XIV - The second hand ticks

Vorrei che tu fossi qui.

Non immagini quante volte, disperata, mi sono ritrovata a sussurrare il tuo nome nel cuore della notte.
A strillarlo.
Composta.
A voce bassa.

Un urlo strozzato, soffocato dal tepore delle lenzuola.
Imbevuto di una o due lacrime.
O annegato dalla veemenza di un singhiozzo, risalito in superficie. Senza controllo.

Come un acquazzone.

Sola.

Non immagini quante volte ho abbracciato il cuscino.
Quante volte ho cercato il calore del tuo respiro.

Non c'eri.

Incredibile come la distanza sia la più viva delle presenze.
Terribile come la notte, lei sola, sia in grado di risvegliare sentimenti che credevamo sepolti.
Emozioni fino a qualche ora prima mitigate.
Assopite.

Complice, forse, l'altalenante coscienza.

Ogni battito di ciglia un sussulto.
Ogni ticchettio del cuore un nodo in gola.

Colpa mia.
Solo mia.

Mia, che mi illudevo che sarebbe durato per sempre.
Mia, che pensavo che non mi avresti mai abbandonata.
Mia, che credevo che amore e necessità fossero una cosa sola.
Che ho scambiato il mio, il nostro dipendere reciproco per qualcosa che non era.
Qualcosa che non è mai stato.

Sorrido.

Me ne rendo conto solo adesso.

Adesso che non ci sei.

Adesso che quel legame, quel filo che ci univa, sembra più simile a una catena.

Adesso che, persa tra le lenzuola, all'alba di un nuovo giorno senza te, posso avvertirla.

Posso percepirla.

Posso respirarla, finalmente.

E ha un così dolce profumo.

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