, immersa nella posizione Pesce.
-Usignolo? Chiese a Melker.
-O Edit va matta per i nomigloli, crede che in caso di necessità non è buona cosa parlare degli altri chiamandoli col proprio nome, anzi in generale. Gli spiegò Melker mentre versava il caffè.
Lou che era seduta su uno sgabello della penisola, guardò la ragazza assorta in una posizione ferma, che anche lei da bambina faceva per ginnastica, ovvero reggersi con i gomiti e tenere le gambe all'aria.
-L'ha dato anche a me? Chiese a bassa voce a Melker, indecisa fra definirsi preoccupata per il soprannome o incuriosita.
-Ti ha chiamato Borchia, ma credo che non ne abbia deciso uno ancora. Rispose lui accostandosi per non farsi sentire.
-Borchia...è penoso. Disse di getto, senza pensarci, ad alta voce Lou con le mani sulla tazza tiepida per riscaldarsi
-Mica deve piacere a te. Le rispose Edit nuovamente in posizione sdraiata.
Si alzò agilmente e con passo felpato portò tutto il suo materiale colorato in camera, tornando a fare colazione con noi.
La tovaglia sulla penisola era bianca e per ogni sgabello c'era una tazza larga di latte con una frase sopra accompagnata da una tazzina del caffè proveniente da un lontano negozio greco.
Su quella di Lou c'era scritto a caratteri cubitali in inglese «Everyone knows that you do pee in your bed» ovvero, «Tutti sanno che fai pipì nel letto», si fermò a guardare la tazza per un minuto buono, alquanto dubbiosa.
Poteva sempre tornare dalla sua famiglia dopotutto.
Insomma non faceva la pipì a letto da quando aveva guardato a 10 anni un film Horror chiamato L'esorcista, dove per la paura aveva categoricamente evitato di andare in bagno ed aveva preferito farla sotto; la mattina dopo sua madre l'aveva obbligata a lavare le lenzuola a mano per imparare la lezione ritenendola grande, da allora l'odore acido della sua urina non poté più abbandonarla.
-Lou, mi passi il sale. Le chiese Melker, riportandola alla realtà.
-Il sale? E Perché? Chiese accigliata.
-Faccio una dieta settimanale, niente zuccheri aggiunti o grassi la mattina; mi godo le mia chapatai con la marmellata priva di zuccheri e latte di capra.
-E dove ti serve il sale? Chiese confusa la ragazza nuova.
-Sulla chapata ovviamente.
Disse lui prendendoselo.
-Non farci caso ma l'uomo che hai davanti ha faticato ad avere il fisico che ha oggi, quando l'ho visto per la prima volta io pesava 120 chili e aveva brufoli gialli su tutto il viso.
La fame scomparve completamente dopo la visione di un obeso brufoloso, perciò disgustata Lou allontanò la tazza e iniziò a parlare del lavoro.
-Oggi chiedo per il lavoro, potresti benissimo fare la cameriera immagino, o se no costringo Jo a chiedere a Miguel di darti una mano. Ti piacerebbe essere un insegnante?
Chiese Melker con il suo accento nordico.
-Non sono brava con i bambini. Si limitò a dire. Una volta aveva perso sua nipote di sette anni nel parco giochi, per ritrovarla la sera con i suoi amici armati di bastoni, a giocare con la palla dentro una pozzanghera.
-Che lavoro fai? Chiese a Edit.
-Uno al di sopra della tua paga normale. Si limitò a dire lei sulle sue.
Per quanto sputasse veleno il suo tono rimaneva sempre calmo e teatrale.
-Edit, non ha neanche un lavoro. Le venne incontro Melker, schernendola ulteriormente.
-Hai perfettamente ragione, volevo dire un lavoro con uno stipendio per te inimmaginabile. Disse avendola degnata di uno sguardo, puntandogli contro il cucchiaino.
Lou aprì la bocca, ferita, ma non disse niente, cosa poteva dire?
L'avrebbe ammazzata ben volentieri, ma l'imbarazzo non era ancora terminato.
Il rumore di una porta sbattuta, si propagò nell'aria attirando l'attenzione dei tre.
Sulla soglia della porta dell'appartamento una giovane ragazza di colore con un enorme boa arancione era appoggiata sulla porta.
Era molto bella con il viso ovale e perfetto, occhi brillanti e sorriso solare.
-Buongiorno vicini. Disse con la sua voce squillante
-Ciao Koala. Salutò impassibile Edit.
- Allora come va? Come sono state le vacanze? Ora che è autunno sento già più freddo, forse le Hawaii erano troppe calde.
Se vi racconto tutto quello che è successo, è meraviglioso.
Disse entrando e sedendosi sullo sgabello libero, come se fosse una coinquilina.
Era esuberante, ma non come Edit che era semplicemente strana, Lou la trovava più mondana e appiccicosa.
Iniziò a parlare per due minuti poi notò Lou che non aveva parlato.
-Oh ma ciao, sono Mindy, vengo dal Canada ed ho un negozio di vestiti.
Si presentò come se fosse in un reality show, allegra e sgargiante.
-Lou, piacere. Rispose la ragazza.
-Non parla è timida. Si intromise Edit.
-Non è vero! Ribatté la ragazza, sapeva che fosse introversa ma non timida.
-Capisco. Disse Mindy come se Lou avesse appena confermato i fatti.
-Sei fidanzata?
-No.
-Segno?
-Ariete.
-Aah capisco tutto ora. Disse sorseggiando un po' di caffè, le pareva una maga dei tarocchi.
-Koala senti che animale hai ucciso per fare quel boa? Un tucano? Chiese Edit con schermo.
-Divertente! Comunque tornando a te- disse rivolta a Lou, con il busto sporto verso di lei dall'altra parte della penisola- conosco un ragazzo lo vuoi conoscere? È simpatico ed è acquario, perciò la cosa si può provare.
Aiuto pensò Lou, chiaramente preoccupata.
Era diventata non imbarazzante quella situazione ma la sua vita quotidiana: c'era sempre l'argomento uomini che non la riguardava.
Lou rimase in silenzio ferma, sua madre l'aveva sempre ammonita, le ripeteva che a volta sapeva diventare benissimo una statua.
Stavolta fu Edit a parlare per lei.
-Koala chiudi il becco le piace ben altro.
Le spalle ossute e minute della giovane si strinsero, un misto di vergogna e dispiacere si insediò sul volto della ragazza.
-Oh scusa. Comunque non importa qualcuno si prenderà cura di Miguel prima che morirà.
-Perché com'è? Chiese Lou per superare quel momento.
-Un ormone vivente. Scherzò Edit.
-È spagnolo. Sottolineò Mindy.
-Lo chiamiamo Ormone Nocivo apposta. Concluse Melker.
-Vado a meditare. Disse Edit, parlando sopra Mindy, con una frase a metà rovinata.
-Mediti?
-Sono buddista.
Quando la giovane ungherese scomparse, Jo uscì dalla grotta...suonando...un sassofono.
A Lou scoppiarono le orecchie.
Ma che banda di pazzi! Dove diavolo sono capitata!
Notandola il ragazzo si fermò.
-Suono in una banda.
-E dovevi farlo questa mattina!? Chiese sbalordita.
Jo guardò l'orologio, erano le 14:00.
-È pomeriggio sono tutti svegli a quest'ora. E poi ho aspettato che Psyco uscisse. Ciao Mindy.
-Zecca, come stai? Sapevi di Beyonce?
-Si, strabiliante.
Poggiò il sassofono accanto a Lou con così tanta naturalezza da far traballare il tavolo.
-Senti non sai la lingua del posto, vero? Le chiese Melker, sparecchiando.
-Dovrai abituarti a stare qui e devi sapere che noi ci siamo e ti aiuteremo, evita solo di essere così frigida. Finì col farle l'occhiolino.
Lou salutò l'ospite e se ne andò, portandosi di là un foglio di carta da compilare.
Non si reputava fredda, ma era convinta che al pari di un'altra sua coetanea era diversa; aveva visto il peggio ed aveva imparato da quello, ora doveva solo adeguarsi al meglio.

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