P. O. V. - ADRIAN 3
"A volte non c'è affatto differenza tra salvezza e dannazione."
STEPHEN KING
L'ora di ginnastica era quasi finita fortunatamente.
Avevo udito varie studentesse parlare del bacio tra Noah e una ragazza mediocre.
Non avevo compreso bene il nome di lei, ma la chiamata di Judie, quella sera era alquanto strana.
La situazione, mi irritava incredibilmente.
Preferii non pensare a quella vipera e continuare con gli esercizi fisici.
<< Adrian va a prendere un altro pallone nello stanzino >> mi ordinò il professore.
Ero stufo di fare il suo aiutante.
Aprii la porta del ripostiglio svogliatamente.
Ma il cuore sembrò lacerarsi.
Le voci erano vere.
Era Judie ad aver baciato Noah.
Il mio viso si colorò di tante emozioni diverse e contrastanti.
Ma il disprezzo nei suoi confronti era smisurato.
Mi aveva deluso nuovamente.
Era ricaduta in basso e non ero stato io a condurla purtroppo.
Il mio piano doveva comunque continuare.
Eppure percepivo che c'era qualcosa che non andava in me, il cuore mi faceva ancora male.
Era la mia dannazione.
Il mio unico peccato.
Ma doveva essere soltanto mia, era la mia creatura.
Desideravo farla sprofondare insieme al mio dolore, nella mia sofferenza.
Ancora stupito indietreggiai, chiudendo forte la porta davanti a me.
Lasciando il mio fardello in quella stanza.
Ora volevo solo fuggire via da quella realtà mostruosa.
Ma mancavano due ore di letteratura per la fine delle lezioni.
Aspettai che passassero, un'agonia infinita.
Poi finalmente corsi fuori.
L'aria sembrò ridarmi un po' di lucidità.
Nei pressi dell'abitazione c'era un bar, decisi di entrarci e sfogare la mia frustrazione.
Ordinai una semplice birra.
Arrivò subito, era molto fredda, ma la prosciugai in un solo sorso.
Infine ne ordinai un'altra.
Mentre la sorseggiavo, mi chidevo perché quel vanitoso di Noah fosse interessato a Judie.
Quel nome mi sgretolava l'anima.
Non ero geloso, era il passato che non riuscivo, anzi non potevo cancellare.
Ogni volta mi risucchiava nel suo vortice tetro.
Era la mia condanna.
Una signora accanto a me, mi offrì una specie di sigaretta.
<< Ti farà bene credimi >> sentenziò scrutandomi.
Quella persona non mi convinceva.
Ma in quel momento ogni cosa andava bene purché alleviasse quel tormento, quella punizione divina.
La presi tra le dita e feci un tiro.
<< Piccoletto perché non ti sposti? Vuoi che ti dia una bella lezione? >>
Urlò un tizio dietro alla mia schiena.
La rabbia mi percosse, incontrollabile.
Sganciai un pugno incredibile sulla sua guancia destra.
Il sangue uscì lento dall'angolo della sua bocca.
Questo sputò sul pavimento, così andai via veloce, prima che riuscisse a riprendersi e rincorrermi.
Mi sentivo stordito, confuso.
Dovevo tornare a casa e farmi una bella doccia.
Per fortuna la casa era vicina.
Aprii la porta ed entrai nel buio totale.
Non c'era ancora nessuno fortunatamente.
Così salii le scale faticosamente e mi sdraiai sul materasso comodo.
Le miei iridi acquamarina fisse sul soffitto.
Non riuscivo più a ragionare.
Chiusi gli le palpebre solo per qualche minuto.
Udii dei rumori all'ingresso, segnale che erano arrivati i genitori dell'arpia.
Mi alzai scombussolato e raggiunsi il bagno, rimanendo sotto al getto d'acqua fredda per un'ora circa.
Poi con calma mi asciugai e infine infilai un jeans scuro e una maglietta tortora.
Stavo per dirigermi verso la mia camera quando una figura mi bloccò, facendomi perdere ogni consapevolezza.
Ero totalmente sorpreso.
Non ero più in me.
Ora avrei continuato ciò che avevo sospeso quella sera al ristorante.
Era entrata di sua volontà nella tana del lupo.
Meritava di rivivere il passato, quel calvario.
Le ferite andavano aperte nuovamente, perché le mie sanguinavano ancora.
Repentino spinsi Judie all'interno della mia stanza e chiusi a chiave la porta.
Finalmente solo io e lei.
La sua presenza mi scuoteva l'anima, mi agitava.
Ma lei non si girava, cercava di sfuggirmi inutilmente.
Dovevo ricalcare il mio territorio.
Stava per cadere sul mio letto, così fulmineo la presi saldamente per i fianchi e la voltai verso di me.
Il suo buon profumo mi riempiva le narici e i suoi occhi giada parevano perforarmi, spogliarmi di ogni mia difesa.
Avevo abbassato il muro, gettato la corazza, sentendomi debole e vulnerabile, ma anche me stesso.
La mia fronte sfiorò la sua e il mio corpo vibrò a quel caldo contatto.
Ero io a condurre il gioco.
Presi le sue mani e le inchiodai alle mie.
Mi ripetevo mentalmente "sei mia".
La cosa sembrava soddisfarmi, vederla sottomessa a me.
Poi Judie squarciò quel silenzio.
Pretendeva di sapere perché la odiassi, ma io non la odiavo, di più... era il mio tormento, era il male in persona, la mia croce.
Un sorriso malsano si formò sul mio volto, mi avvicanai a lei ancora di più, doveva capire che ero io a comandare.
Poi fu la mia voce a farla tremare, a spiegarle quanto la detestavo, quanto volessi cancellare il suo ricordo.
Quante notti avevo trascorso immaginando una vita tranquilla senza la sua esistenza.
Alcuni ricordi di due anni prima, iniziarono a presentarsi davanti ai miei occhi, confondendomi ulteriormente e così con rabbia strappai via la sua camicia di cotone, intravedendo quel corpo che tanto bramavo.
Dalla camicetta intravedevo non solo la sua pancia, ma il suo misero reggiseno bianco.
Desideravo frantumarlo.
Mi morsi le labbre e le mie pupille si bloccarono a squadrare ogni lineamento di quella corporatura.
Ero in conflitto con me stesso.
Una piccola parte di me mi diceva di smetterla che me ne sarei pentito, ma l'altra, quella più forte, mi incitava a lambire finalmente la mia ossessione.
Quando judie provò a fuggire scioccamente, la furia repressa in me, avvampò incontrollabile.
Spinsi le sue mani contro il muro, era mia e doveva saperlo!
La mia pena era anche sua.
Lei era l'oscurità, ma anche la luce... Il mio male e il mio bene.
<<Sei mia! >> Esclamai e lei rabbrividì, aveva paura di me e ciò in quel momento, era solo una cosa a mio favore.
Continuava a sussultare a ogni mio tocco.
Eppure io mi percepivo così rilassato e confuso, la testa mi girava leggermente.
Prima che potesse fuggire di nuovo, presi quella maledetta ciocca dei suoi capelli, che copriva la sua guancia, e la posai delicatamente dietro il suo orecchio.
Poi voglioso iniziai a delineare con i polpastrelli il suo collo liscio.
Ogni volta che sfioravo la sua pelle mi sentivo esplodere.
Ero la legna da ardere.
E volevo di più, la desideravo tutta per me, non mi sarei fermato.
Avevo già fatto determinate cose, ma lei era il mio punto fisso, il proibito, l'irraggiungibile, la meta tanto ambita...
Fulmineo cominciai a leccare il suo collo. L'attesa era insopportabile.
Assaporavo ogni brandello di quella pelle morbida.
Ma quando iniziai ad eccitarmi seriamente, la mia nemica incominciò ad agitarsi come una pazza e fu allora, che l'odore al cocco, dei suoi capelli puliti riempì la mia testa, mandandola ancora più in subbuglio.
Ero davvero io, quella persona che ora, con tanta ira pretendeva il corpo della mia coinquilina?
Eppure non c'è la feci a resistere, liberai le sue mani dalle mie per sganciarle il reggiseno.
I suoi capezzoli duri, illuminati dal sole mi procurarono un erezione alquanto difficile da gestire.
Ma lei testarda mi spinse nuovamente via, alimentando il mio desiderio per lei.
Perché faceva tanto la santa? Sapevamo entrambi che era solo una maschera, lei era una sgualdrina!
Non poteva cancellare quel ch'è stato, non doveva eliminarmi dalla sua cazzo di mente!!
La rabbia irrefrenabile mi fece buttare Judie sul letto.
"sei mia" era questo il fardello nel mio cervello.
Intanto il cuore continuava a sanguinarmi senza una ragione.
Mi ritrovai a cavalcioni sul suo esile fisico, vederla sotto di me, mi fece provare varie emozioni, sensazioni contrastanti.
Lei non doveva essere mia per amore, non avevo sentimenti, non provavo nulla per lei, ma volevo solo possedere il suo corpo, la desideravo fisicamente.
Sfilai la camicia ormai rotta e fissai quei suoi occhi folgoranti.
Erano la sua arma di difesa, la sua protezione, perché quando li fissavo parevo ritrovare la quiete, il porto sicuro.
Poi una gocciolina bagnò il suo piccolo viso e allora la mia umanità sembrò riaffiorare.
Con il pollice le asciugai il dolore, quello che le stavo procurando io, quello che aveva imprigionato me, che mi stava sotterrando.
Perché io e Judie avevamo un passato e non sopportavo l'idea che lei l'avesse rimosso dalla sua testa.
Non poteva mentire su di noi.
Forse le stavo dando semplicemente troppa importanza.
Probabilmente dovevo lasciarmi tutto alle spalle e ritrovare il mio equilibrio, la mia felicità lontano da lei.
Ma una voce mi ripeteva nella mente "ora è tua" e Judie stranamente non si dimenava più, era totalmente sottomessa, si stava concedendo a me volontariamente.
Allora furbo scesi più in giù, per succhiare, leccare, quei due frutti proibiti e la mia erezione diventò sempre più insostenibile.
Avevo voglia di lei.
Erano morbide e succose, erano come una droga.
Avrei potuto farle mie fino a prosciugarle, ma potevo avere di meglio.
Così scesi piano, leccandole la pancia
e le strappai quella insulsa gonna di dosso.
La sua brasiliana mi fece pulsare forte il mio "amicone" nei boxer.
Dovevo denudarla.
Portai le mie dita alla bocca per umidirle e iniziai a masturbare la sua intimità, era bollente e bagnata.
Quindi anche lei mi desiderava, continuai fin quando non la vidi finalmente gemere di un piacere che solo io potevo procurarle.
Così decisi di penetrare con il mio indice e medio la sua "amica".
Ma la sua faccia iniziò a fare smorfie contrariate. Le stavo facendo male.
Com'era possibile?
Non poteva essere ancora vergine!
Nel suo passato c'era ben altro...
Quel quesito importante incominciò a farmi venire un mal di testa pazzesco.
Mi sentivo ancora più stonato.
Che cavolo avevo bevuto, anzi fumato?!
Così scesi dal letto, ma non volevo abbandonarla, quindi mi inginocchiai, tirai le sue caviglie per portare il mio viso davanti alla sua intimità e assaporarla finalmente.
Quel sapore dolce, appiccicoso e caldo.
Volevo poter restare così per sempre, in quell'inferno che pareva paradiso.
Quel contatto mi faceva impazzire letteralmente e faceva piacere anche a lei, il mio volto si illuminò di compiacimento quando Judie si alzò lievemente e iniziò ad ansimare per la goduria che solo io potevo offrirle.
Perché Judie si faceva sfiorare?
Ero un'altra delle sue pedine?
Perché aveva acconsentito così facilmente?
Per la frustrazione cominciai a succhiare la sua vagina fino a farle captare i denti.
Quel tormento, che lei stava alimentando.
Continuavo a leccare, a godere anch'io assaporandola.
Sentivo le sue labbra pulsare insieme al clitorite, segno che presto il suo succo sarebbe esploso e io non volevo.
Doveva resistere, doveva percepire la frustrazione che provavo anch'io ogni volta.
Quel suo sapore buono, mi fece sentire più vicino a lei, alle sue difese ormai abbattute.
Poi con un fremito inspiegabile risalii verso la sua bocca.
Lì, dove i sentimenti prendono valore.
Dove ciò che non viene detto, viene ascoltato dal cuore.
Dove gli innamorati si scambiano promesse eterne.
Volevo solo poterla percepire veramente mia per qualche secondo.
Lei chiuse le palpebre.
Desiderava anche lei quel bacio?
Non mi odiava intensamente?
Stavo per far scoppiare un ordigno.
Ma le sue labbra carnose mi richiamavano.
E quando le scintille riempirono la mia mente, ma anche il mio cuore e corpo a quel tocco, mi svegliai spaventato e sorpreso di me stesso, in quello stato di trance.
Avevo sfiorato la sua corporatura e quelle dannata bocca, maledizione!
Fuggii da quel letto che ormai odorava di lei.
Mi affrettai a raggiungere la porta, ma il sapore delle sua intimità ancora nella mia bocca sembrò rendermi ancora più lucido.
Mi girai verso di lei e urlai
<<Cazzo!! >>
Non poteva essere vero!!
Io non la amavo, non la volevo nella mia vita, non mi piaceva, anzi la detestavo perché avevo abbassato le mie difese?
Perché avevo toccato il suo corpo e per un breve secondo, le sue labbra?
Non doveva procedere così!!
Stava andando decisamente tutto a rotoli.
Non potevo, però, farmi sconfiggere da questo mio errore, il piano non doveva andare in pezzi.
L'avrei usato a mio favore, avrei aumentato il suo desiderio per me...
Ora era Judie a volermi lambire, mi ero ficcato prepotente nella sua mente, dopo averla sfiorata così intimamente, ma presto sarei rimasto indelebile anche nel suo cuore.
E io l'avrei scartata, evitata come l'ortica, la peste!
PERCHÉ LEI ERA IL MIO VELENO.
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