CAPITOLO 25
Ci sono ferite che non guariscono, quelle ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.
(Oriana Fallaci)
Quella parola mi esplodeva ancora nel cervello.
Mi graffiava il cuore, lacerando.
Adrian era vicino alla porta, cercava freneticamente le chiavi per aprire la serratura.
Il mio sguardo fisso sul suo corpo, che qualche istante prima era su di me, mi sfiorava, mi faceva sentire sua.
Immobile sul letto ancora seminuda, non osavo alzarmi.
Ero incredula, non molto per il comportamento ambiguo del ragazzo davanti a me, ma per quello che gli avevo permesso.
La verità è che quel calore lo ricordavo, mi rammentava qualcosa, mi faceva stare bene, ne avevo bisogno.
Man mano si imponeva sempre più forte nella mia testa, eppure Adrian non poteva essere nulla di più che il mio coinquilino.
Gli avevo concesso il mio corpo. Di oltrepassare il limite, avevo gettato l'armatura per sentirmi viva, per provare ancora una volta quella calura che tanto bramavo, ma quella persona mi odiava, mi aveva toccata per ferirmi e io stupidamente gli avevo dato libero accesso.
Dal buio ormai della camera, esaminavo la sua bella figura.
Quella dannazione che lo rendeva ancora più intrigante.
Aveva i vestiti stropicciati, i suoi capelli mossi, ricadevano scuri sulla sua fronte lattea, ma erano i suoi occhi chiari a perforarmi l'anima.
A rendermi così vulnerabile.
Quando le sue succose labbra per un breve attimo avevano delineato le mie, in un incandescente sensazione di passione estrema, Adrian mi era apparso così fragile... delicato come un fiore, tanto da non capacitarmene.
Finalmente aveva trovato le chiavi e aperto frettolosamente la porta, senza proferire parola o solamente scrutandomi.
Dalle scale udivo rumore di passi avvicinarsi.
Così di scatto mi alzai dal letto.
Fu un trambusto.
Presi la gonna con la brasiliana dal pavimento freddo e le infilai velocemente, poi allacciai il reggiseno, ma la mia camicetta ormai era rotta.
Presi quello che ne rimaneva e lo nascosi sotto al letto, scoprendo per mia fortuna, lì vicino, una maglia di Adrian, grigia semplice.
Non esitai ad indossarla.
Percependo le sue iridi azzurre contrariate sulla mia corporatura.
L'odore di lui trapelava dal suo indumento, mandando in subbuglio i miei pensieri.
Appena avvistai papà abbastanza vicino allo stipite della porta, Adrian si nascose dietro di lei.
Che stronzo, far fare a me il "lavoro sporco".
Avevo capito subito il suo piano, alla fine lui pensava solo a sé stesso...
<< Papà dimmi >> esordii incurante della stanza in cui mi trovavo.
<< Tesoro ti stavamo aspettando giù da un po'. Ma che stai facendo qui? >> Mi chiese dubbioso.
<< Cercavo degli indizi. Ho scoperto su quel calendario che oggi Adrian, aveva un progetto a scuola, quindi sta bene. >> Mentii dopo aver indicato l'agenda, contrariata dal fatto che dovevo pure aiutarlo ad uscire fuori da quell'assurda situazione.
<< Ora sono più tranquillo, vado a comunicarlo subito alla mia dolce metà. Scendi dai o il pasto si raffredderà >> poi continuò << prima ho udito un po' di fracasso eri tu? >>
<< Papà lo sai che i vicini sono poco rispettosi >> risposi scocciata, mentendo ancora.
Mi fissò per qualche secondo, infine mi sorrise.
Scese le scale, avvisando la mia genitrice.
Appena fui con entrambi i piedi fuori dalla stanza, la porta si richiuse prepotente alle mie spalle.
Ero scioccata.
Invece di ringraziarmi, mi aveva esclusa nuovamente dalla sua vita.
Ma ora non potevo riflettere su nulla, dovevo togliermi la sua maglia e correre giù in salone.
Svelta entrai nella mia camera, tolsi la sua t-shirt. Era tra le mie mani e continuavo ad esaminarla con il cervello svuotato di tutto.
Avvicinai il naso, inalando per l'ultima volta quel profumo da uomo, che prima mi aveva circondata.
Infine infilai una canottiera blu che avevo appoggiato la sera prima sul mio materasso e corsi giù.
<< Ah eccoti, siediti pure >> ammiccò mio padre.
<< Sai in una vetrina ho visto una gonna di pelle che ti starebbe benissimo >> confessò improvvisamente mia madre.
<< Non hai una foto? Ora sono curiosa! >> Esclamai.
<< No, ho dimenticato di farla, che stupida! Allora te la descrivo >> sentenziò.
Incurante di ciò che era appena successo, chiacchieravo con i miei genitori.
Mentre Adrian era rintanato nel suo strano mondo, dove non c'era posto per me...
Ora la domanda era:
Come dovevo definire il nostro rapporto?
Eppure qualcosa mi suggeriva che non ci sarebbe stato niente da specificare, perché per lui non esistevo.
~
Dopo una notte insonne in cui, il ricordo del suo corpo sul mio, della sua lingua nella mia intimità, della sua bocca sul mio seno mi infiammava, decisi di alzarmi un po' prima dal letto.
Mi sarei preparata per andare a scuola con più calma.
Il cielo grigio sembrava rispecchiare il mio vero stato d'animo.
Ogni tanto qualche gocciolina scendeva sul vetro della mia ampia finestra.
Mi sentivo a pezzi.
Non avevo voglia di nulla.
Volevo solo tempo per metabolizzare ciò che era successo perché pareva ancora solo un sogno.
Quelle visioni apparentemente belle, che invece, scopri essere incubi e adesso Adrian per me era questo...
Dalla persiana avevo notato che l'auto dei miei genitori non era in cortile.
La cosa migliore da fare era raggiungere l'istituto molto prima, per non incontrare il mio fardello.
" Puoi farcela Judie " mi ripeto ogni minuto mentalmente.
Corsi in bagno per una breve doccia, in cui preferii opinare su niente.
C'era solo il getto dell'acqua fredda a riprendermi leggermente da tutta quella confusione che provavo all'interno.
Dopo aver asciugato anche i miei setosi capelli castani, ritornai in camera.
Dall'armadio presi le prime cose che avevo davanti, un jeans blu lungo e una felpa non troppo pesante, color viola.
Mi vestii controvoglia e con troppa lentezza.
Avevo delle occhiaie grandi, ben visibili, quindi le ricoprii con fondotinta e correttore.
Il risultato finale era abbastanza buono ed omogeneo.
Abbandonai la stanza alla mie spalle, dirigendomi in cucina per una piccola colazione, non avevo molta fame. Quando fui all'ultimo gradino, però, le gambe iniziarono a tremarmi.
Intravedevo la figura di Adrian seduta al maestoso tavolo di legno, sorseggiava qualcosa dalla tazza.
Deglutii.
Presi coraggio mentalmente ed entrai nel salone.
Lui non mi guardò nemmeno. Aveva lo sguardo perso, forse aveva già udito i miei passi avvicinarsi.
Presi la bottiglia del latte dal frigorifero e un bicchiere di vetro.
Mi accostai al ripiano, sedendomi al posto più lontano da lui e lo osservai per un tempo indefinito.
Sembrava così pensieroso, ma era comunque in splendida forma.
Era bello da mozzare il fiato, non l'avevo mai adocchiato così.
Ad un tratto la sua voce spezzò quel silenzio imbarazzante, facendomi sussultare.
<< Smettila di fissarmi! >> Incalzò arrabbiato.
Svelto si alzò dalla sedia, dirigendosi verso la porta principale.
<< Aspetta >> urlai, titubante se chiedergli finalmente ciò che mi stava massacrando interiormente.
Lui si girò nella mia direzione con un mezzo sorriso venefico, non prometteva niente di buono.
<< Adrian cosa siamo "noi" ... ora? >> farfugliai ansiosa, maledicendo il mio essere troppo pignola.
La sua risata improvvisa rimbombò nella sala, gelandomi il sangue.
<< Oh Judie, io e te non siamo assolutamente nulla, continuo ad odiarti profondamente, ma sai c'è una cosa che se proprio desideri, posso offrirti. Una cosa che farà molto bene ad entrambi >> pronunciò diabolico.
Poi ritornò a ridere, una risata che sapeva d'amaro...di rimpianti, di dolore.
Non era la stessa ilarità che ricordavo di aver scrutato e udito quel giorno, mentre leggeva.
Non aspettò una mia risposta.
Lo vidi fuggire via bagnandosi del tutto, indifferente della pioggia oramai battente, senza mai voltarsi verso la mia direzione.
NOTE ❤️
Ciao ragazze/i eccomi finalmente qui, dopo giorni di divertimento con un nuovo capitolo 😘
Le due settimane di vacanza sono volate, ma come promesso sono nuovamente fra voi lettori 🙃
Mi siete mancate!
Cosa mi raccontate delle vostre vacanze?
Sono finite o appena cominciate?
Io avrei bisogno ancora di un po' di relax 😂
Come avete passato il ferragosto? 😍
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