CAPITOLO 23
"Gli disse che l'amore era un sentimento contro natura, che dannava due sconosciuti a una dipendenza meschina e insalubre, tanto più effimera - quanto più intensa."
GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ
Lo sguardo stranito di Noah mi bruciava addosso.
Non la smetteva di fissarmi.
Le sue mani ancora sul mio corpo, mi sfioravano le braccia.
Quel tocco, ora, mi irritava.
La mia mente aveva un unico pensiero, Adrian.
La delusione sul suo viso mi gelava di nuovo il cuore e frantumava la mia misera anima, come granelli di sabbia.
L'oscurità intorno a me.
Indietreggiai di qualche passo insicura.
Ma Noah non staccava le sue grandi dita da me.
Il cuore mi tremava.
Le lacrime minacciavano di rigarmi il volto.
Mi riconoscevo terribilmente in colpa con me stessa, anche se non c'è n'era motivo.
Io avevo la mia vita e Adrian la sua.
Due rette parallele che non si sarebbero mai incrociate.
<< Judie tutto bene? >> Fu la voce confusa di Noah a spaccare quel silenzio assordante.
<< Si >> risposi in un sussurro.
Mi strinse più forte.
Si avvicinò di qualche centimetro, quasi a lambirmi le labbra.
Percepivo il suo respiro affannoso e la sua voglia costante di assaporarmi.
Ma io mi sentivo vuota, volevo solo scappare via.
<< Usciamo da qui >> farfugliai, dirigendo le mie iridi giada in un punto indefinito, dietro le sue spalle. Con la speranza che non percepisse il mio malessere.
<< Ho ancora voglia di baciarti >> confessò improvvisamente, schiacciando la sua morbida bocca sulla mia, in un bacio agrodolce.
Prima che dischiudesse le labbra, istintivamente lo spinsi via.
Un gesto acuto.
Adesso era distante almeno un metro da me.
<< Devo proprio andare via >> scongiurai.
Lui non mi fermò.
Restò saldo, inchiodato ad osservarmi raggiungere la porta.
Probabilmente anche lui era rimasto deluso da me, oppure dal fatto che, inaspettatamente una ragazza lo avesse rifiutato.
In realtà mi dispiaceva ugualmente per lui.
Ma ora dovevo pensare a me, volevo restare sola e chiarirmi le idee.
Bisognava dire addio a Noah.
Soprattutto dopo il suo comportamento contraddittorio e non dovevo farmi influenzare da Adrian.
Lui non significava nulla per me.
Il mio nemico mi odiava, mi detestava.
Ai suoi occhi ero un mostro, una mela marcia da sterminare...
Il motivo ancora non lo comprendevo, ma desideravo sparisse da tutti quei pensieri che mi tormentavano.
Chiusi piano la porta alle mie spalle.
La luce bianca del corridoio sembrò urtarmi le pupille.
Alcune ragazze vedendomi uscire di lì, iniziarono ad ispezionarmi curiose.
Sperai davvero che Noah non uscisse dallo stanzino in quel momento, non volevo alimentare le voci.
Mi sentivo persa, stranita da tutto.
Incominciai a correre verso il cortile.
Avevo bisogno di un po' d'aria fresca.
Ma una mano salda fermò il mio polso.
Arrestando improvvisamente la mia corsa.
<< Signorina >> il timbro inflessibile della professoressa di matematica, mi fece sussultare.
Mi girai verso la sua direzione, cercando di apparire più serena possibile.
Indossava sempre grandi gonneloni variopinti e magliette extra large rosa.
I suoi capelli lievemente rossastri, oggi parevano più scomposti del solito.
Le scarpe da ballerina blu, la rendevano un inconsueto personaggio da circo.
Dopo avermi esaminata con i suoi occhi scuri per mezzo minuto, aggiunse: << dove va tanto di fretta?>>
Dovevo restare calma, senza inclinare la voce.
Altrimenti avrebbe iniziato un pericoloso interrogatorio.
<< C'è la pausa, quindi volevo recarmi in giardino>> esordii in un sorriso forzato.
Poi finalmente vide il mio polso ancora incastrato nella sua mano paffuta.
Si staccò immediatamente, mortificata.
<< Faccia presto >> concluse, raggiungendo l'aula vicina.
Tirai un bel respiro di sollievo.
Ma in quell'istante suonò la campanella.
Dovevo ritornare obbligatoriamente in classe.
Mi chiedevo solamente dove fosse Noah ora...
~
A scuola la mattinata sembrò passare lentamente.
Nella mia testa ripercorrevo la scena in cui Adrian aveva spalancato la porta del ripostiglio sorprendendomi in comportamenti audaci con quel playboy.
Più volte il professore di biologia mi aveva richiamata all'attenzione.
La frase che aveva pronunciato il mio coinquilino mi faceva eccessivamente male...
Le voci stavano girando veramente, ma lui aveva visto con i suoi occhi malefici.
Ora mi avrebbe considerata davvero un'arpia assetata di uomini.
Mi incamminai verso la mia villa.
Nonostante piovigginasse, il pensiero dei miei genitori già presenti a casa, mi rallegrò leggermente.
Stare con loro era la cosa migliore, dato ciò ch'era appena successo.
Aprii la porta della mia abitazione e il profumo di pollo al forno mi riempì le narici, facendomi brontolare lo stomaco.
Da lontano riuscivo a percepire pure l'odore del ciambellone al cioccolato.
La fame aumentò visibilmente.
<<Bentornata tesoro >> pronunciò felice mia mamma.
<< Buon giorno >> esordì subito dopo mio padre, al fianco della mia genitrice.
Mi avvicinai svelta verso di loro abbracciandoli calorosamente.
Da piccola ho sempre considerato i miei genitori non solo le persone più buone al mondo, ma anche molto affascinanti.
Mio padre Paul, aveva ormai i capelli grigiastri, gli occhi castani e il fisico sottile, alto.
Mia mamma Callie, aveva le mie stesse iridi verdi, i capelli più tendenti al biondo e la corporatura formosa, leggermente bassa.
<< Allora quando si mangia? >> Chiesi affamata.
<< Caro va a chiamare Adrian >> ordinò mia madre.
Così papà salì piano le scale per raggiungere la stanza del mio nemico.
Dopo qualche minuto ritornò turbato.
<< Non è in camera >> dichiarò.
Poi continuò allarmato: << Judie per caso aveva dei corsi pomeridiani da seguire? >>
Perché mio padre pensava che conoscessi cose riguardanti quel prepotente?
So quanto ci tengano a lui, infatti, in quel momento, mi sentivo terribilmente in colpa.
Se fosse successo qualcosa a quel cretino non me lo sarei perdonata.
<< Caro chiamalo sul cellulare >> propose mia madre lievemente agitata.
Adrian possedeva un telefono? Non l'avevo mai avvistato con uno smartphone tra le mani.
La cosa mi sorprese.
Papà digitò qualcosa sullo schermo, poi appoggiò il suo cercapersone vicino all'orecchio.
<< Squilla, ma non risponde >> dichiarò preoccupato.
<< Quel ragazzo non è molto tecnologico, probabilmente è a scuola. Cerchiamo di restare positivi. >> Suggerì mia mamma.
Era veramente strano quel comportamento.
Adrian era sempre stato educato con i miei genitori.
Ogni volta che erano a pranzo o a cena con noi, puntuale si era accomodato a tavola e cordialmente aveva iniziato una conversazione con loro, chiedendo perlomeno del lavoro.
Forse papà non aveva controllato bene.
Non volevo iniziare a martellarmi interiormente.
Era in bagno o altrove?
Il mio coinquilino era strano, passava il suo tempo chiuso in camera a leggere libri di generi diversi.
Alcuni li teneva nascosti, come un segreto troppo grande da mostrare al mondo.
Ma io una volta l'avevo beccato ad infilarne uno sotto al suo ampio letto.
Cosa adombrava di così importante?
Salii le scale frettolosamente, lasciando i miei genitori in cucina, mentre insieme tentavano di distrarsi cucinando le patate ripiene.
Non avrei mai cercato Adrian, avevo timore di lui, soprattutto dopo oggi.
Dovevo andare in camera mia e sdraiarmi un po' sul materasso.
Rilassarmi mentalmente.
Ritornare alla concezione che lui non doveva sovrastarmi.
Ma la porta socchiusa della camera del mio nemico attirò maledettamente la mia attenzione.
Una curiosità troppo grande da ignorare.
Mi accostai all'ingresso.
Dubbiosa se doverla spalancare o no, ero ancora ferma allo stipite.
Poi qualcosa, anzi qualcuno mi spinse violentemente all'interno della stanza. Chiudendo repentino la serratura della porta alle mie spalle.
La luce soffusa.
I raggi del sole penetravano deboli dalla tendina arancione che ricopriva la finestra.
Ero totalmente stordita e impaurita.
Che cavolo stava succedendo?
E come mi ero ritrovata segregata in stanza di Adrian??
Il cuore accelerò violentemente.
L'ansia mi percosse l'anima e il corpo, scuotendomi con piccoli brividi.
La mente sembrò abbandonarmi.
Non pareva vero, era stato lui?
Perché?
Cosa voleva adesso da me?
Temevo per la mia incolumità.
Non osavo voltarmi nella sua direzione.
Verso quegli occhi di ghiaccio che mi facevano sciogliere e sbattere contro quegli iceberg contemporaneamente.
Cercai di allonarmi, ma inciampai, rischiando di cadere sul letto.
Ma delle mani forti mi presero salde i fianchi.
Poi mi girò, ritrovandomi con il viso a pochi centimetri da quello di Adrian.
Era proprio lui...
Era il mio tormento.
Si avvicinò cauto.
La mia respirazione convulsa.
Ero immobile, impietrita.
Il muro alle mie spalle non mi permetteva di scappare e lui aveva appena appoggiato la sua fronte delicatamente sulla mia, come se avesse paura di sfiorarmi.
Mi sentii incenerire a quel tocco.
Il suo corpo iniziò a premere contro il mio e le sue mani, ora, erano intrappolate sulle mie, mi facevano pressione sul muro.
Le teneva in alto a sovrastarmi la testa.
Come se pretendesse il controllo.
Percepivo il suo respiro caldo accelerare e i suoi occhi famelici, incatenati ai miei, mi pretendevano.
Mi spogliavano di ogni mia difesa.
<<Adrian perché mi odi così tanto? >>
Fu un grido che squarciò il silenzio della sua camera.
La disperazione dentro di me.
Lui non rispose, un ghigno si formò sulle sue labbra carnose e si avvicinò di altri due centimetri alla mia bocca.
Il cuore mi batteva all'impazzata.
<<Adrian lasciami >>urlai, cercando di liberarmi.
Poi fu come ascoltare un vetro frantumarsi al suolo.
<< Judie pensi che io ti odi? Io non ti odio, di più! Sei il mio fardello da sempre! Pensi di essermi indifferente? >>
La sua voce si stroncò.
Non lo riconoscevo.
Poi con ira e lussuria, in un movimento impercettibile, secco strappò la camicetta di cotone che indossavo.
Non feci in tempo a replicare, le sue dita avide incominciarono pericolose a scendere giù, sul mio corpo in fiamme.
NOTE ❤️
Vi aspetto in tante/i al prossimo capitolo 😏👿
Un abbraccio 🌼
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