CAPITOLO 27

"Il vero amore ha inizio quando nessuna cosa è richiesta in cambio."
Antoine De Saint-Exupery




Ritornai nel lungo corridoio, l'ansia sembrò invadermi, rendendomi inquieta.
Le parole di mia madre mi risuonavano nella mente.
Perché la vita pareva non darmi tregua?
Intorno a me solo poche persone che si apprestavano a raggiungere le proprie aule.
Mancava soltanto poco più di un'ora...

Aprii la porta scoprendo una stanza già piena di studenti.
Ognuno con il proprio stile differente.
Una benedizione a parere mio, odiavo quando tutti seguivano la stessa moda. Mi davano l'impressione di stare intorno a tanti cloni.
I banchi davanti a me erano ormai vecchi di anni indefiniti e le pareti ricoperte di varie scritte colorate o di disegni inopportuni.

L'unico posto disponibile fu in prima fila, dove il professore di letteratura inglese non faceva altro che fissare.
Mi parve una maledizione...
Quando l'insegnante entrò, l'aula fu sommersa da un silenzio totale, tutti erano intimoriti da lui.

Era soprannominato " SGUARDO ASSASSINO" perché appena posava i suoi occhi sul tuo corpo potevi dire addio alla tua vita... non stavo esagerando, era così lunatico da poterti sospendere senza una giusta causa... perché lui era anche il vicepreside purtroppo.

Cercai di sembrare molto attenta e interessata a quella noiosa lezione.
Non volevo ulteriori guai quella giornata.
L'ora interminabile passò, il suono della campanella parve la mia condanna a morte.
Uscii di fretta dalla stanza scontrandomi con qualcuno.

<< Oh scusami >> pronunciai dispiaciuta, mentre mi toccavo la spalla destra dolorante.
<< Scusami tu >> rispose la persona che ora era di fronte a me.
Poi preseguì << ma sei tu, Judie! Dai andiamo al bar qui fuori, ti offrò il caffè. >>
<< Peter non posso proprio mi dispiace >> spiegai leggermente irritata.
<< È per quella chiamata? >> Chiese sfacciato.
<< Si esatto >> chiarii semplicemente.
<< Allora ti accompagno fino al cancello del cortile, per il caffè ci organizzeremo un'altra volta >> sentenziò sereno, portando le braccia per un breve momento dietro alla sua nuca, incrociandole.

<< Hai finito a scuola o hai il corso d'arte? >> Domandai dubbiosa.
<< Fortunatamente posso andarmene da qui >> esordì in un sorriso perfetto.
Aprii la porta principale, facendomi passare per prima come un vero gentiluomo...
Il cielo nuvoloso riempiva la città, ogni tanto un raggio di sole filtrava dalle nuvole grigie, splendendo sui bei capelli castani di Peter e le sue labbra rosate.
Eppure più che il suo viso, a colpirmi ogni volta era il suo fisico maestoso.
Lo scrutavo ripetutamente, immaginando la sua corporatura definita da sotto a quei vestiti aderenti.

Il giardino era pieno di alberi enormi, l'autunno pareva aver rapito tutte le foglie, mostrando solo i rami lunghi e spogli. Qualche fiore era ancora presente animando e dipingendo quel paesaggio caratteristico.

Olimpia era l'unica che girava costantemente in abiti troppo estivi, giusto per mettere in risalto la sua figura formosa.
Era tempo di riportare alla luce qualche felpa dagli scatoloni...
solo in quel preciso istante costatai che l'estate era realmente conclusa.

<< Come mai sei così silenziosa? >> Mi chiese Peter.
<< Osservavo il cortile... credi che quest'inverno nevicherà? >> Domandai quasi a me stessa.
<< Probabile... o almeno lo spero >> mi rispose, sorridendomi ancora.
<< Si! Sarebbe fantastico! >> Esclamai solo al pensiero di vedere New Port ricoperta da un manto bianco.
Poi continuai agitando forte la mano verso la sua direzione << siamo giunti a destinazione, devo proprio salutarti... ciao! >>
Sorpreso mi guardò andare via, rimanendo lì, a un passo dal cancello.

Appena fui lontana dalla vista di quel figo, presi il cellulare dallo zaino per controllare l'orario.
Miseria avevo perso troppo tempo!
Incominciai a correre veloce, cercando, però, di non farmi male.
Arrivai in soli dieci minuti fuori alla mia abitazione.
Mi fermai di scatto riprendendo fiato, ma soprattutto acquistando coraggio.
Feci un bel respiro profondo, contai fino a dieci ed estrassi le chiavi dalla tasca dei jeans scuri, schiudendo una volta per tutte il tragitto che mi avrebbe condotta all'inferno.

Il silenzio e il buio troneggiavano in tutta la casa.
Camminai verso la cucina e accesi la luce, ritrovandomi le medicine sul tavolo di legno, come aveva detto mia madre.
Raggiunsi il forno, dal vetro riuscii ad intravedere il cibo che decisi di riscaldare subito.
Buttai la cartella sul divano e scrutai le scale.
Dovevo andare dal mio nemico, molto probabilmente era nella sua camera.

Feci nuovamente un respiro profondo.
Inalando tutta l'aria e la forza possibile per quell' incontro/scontro.
Mi apprestai a salire le scale, ma dopo una decina di scalini scesi giù di nuovo perché avevo dimenticato il farmaco.
Una volta impugnato, spalancai il frigo per prendere un po' d'acqua da versare nel bicchiere che ora avevo tra le mani.
Infine raggiunsi di nuovo le scale, con un unico pensiero fisso nella mente... Adrian.

La porta della sua stanza era socchiusa, la aprii cautamente.
La notte sembrava aver già invaso quel posto.
Riuscivo solo ad intravedere una figura sotto alle coperte.
Mi avvicinai piano alla finestra con il cuore tremante. Spalancai leggermente le tendine tonalità cammello, che adesso parevano aver dato un po' di luminosità a quella camera perfettamente ordinata, con tanti libri diversi a costellarla.
Sulla scrivania c'era il suo zaino e dei quaderni.

Appena adocchiai quel letto, ricordai fulminea ciò che era successo tra noi.
Quel contatto che ancora mi bruciava, tanto da scuotermi l'anima, i pensieri e forse anche il cuore.

Ma Adrian non doveva essere nulla di più che il mio coinquilino, questo ormai mi era chiaro...
Una trapunta blu ricopriva il corpo del mio nemico che sembrava addormentato.
Mi dovevo avvicinare, mi sentivo ardere.
Mi accostai al matarasso, con il battito accelerato.
Il suo volto era girato dall'altra parte, impedendomi di poterlo osservare bene.

Istintivamente misi la mia piccola mano sulla sua fronte, verificando che purtroppo aveva ancora la febbre alta.
Dovevo fare qualcosa, aiutarlo.
Girai piano il suo viso bollente verso la mia direzione.
Quel contatto mi faceva vibrare, un lieve tremore all'interno.
Fissai il suo volto rilassato e dormiente, le palpebre chiuse mettevano in evidenza le lunghe ciglia nere, ripercorrevo con le mie iridi giada i suoi lineamenti, il suo naso dritto e le sue labbra carnose ben delineate che ora erano abbastanza rossastre.

Stava così male da non reagire alla mia presenza.
Mi sorprese...
Spinsi il suo volto ancora più verso di me, adesso era totalmente tra le mie braccia mentre sedevo lì accanto.
Come un bambino al sicuro nel grembo della sua mamma.

Più lo osservavo così, più ne rimanevo affascinata, stupita.
Pareva un angelo decaduto.
Quella bellezza mozzafiato, travolgente che apparteneva solo a lui.
Presi tra le dita la medicina e il bicchiere d'acqua che avevo posato precedentemente sul comodino vicino.

Deglutii quando i miei polpastrelli tastarono quella bocca morbida, poggiando la pillola tra la fessura delle sue labbra.
<< Dai Adrian ingoia >> supplicai inutilmente, con il bicchiere d'acqua vicino al suo viso.

Continuava a non reagire, la cosa mi faceva preoccupare terribilmente.
Lo richiamai più volte, cercando di fargli prendere le medicine, ma niente.
Così feci una cosa inimmaginabile, perché più le ispezionavo, più le bramavo.
Tolsi la pillola e il boccale sovrapponendoli nuovamente sul comodino.

Delicatamente le mie labbra sfiorarono le sue.
Poi le spinsi forte assaporando il contatto, cercando di provocare una reazione in lui.
Ma il contraccolpo fu soltanto mio...

Fu l'esplosione di un vulcano, la lava ricopriva la mia bocca, rendendola cenere al tocco.
Furono le farfalle nello stomaco, il cervello in modalità off, il cuore frenetico, l'anima rinata... fu il tutto e il nulla.
Fu Adrian e il "noi".
Fu vivere per un secondo in paradiso per poi ricadere nell'oltretomba.
Fu una sensazione unica.
Furono tante emozioni, ma solo una a prevaricare...
La sua calura mi avvolgeva, facendomi sentire finalmente al sicuro, nel posto giusto...
Fui il bruco che si trasforma in farfalla, spiccai il volo per un attimo...
e come neve caddi giù sciogliendomi al suolo.

Avevo paura perché Adrian non mi voleva nella sua vita, eppure io adesso riuscivo a percepirlo flebile e pericolosamente vicino a qualcosa che andava oltre i miei pensieri...

E mentre le mia bocca era ancora premuta sulla sua, quasi incatenata, lui incominciò a scuotersi contrariato, a occhi chiusi come in un incubo.
E fu allora che sgranai le palpebre, risvegliandomi da quello stato di quiete e spinsi repentina la medicina e l'acqua nella sua bocca e lui fortunatamente ingoiò controvoglia.

Mi captai finalmente più serena, ma anche scossa.
L'avevo baciato a sua insaputa.
Per una ragione a me ancora sconosciuta.
Era il mio segreto, il mio tormento... quel casto bacio, eppure mi aveva totalmente rapita.
Ora mi percepivo maledettamente più confusa e più attratta da lui, dal mio fardello, dalla mia dannazione...

Mi riscossi improvvisamente quando ricordai di aver lasciato il cibo a riscaldare già da un po'.
Liberai Adrian ancora dormiente dalle mie braccia oramai roventi e scesi dal letto dove ormai ero seduta comodamente, poi corsi frettolosamente giù.
Una volta in cucina verificai che divinamente non avevo mandato in fiamme la casa, perché lo ero già io...

Afferrai con uno straccio la pentola fumante.
Versai il brodo squisito della mia genitrice in un piatto largo di ceramica, poi presi un cucchiaio.
Doveva mangiare...
Tuttavia ora risalire quelle scale pareva ancora più difficile...



































NOTE ❤️

Ciao 😊

A breve finiranno le vacanze estive per dar posto alla scuola o anche al lavoro.
Siete pronte?

A presto 🌺

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