P. O. V. - ADRIAN 4
"La carne ci vuole poco a soddisfarla, è il cuore ad essere insaziabile."
L'avevo stuzzicata troppe volte, sentendo il peso opprimente, infrangibile del desiderio che nutrivo per Judie.
Stavo facendo del male a me stesso.
La bramavo sempre più intensamente ed era tutta colpa mia, della mia sete di vendetta.
Mi odiavo per ciò che provavo in segreto per lei.
Era diventata un ossessione ricorrente anche nei miei incubi, l'aria a ogni mio risveglio sembrava mancarmi.
Eppure lo scopo rimaneva sempre quello: imprimermi così intensamente nel suo cuore, da farle provare il peso imminente del fardello che portava la mia essenza.
Esplodevo sotto ai suoi tocchi, una raffica di scintille a perforare la mia esistenza.
Avevo superato la soglia restandone folgorato, come quella volta in cui fingevo di dormire solo per tormentarla, mentre lei curava la mia influenza.
Ma in fondo non glielo avevo chiesto io, quindi doveva semplicemente continuare a starmi lontana se non voleva essere tentata o meglio, disintegrata.
In quei due anni avevo totalmente trasformato il mio essere, per causa sua maggiormente e non l'avrei mai perdonata, a costo di sacrificare la mia anima infernale.
Ero passato da un ragazzo gentile, riservato ed educato ad un persona fredda, senza emozioni, apatica. Vivevo solamente per me stesso, dedicando le mie giornate alle mie passioni come i libri e continuavo a fregarmene della gente che senza conoscermi realmente mi puntava il dito contro, non mi importava assolutamente di nulla.
Quello che non conosceva nessuno, che avevo tenuto nascosto tanto estremamente, però, era stata la mia fase transitoria da angelo a demone.
Avevo soffocato quel dolore comportandomi da crudele.
Ed era cambiata inevitabilmente la mia concezione della donna, continuavo ad usarla per dar sfogo ai miei ormoni, niente di più.
Il sesso era diventato la mia costante, mi dava la possibilità di fuggire dal passato facendomi sopravvivere semplicemente nel presente, perché il futuro non contava.
L'unica persona a cui tenevo davvero, ormai, era mio fratello.
Abitare in quella casa era un carico troppo grande da sopportare, in più la mamma di Judie mi aveva chiesto gentilmente di andare a controllare come stava sua figlia.
Non ne volevo sapere nulla, ma non potevo replicare.
Quella vipera doveva continuare a ferirmi con quel suo falso sorriso innocente.
Restava, però, un'ottima occasione per il mio piano.
Tutto sarebbe stato in mio potere, dedicandole le mie stesse cicatrici sanguinanti.
Adesso mi ritrovavo di fronte all'entrata dell'immensa villa.
Cercai di rilassare i nervi tesi.
Aprii lievemente la porta perché non desideravo attirare la sua attenzione. Volevo essere una sorpresa tanto inaspettata quanto devastante.
La casa all'interno era illuminata leggermente dai raggi del sole, salii controvoglia le infinite scale.
Dovevo raggiungere prima la mia camera per posare lo zaino, la lezione fortunatamente era finita prima, nonostante io fossi distrutto già fisicamente dalla prima ora.
Spalancai l'ingresso della mia stanza ancora perfettamente in ordine.
Stranamente l'arpia non si era addentrata curiosando tra i miei oggetti personali.
Per precauzione, dal giorno in cui mi intravide inopportuna prendere i testi da sotto al mio ampio letto, avevo cambiato nascondiglio per quei libri tanto illeciti.
Mai mostrare totalmente la propria natura, ora risiedevano dietro la scrivania, posizionati in modo strategico.
Mi sdraiai per pochi secondi sul materasso morbido, giusto per riacquistare le forze, per affrontare la guerra. Toccai irrequieto i miei capelli scuri, dovevo essere invincibile, senza mai abbassare le difese perché avrei rischiato di sgretolarmi ancora.
Mi alzai di scatto, appena rammentai venefico il viso di Judie tutte le volte che la mettevo in imbarazzo, dovevo continuare così.
Era questa la strada per giungere al suo cuore corruttibile.
Andai energicamente verso la sua porta.
Avevo lanciato la sfida e l'avrei vinta come al solito.
Bussai forte, per risvegliarla da qualsiasi cosa stesse facendo in quel momento e fu melodia per i miei timpani, la voce sembrò tremarle lieve.
Approfittai, senza permesso mi ritrovai all'entrata della sua camera.
Mi domandò cosa reclamavo e quella volta non mentii " voglio te" pronunciai melefico.
Ma quando mi resi conto che le sue iridi verdi non facevano altro che spogliarmi, scrutando ogni parte di me, mi sentii in dovere di ricambiare, perché guardarla mi faceva stare bene, di un benessere effimero e sfregiante anche con quel bizzarro pigiama che indossava.
Fu difficile, però, trattenere le risate.
Così ebbi un'idea strabiliante, l'avrei messa a disagio confessandole che, in verità, ero lì perché me l'aveva imposto sua madre.
Lei stranamente pareva stare in gran forma, dovevo aspettarmelo, restava una bugiarda.
Incominciai a ridere pesantemente quando il suo viso si colorò di un evidente rossore che le avevo procurato io e il mio ego sembrò crescere dentro il mio orgoglio.
Il telefono in tasca vibrò, non potevo più avanzare. Il mio piano andava rimandato. Ora avevo ben altro da fare, dover dare sfogo al mio corpo...
Ma fu peggio di un vetro che si schianta sulla superficie.
Judie chiamò il mio nome attirando terribilmente la mia attenzione.
Non capivo cosa volesse.
Mi bloccai in attesa di una sua spiegazione, anche se dovevo ignorarla.
E quando dichiarò che si annoiava e desiderava un mio libro, fu più forte di me, continuai a stuzzicarla senza comprendere, purtroppo, che sarebbe diventato uno dei miei rimpianti.
Incurante dell'assurda situazione, schiusi ancora di più l'entrata e Judie parve incantata da me, non replicò, sostenendo semplicemente il mio sguardo fisso nelle sue pozze chiare, in cui, quasi, potevo rispecchiare la mia mia anima macchiata.
Istintivamente aprii del tutto la porta.
Senza rifletterci, mi ritrovai la corporatura non molto formosa del mio tormento a pochi passi da me. Riuscivo a percepire quel suo maledetto profumo, mi mandava in estasi ogni volta, calando inspiegabilmente il muro che avevo creato per ripararmi da lei.
Fui talmente affascinato, da non poter immaginare una catastrofe del genere.
Fu scaltra, famelica e... dolce.
Judie mi baciò.
E io annegai.
Aveva osato oltrepassare ogni limite.
La bocca è il valico degli innamorati e non doveva tangerla. Eppure, adesso, avvertivo le sue soffici labbra su di me. Un gusto del tutto nuovo, ma aspirato a lungo.
Il mio amico non aspettò oltre, si risvegliò improvvisamente voglioso, annientando tutto il rancore che riservavo per lei, spianando la via ad una sorta di felicità che preferivo evitare come la morte, anche se il mio cuore era deceduto da tempo.
Il colpo fu così impensato che non riuscivo a replicare nulla, la mia mano cadde inerme come ogni parte di me.
Fu come l'arcobaleno dopo una tempesta, ciononostante lei rimaneva un uragano.
Rasava al suolo ogni cosa presente sul suo cammino compresa la mia figura.
In quel preciso momento, però, quel contatto fu così piacevole da sentirmi in colpa, ancora più dannato.
Potevo finalmente assaporare quel gusto proibito.
Mentre lei maligna continuava a spingere sulle mie labbra, incurante dalle mia frustrazione, io combattevo una battaglia contrastante con la mia essenza perché non faceva parte del piano che avevo da settimane nel cervello, non potevo lasciarmi schiacciare così.
Ma ogni suo tocco era lussuria per il mio corpo, per i miei occhi...
Era la mia condanna, la mia pena e presto avrei mandato quel che ne restava di me nell'oblio, in quel tetro vortice di sofferenza.
Un muto urlo di dolore.
Fu dura.
E lo ammetto, per un breve istante della mia vita, ho lasciato alle spalle quell'avversione e mi sono lasciato andare, cullare da quella ruvida, ma tenera sensazione.
Perché avevo finalmente Judie tra le mie braccia e non volevo perderla ancora.
Affondai in un abisso di speranza.
Solo un misero premio di consolazione che desideravo enormemente poter assaggiare per un istante.
E così assaporai le fiamme dell'inferno.
Mi bruciai sotto a quel tocco.
Ma sarei rinato più potente di prima.
Judie cercava un contatto con la mie dita. Ma non potevo consentirglielo. Avevo aspettato fin troppo quel momento, ora dovevo lambirla io. Dovevo captare quel gusto agrodolce.
Ciononostante, quando posò la sua mano sul mio petto, le concessi di ascoltare il battito frenetico del mio cuore, perché doveva capire l'effetto che mi procurava la sua presenza. Perché era l'odio ad offuscare la vera natura dei miei sentimenti.
JUDIE FU MIA, SOLAMENTE MIA.
E allora le mie mani affamate catturarono il suo viso per paura di perderlo di nuovo. Lo strinsero forte sentendo la morbidezza della sua pelle. Quel palpare faceva male e bene nello stesso secondo.
Poi appoggiai piano la mia fronte calda alla sua e non c'è la feci più... Esplosi.
Più poderoso di una cometa, più temibile di un vulcano.
Ma fu lei, solamente Judie, la mia lava e io potevo percepirmi sotto quello scoppio come cenere.
La mia bocca penetrò la sua, in un gesto possessivo e fragile nello stesso istante. Avevo voglia di quel contatto. Le sue labbra erano buone, gustose e io ci spingevo contro le mie, costringendole a danzare con le sue.
La volevo tutta per me. Solo un momento di debolezza, poi avrei ripreso in mano il mio scopo.
Eppure sbocciai come un fiore in autunno e mi donai alla mia nemica completamente.
Il cuore doleva come le mie emozioni, ero frustrato.
Non potevo permettermelo, ma ero felice come non lo ero da tempo.
Poi strinsi di più Judie alla mia corporatura e la sua amica strisciò sul mio amicone ricordandomi maledettamente che era il suo corpo ciò che dovevo solamente desiderare, erano solo gli ormoni da soddisfare, un atto prettamente sessuale. La dura realtà si sprigionò improvvisa nella mente tanto da scuotermi.
Ancora altri cinque minuti di beatitudine e poi sarei ritornato nell'ade inabissando anche lei.
Approfittai nuovamente, dischiusi la bocca dando spazio alle nostre lingue che parevano incollate. Il bacio diventò più passionale e incontrollabile.
Un autentico bacio mozzafiato.
Avrei voluto fermare la durata e gustare ancora quell'unione, quel corteggiamento intimo.
Adoravo quella sua lingua, il piacere che mi procurava era immenso, eppure dovevo congedare tutto ciò, spegnere la mia parte umana.
Ritornare lo stronzo di sempre, murare definitivamente quella piccola parentesi, quel peccato, quell'eccezione che aveva il suo nome, che mi sussurrava ancora nei timpani e inebriava le mie narici con il suo dolce profumo.
La sua carnagione tastava la mia causandomi scosse irrefrenabili.
E mi spensi improvvisamente, come il vento gelido nelle calde giornate estive.
Sentii quella calura cessare, vidi la solitudine e lo sgomento intorno a me.
L'anima tremava di una nuova paura, mai riscontrata.
E tutto di me, ora, le gridava "ADDIO".
Accarezzai affettuoso le sue guance con i pollici, per la prima e ultima volta, negando il rimorso, perché sarebbe diventato inevitabilmente il calvario più angosciante da reggere, mentre probabilmente Judie mi detestava ancora.
Toccai per l'ultima volta le sue belle labbra, ritornando il menefreghista di sempre e malefico placai i miei sentimenti e quel bacio sublime.
Ero nuovamente me stesso.
Il demonio era tornato più famelico.
Adesso non mi avrebbe più allontanato, mandando in frantumi i miei progetti.
"Sai la tua bocca è buona quasi quanto le tue labbra vaginali" pronunciai per rompere quello stato di benessere e ferirla.
Ma lei arrossì, e mi sfuggì mesto che adoravo metterla a disagio.
Questo, però, non doveva scoraggiarmi, alla fine stava procedendo tutto nel verso giusto, nella direzione più nociva.
Avevo la necessità di confessarle che la volevo, desideravo il suo corpo e lei doveva concedermelo, ormai era mia, lo captavo nel modo in cui mi guardava ansiosamente. Non ambiva ad allontanarmi e non l'avrei fatto, se lei fosse stata disposta a donarmi tutta se stessa. La mia compagna di sesso. Perché potevo offrirle solo questo.
Era la condanna per i suoi crimini ciò che meritava.
E quando le dissi: "ti desidero. Voglio un rapporto fisico con te, purché tu sia solo mia"
Judie parve sorpresa, delusa e insicura nello stesso momento.
Alla fine cosa esigeva?
Una storia amorosa?
IO NON AVEVO PIÙ SENTIMENTI E NON DESIDERAVO PROVARLI.
Ora nel cervello risuonava costantemente la parola "Mia" perché le avevo concesso troppe volte di volare come un'ape da una pianta all'altra incurante di chi potesse ferire.
Stava diventando una specie di ossessione morbosa e distruttiva, ma non potevo farne a meno.
E la vipera in quell'istante sembrò così estremamente dubbiosa.
Non era un no secco, lei stava pensando realmente a me, a quel rapporto che poteva possedere solo con me!
Adesso sarebbe mutato tutto, saremo cambiati noi.
Più la fissavo più desideravo terribilmente quel fisico. Solo quella carne succulente.
Avevo la vittoria in pugno.
Il piano era quasi al suo completamento.
Eppure mi concepivo così vuoto...
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