CAPITOLO 48
La gelosia è il drago in paradiso, l'inferno del cielo, e la più amara delle emozioni, perché associata con la più dolce.
(AR Orage)
<< Che cavolo fai?! >> Urlai quasi, arrabbiata. Mentre cercavo di liberare il mio piccolo polso dalla sua presa.
Ma lui senza sforzo mi tratteneva ancora.
Intanto, la figura di Sebastian diventava sempre più distante, un minuscolo puntino nell'immensità circostante.
Era andato via, lasciandomi lì con il mio nemico inferocito, nonostante la competizione tra loro che si poteva sfiorare tagliente nell'aria, un atteggiamento alquanto strano...
Poi girai di scatto il mio volto delicato verso i suoi occhi devastanti come in una mareggiata.
Si infrangevano contro di me portandomi alla distruzione.
<< Lasciami! >> Esclamai torcedomi nuovamente.
Adrian aveva la testa altrove. Guardava il tramonto davanti a lui, chiazze tonalità cremisi riempivano il cielo e lui era come perso nei suoi insidiodi pensieri.
<< Vieni con me>> decretò solenne.
Eppure non capivo... Poteva mollarmi semplicemente a casa e fare ciò per cui era uscito, invece pretendeva la mia presenza.
Mi dominava come se davvero gli appartenessi, come fossi una sua pedina.
Allora riflettei su una cosa importante.
Un dibattito acceso a cui avevo preso parte in una lezione di letteratura inglese...
L'amore quello vero esiste? Ma soprattutto dov'è? Dove si nasconde quell'amore che riscalda il cuore fino ad arrivare all'anima?
È tra le fessure, tra gli spiragli, tra le crepe del nostro essere.
È quel flebile raggio luminoso che arreca felicità, gioia.
Eppure, più provavo a cercarla, più sembra tutto così invano, nitido.. così dolente, così disperato.
L'amore disarma!
È il buco nero che ci risucchia che ci fa sprofondare e allo stesso istante il nostro paradiso immaginario, la nostra salvezza.
Proprio come un fiore che sboccia e poi lentamente muore, petalo dopo petalo.
Perché l'amore ha bisogno di essere alimentato costantemente, necessita disperatamente di sentirsi completo, unito a qualcuno... La persona per cui quel sentimento porta incondizionatamente ad amare, amarsi e sentirsi amati.
Le gambe immobilizzate, tremavano leggermente.
Non riuscivo a fare un passo decente, Adrian quasi mi trascinava con quel suo tocco che ancora mi ardeva sotto pelle.
Usciti dal cancello principale in ferro della mia abitazione, il mio coinquilino gridò possessivo:
<< Seguimi! >>
Allora mi percepii sprofondare nel panico.
Quall'era la meta? Cosa voleva da me?
L'ansia aumentava.
Intanto, avevo ancora la sua grande mano stretta al mio polso.
Guardai fissa la scena.
La mia carnagione chiara, con la sua candida si intonavano benissimo producendo sfumature lattee e rosate, parevano fatte l'una per l'altra.
E se quella presa fosse stata, invece, morbida? Dolce? Calorosa?
Una scossa al cuore mi riprese all'istante fortunatamente, perché Adrian non sapeva nemmeno il significato della parola amore e anche per questo dovevo trovare il modo di non cercarlo frequentemente nella mia mente.
Nel frattempo, non osavo immaginare le persone del quartiere che potevano intravederci così e pensare di conseguenza cose inesistenti che sarebbero giunte sicuramente malefiche, addirittura, ai miei cari genitori.
Ma come se Adrian avesse letto nella mia testa, scanzò improvvisamente il mio polso ed io mi trovai ferma, sconcertata, di nuovo sola...
Una smorfia lieve di sofferenza.
Allora il mio nemico tuonò:
<< Non fare pagliacciate. Devo raggiungere l'istituto, ho dimenticato in palestra la felpa della tuta da ginnastica >>
<< E perché miseria dovrei venire anch'io? Lasciami in pace!
E poi che comportamento era quello con Sebastian, ti si è fuso il cervello? >> Chiesi alterata.
<< Quale parte del nostro accordo non ricordi? >> Domandò quasi esausto, frustrato.
Ancora con quella storia? Quando non solo non avevo dato il mio consenso a quella sua richiesta malsana, ma lui stesso non aveva rispettato i patti quando furtivamente lo sorpresi quel pomeriggio con quella tipa dai capelli ricci...
Forse dovevo proprio dirglielo, ma faceva così male riaprire quella specie di ferita...
un dolore che non conoscevo, di cui non ne capivo il significato.
Sapeva solo dilaniarmi.
<< Tu comprendi, invece, ogni volta che ti ripeto che non sono di tua proprietà? >> Gli rammentai quasi retorica per zittirlo, infastidita.
Ma lui mi puntò un'occhiataccia, venefico.
Fece segno con la mano di proseguire e a quel punto non potevo più ammirarlo... era dietro di me.
Mi sentivo in soggezione, speravo che non stesse osservando ogni parte del mio corpo, perché solo il pensiero mi faceva avvampare per la vergogna.
Ora, davanti a me, avevo la solita strada tranquilla per andare a scuola. Larghi marciapiedi in cemento laterali con grandi alberi quasi spogli ogni cento metri e case di varie tonalità dal marrone al celeste a costellare il panorama.
Altri dieci minuti per giungere a destinazione.
Per tutto il tragitto Adrian non mi rivolse la parola e ciò non sapeva né di bene né di male... Semplicemente di sospetto.
Canticchiò delle strofe familiari.
Una specie di canzone per bambini, ma perché intonarla proprio adesso? Non conosceva canzoni più moderne, per adulti?
"L'arcobaleno tinteggia le giornate grigie perché non siamo soli, c'è sempre qualcuno al nostro fianco..."
Fu l'unica frase che in quel momento avevo decifrato per intero e che speravo vivamente di non dimenticare per cercarla in internet, desideravo qualche informazione su di essa.
Ma una volta vista l'immensa scuola in lontananza e quindi capendo che la conversazione sarebbe durata poco, se mai il mio tormento si fosse degnato di una risposta, coraggiosamente dissi:
<< Dove hai imparato queste strofe?>>
Lui ci ragionò su e dopo qualche secondo comunicò solamente:
<< La intona sempre mia madre a mio fratello >>
Fortunatamente non mi ero fermata a guardarlo in faccia per l'insicurezza.
Deglutii, dopo essermi resa conto che forse avevo toccato un tasto dolente.
Faustamente il leggero rumore dei nostri passi riempì quel silenzio troneggiante che pesava graffiante nell'aria.
Poco dopo giungemmo all'istituto.
Per fortuna di pomeriggio si facevano tante attività diverse, quindi la scuola doveva chiudere fra circa un'ora.
Solo un paio di persone erano nell'ampio cortile incorniciato da fiorellini gialli.
E quando fummo davanti alla larga porta di sicurezza in un angolo nascosto dell'edificio che portava direttamente all'interno della palestra, Adrian mi sorpassò.
Girò il suo viso ben delineato verso la mia magra corporatura e sentenziò:
<< Se c'è qualcuno ad allenarsi stammi lontana, non voglio che uno di questi buffoni senza cervello inizi a dire in giro strane cose su di me >>
Casomai "su di noi" pronunciai mentalmente, nervosa e perplessa.
E ubbidii perché non desideravo assolutamente che qualcuno parlasse nuovamente di me...
Spalancò la porta in ferro ed io solo dopo qualche suo passo in avanti, entrai e lo seguii attentamente.
Miracolosamente la palestra era vuota.
Le grandi luci e fari bianchi illuminavano ogni cosa.
Nei lati innumerevoli gradinate in legno.
Al centro una pista lucidissima e super pulita.
C'era il canestro per il basket, ma nelle altre aree della scuola si potevano praticare altri tipi di sport come il rugby.
Visto che eravamo soli in quel posto, avanzai il passo e mi avvicinai al mio nemico che ora guardava tra i posti a sedere se c'era la felpa della sua tuta da ginnastica.
Per fare prima, automaticamente senza che lui proferisse parola perché non avrebbe mai chiesto il mio aiuto, mentre io veramente avevo bisogno di una mano per domani alla verifica di letteratura inglese, cercai sulle panche opposte, ma stranamente non c'era nulla.
<< Cazzo ma dov'è? >> Udii imprecare improvvisamente tra sé e sé Adrian.
Poi continuò esaminando ogni mio movimento quasi stranito da quel mio gesto.
<< Qui non c'è. Vieni, andiamo negli spogliatoi, forse è lì. >> Esplicitò inaspettatamente ed io solo al pensiero di oltrepassare quel posto proibito mi sentii incenerire, diventare polvere.
Il volto si colorò di un rosso vivace.
<< No, resto qui >> imbronciai sperando che non continuasse ad obbligarmi, perché non volevo introdurmi in quel luogo.
E se qualcuno ci adocchiasse??
<< Quattro occhi sono meglio di due>> spiegò senza alcuna espressione.
A malapena soffocai una risata a quella risposta bizzarra.
Desiderava davvero il mio aiuto? O era tutta una falsa?
Che strano modo di ricercare il sostegno di un'altra persona...
Appena entrai incomprensibilmente trovai tutto perfettamente in ordine.
Eppure con tutti quei ragazzi ad allenarsi ogni giorno pensavo ci fosse un disastro pazzesco, tutto rotto e maleodorante...
Invece c'erano vari armadietti grigi, panchine in ferro e legno, sette doccie sul lato sinistro e sul lato destro quattro bagni.
Tuttavia, già da fuori si poteva evidenziare che non c'era alcun indumento in quel posto.
Ma Adrian insoddisfatto, perlustrò freneticamente anche in quello che doveva essere il suo armadietto.
Alla fine se perdeva la felpa per praticare ginnastica bastava pagare un supplemento per averne un'altra, quindi non comprendevo il motivo di quella agitazione.
Era così sofferente...
<< Perché la stai cercando disperatamente? >> Farfugliai sperando di ricevere una risposta, mentre, nel frattempo, mi ero accomodata in una di quelle panchine in legno, dato che mi sentivo molto stanca.
<< C'e una cosa importante nella tasca>> confessò senza altre spiegazioni.
Ma ora ero ancora più curiosa, eppure non volevo obbligarlo a confidarsi o meglio, ne avevo quasi paura.
Mi alzai per aiutarlo, mi dispiaceva per lui nonostante il suo essere insensibile e cattivo nei miei confronti.
Scrutai un po' ovunque:
nelle doccie, nei bagni e proprio quando fui all'ultima toilette, Adrian fu dietro alla mia figura.
Posò insperabilmente le sue grandi mani delicatamente sui miei esili fianchi.
Titubai perfino della mia esistenza.
Sobbalzai internamente per lo stupore.
Il cuore accellerò senza alcun controllo, perché quel tocco mi riscaldava l'essenza.
Ogni parte di me parve prendere vita e poi dilaniarsi nell'ansia, nello spavento più totale.
Così, istintivamente spostai il mio volto lateralmente cercando di osservare ogni sua espressione, di capire la ragione di quel suo gesto inaspettato.
Ma Adrian come avvilito fece un sospiro e appoggiò delicatamente il suo mento sulla mia piccola spalla.
Rabbrividii così forte all'interno che non ebbi il coraggio di dire nulla, nemmeno di osservare il suo candido viso o i suoi occhi ghiaccianti.
Il suo profumo forte da uomo mi imprigionava le narici.
Mentre tastava ancora assiduamente il mio corpo.
<< Adrian >> balbettai per fargli notare l'assurda situazione.
Eppure quel calore mi travolgeva solo con lui, nonostante tutto, mi trasmetteva l'ardore, mi faceva sentire al posto giusto, mi rendeva in un certo senso felice...
Poi sospirò nuovamente e io mi percepii sciogliere appena lo udii.
Così il mio coinquilino iniziò a succhiare piano con le sue carnose e morbide labbra il mio collo liscio.
Un fremito mi percosse la schiena fino a stravolgermi l'anima, ogni mia particella.
Ma il mio tormento proseguiva a lambire la mia pelle facendomi sentire troppo vulnerabile.
Come se improvvisamente non mi detestasse, ma mi desiderasse.
E ciò continuava a farmi vacillare nell'oblio.
<< Adrian >> ansimai ancora.
E lui di scatto mi girò sorprendentemente verso il suo volto sofferente e le sue palpebre chiuse, il respiro affannoso.
Cercavo di trapelare con lo sguardo qualsiasi sua espressione per trovare una risposta a tutto ciò e quando automaticamente sfiorai i suoi capelli scuri, in una specie di carezza impaurita, mi schiacciò al muro freddo dietro di me, calando giù fulmineo la cerniera del mio giubbotto imbottito.
NOTE ❤️
Ciaooooo 😊
Festeggiate ancora il carnevale con vestiti bizzarri o preferite mangiare solo tutte quelle prelibatezze?
L'ultimo abito da voi indossato è stato?
Il mio era:
"la corsara" in prima media 🎭
Non vedo l'ora di assistere alle sfilate dei carri allegorici e voi?
Un caloroso abbraccio 🧸
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