CAPITOLO 40
"Rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutarsi di vivere per paura di morire."
(Jim Morrison)
"Ma che cazzo succede?!"
Fu la prima frase sensata ad apparire magicamente nel mio cervello, appena appresi il discorso perverso e la consistenza che apparteneva all'intimità di Adrian.
Spalancai gli occhi, fissai le sue pozze azzurre contornate da sfumature verdi, mentre lui continuava a sorridermi maligno, in attesa della mia risposta.
Ero decisamente perplessa.
Perché pretendeva certe cose da me?
Praticamente dovevo fare un lavoro di mano o peggio a quella cosa che sembrava un serpente?
Chiusi ed aprii freneticamente le palpebre per assicurarmi che non stessi sognando, anzi che non fossi intrappolata in un incubo.
Ma la realtà era immobile davanti a me, più graffiante che mai.
"Se vuoi, puoi giocarci" era diventato in meno di un minuto una specie di nuovo tormentone nella mia mente. Ormai non connettevo più, ero alla deriva...
Avevo voglia di lui, delle sue labbra... Eppure, scioccamente non avevo considerato che tutto ciò, con quella persona, in questo preciso istante e posto, avrebbe inevitabilmente indotto il mio coinquilino a una sete di lussuria e goduria irrefrenabile.
Adrian fermò la mia figura tra lui e la porta, abbandonò le mie mani, che inermi caddero lungo la mia corporatura.
Poi intravidi le sue dita lunghe sciogliere viscide il nodo sul pantalone del suo pigiama grigio chiaro.
Strizzai gli occhi tanto da sentire dolore.
Mentre percepivo le sue pupille nere perforare ogni parte di me, perfino l'anima disorienta.
Quando finalmente sbarrai le palpebre, notai subito che il mio nemico aveva, ormai, il calzone slacciato.
Stavo seriamente atterrando giù, nell'oscurità, precipitando nel baratro.
Eppure, fino a pochi minuti prima, pareva soltanto il mio romanzo personale, costellato di passione...
L'immaginazione positiva era decisamente da cessare con quel soggetto.
Aspettai ansiosa, con il respiro convulso di avvistare quel suo amicone spuntare fuori, tanto che solo l'idea mi faceva tremare internamente.
Tuttavia, Adrian abbassò di poco il pantalone permettendomi di scrutare solo sopra al suo inguine candido, sembrava di poter tastare con il pensiero un oggetto di porcellana.
Ciononostante, una cosa catturò molto la mia attenzione. Soffermai il mio sguardo su di essa e il mio tormento parve appagato dalla scena come a reclamare proprio questo.
Tentai di focalizzare bene quella piccola macchia nera.
Senza trovare momentaneamente un vero significato a quella figura.
Una rosa incolore a cui cascavano i petali...
Ero senza parole.
<< Non è la prima volta che lo fissi >> pronunciò improvvisamente con serenità, Adrian.
Percuotendo ancora di più il mio cuore in fremito.
Cosa cavolo voleva significare ciò che aveva appena detto?
Quel tatuaggio non l'avevo mai adocchiato sul suo corpo, ciononostante, mi sembrava così dannatamente familiare, forse l'avevo sbirciato in qualche rivista o su internet... Era l'unica deduzione plausibile in quel momento.
Poi Adrian sorrise venefico, mostrando la sua dentatura bianca.
Prese senza permesso la mia mano, la pose sulla sua e la adagiò sul suo tatuaggio.
Ma continuavo a non rammentare nulla.
Il contatto della sua pelle nascosta sulle mie dita, mi fece arrossire.
Mi captavo in un bizzarro disagio.
Sembrò, così, di cancellare per un istante la sua furbizia peccaminosa.
Mi parve semplicemente un angelo puro, senza alcuna macchia nera.
Circondò il mio indice e ricalcò con esso il contorno di quel piccolo disegno.
Infine non contento, trascinò la mia mano nuovamente sul suo pacco duro ed eretto.
Costatavo la presenza imponente di... una grossa zucchina...
Fu la prima cosa che mi venne in mente, dato che percepivo la forma abbastanza lunga e doppia.
Tastai il proibito, ma dopo la paura iniziale, di oltrepassare la luce oscura, capii che non c'era nulla da temere perché, in realtà, certi giochi da sadico vanno condotti dalle donne.
Se solo si fosse azzardato ad andare oltre gli avrei spezzato sicuramente quella specie di bastone che ora concretizzavo nelle mie piccole dita, portando, però, nel mio corpo uno strano appagamento...
Una specie di piacere fisico.
Non dovevo superare certi limiti quindi era opportuno, oramai, scappare via.
Indietreggiai solo di qualche passo, mentre Adrian non mi dava la possibilità di lasciare il suo pacco voluminoso.
Poi inaspettatamente sfiorai con il piede destro una modesta scatola lì accanto e persi l'equilibrio.
Non l'avevo proprio vista, miseria!
Stavo praticamente per cadere pesantemente sul pavimento freddo, causando un bel fracasso.
Il lieve rumore erompeva ancora nei miei timpani.
Ma il mio nemico repentino prese il mio busto tra le sue grandi braccia calde e mi ritrovai con la schiena schiacciata sul suo petto morbido, abbracciati...
Quasi cullati da quella ruvida sensazione.
Quella calura mi fece sentire a casa in quel luogo inadatto, come un fiore che sboccia durante una nevicata.
Ora ero più confusa che mai.
Cosa stavo provando realmente per Adrian ogni giorno di più per percepire determinate emozioni? Doveva essere il mio bene, la mia felicità o solo il mio male da cui tenermi alla larga?
Intanto il mio tormento non aveva ancora lasciato la presa.
Sembrava anche lui incantato da quella specie di ricongiungimento inaspettato.
Esistevamo solo io e lui.
Due comete che incredibilmente cadono nello stesso posto, creando un caos pazzesco.
Di riflesso congiunsi le mie esili mani sulle sue.
Quel tocco, se pur breve, parve beneficiare entrambi di una pace interiore, ormai, persa da tempo.
Desideravo fermare tutto... Volevo restare nella mia storiella fatata.
<< Sta attenta per favore. Sei troppo distratta >> farfugliò improvvisamente Adrian a tono basso dietro al mio orecchio.
Un misto di dolcezza e preoccupazione, forse mai uditi dalla sua voce.
Poteva quel tipo essere anche questo? O mi prendeva semplicemente in giro perché bramava solamente il mio corpo?
<< ok >> esordii unicamente, immobilizzata da una specie di timidezza.
Il mio coinquilino lasciò piano la presa, indietreggiò giusto tre passi affinché quei due mondi opposti non si potessero mai più assaporare, curare le ferite l'uno dell'altra, in un congiungersi e dividersi disperatamente.
Così, mi girai di scatto verso il suo sguardo stranamente rivolto al basso.
Sembrò essersi spezzata improvvisamente tutta quella magia. Adrian parve seriamente turbato, come se il dolore inaspettatamente avesse bussato alla sua essenza, colpendo la sua entità indifesa con frecce mortali e sanguinanti.
<< Ora ritorno in camera mia. Temo che quel casino possa aver svegliato i miei genitori >> bisbigliai quasi, osservandolo ancora.
Era questo il momento giusto per fuggire via, anche se una parte di me sembrava, in realtà, bloccata lì al suo fianco.
Non dovevo giungere più nella tana del lupo in modo così maledettamente audace.
Il mio nemico si avvicinò alla sua porta, la dischiuse dopo aver girato la chiave al suo interno e prima di rivolgermi un silenzioso addio, mi guardò intensamente come ad imprimermi nel cervello quelle parole:
<< Ricordati che non abbiamo finito qui. >>
Non risposi.
Sorpassai solamente la sua corporatura uscendo da quel posto raccapricciante, da quel tetro essere soprannaturale.
Tanto, ormai, avevo compreso che non si sarebbe fermato lì. Nulla era concluso, era solo l'inizio di un nuovo capitolo della mia vita immorale.
Così, mi ritrovai fortunatamente nel corridoio buio.
Mentre Adrian continuava a guardarmi scappare via da lui, affiancato allo stipite della sua porta.
Il cuore martellava impetuoso nel petto e l'anima pareva bruciare come il mio volto e il mio corpo ad ogni immagine di noi due attaccati l'uno all'altra, come l'unione inevitabile del sole e la pioggia durante una tempesta incorniciata da un arcobaleno... Era vivida nel mio cervello.
E uscii dalla tana del lupo intatta, questa volta, salvata da me stessa, non dal cacciatore come narra la fiaba.
Perché siamo noi le eroine di noi stesse... Siamo noi a salvarci da sole o decidere di sprofondare nella voragine.
NOTE 🎄
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A presto 🎆
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