Il Linguaggio dell'Amore
Gli opposti innamorati finalmente si accingono a trascorrere la festa più romantica dell'anno: un evento che non li vede coinvolti da tempo, causa le vicissitudini della vita.
Poe, inguaribile ottimista, porterebbe a Jen la luna nel palmo di una mano, peccato che lei non ci creda più.
Riuscirà l'asso dei cieli a vincere la resistenza della sua bella?
Poe
Dietro la porta mi appare la più bella e dolce creatura della galassia. Bella, non c'è dubbio, la dolcezza è opzionale, a seconda delle situazioni.
Per essere gentile lo è, soprattutto con i suoi studenti. Da quando sono tornato dall'ultima missione, a ottobre – la scuola era già ricominciata –, ho preso la consuetudine di aspettarla all'uscita dal lavoro, ogni volta che posso. Attendo con pazienza nel piazzale antistante l'edificio scolastico. La direttrice, Mrs Dench, alle volte mi invita a entrare. Insegnante fin dai tempi lontani in cui la North Thurston Public School sospendeva un irrequieto alunno al primo anno di secondo grado, credo le venga ancora la tachicardia, quando mi vede.
Nella casa confinante col giardino della scuola scorsi dei meravigliosi animali esotici, così un giorno, durante la ricreazione, valicai la recinzione e sedetetti sull'erba, a gambe incrociate, soffermandomi ad accarezzare le due testuggini di terra. Solidi e levigati come un mosaico di murano, al tatto, ero affascinato dal carapace che rifletteva tutte le tonalità dal verde brillante ai colori della terra. La combinai grossa però quando iniziai a inseguire il drago barbuto per vederlo aprire le squame a mo' di corona, intorno alla testa, in segno di difesa. Il fattaccio mi valse una strigliata epica da mio padre.
Quando ho modo di accedere ai corridoi vedo i bambini festanti intorno a capelli color del grano: chi corre ad abbracciarla, qualcuno più timido esita prima di donarle in regalo un disegno; il linguaggio dell'amore, che Jen mostra loro, è universale. Udito dai sordi, visto dai ciechi, esso passa attraverso l'anima e sul suo cammino non bada a distinzioni attraendo a sé ogni essere umano, normodotato o meno che sia.
"Sei bellissima." L'accorato ossequio fugge dalle labbra prima che l'istinto sia frenato dall'intelletto, alla stilettata che colpisce dritto il mio ego ferito al solo sguardo che m'indirizza, severo, da sotto le ciglia di velluto dipinte di scuro: pura sensualità, nonostante le agate verdi siano puntate nei miei occhi al pari di due tizzoni ardenti.
"È solo un po' di trucco," rimbrotta piccata.
"Bene, se non hai altre rimostranze, direi che possiamo andare" puntualizzo, incurante della sua palese diffidenza circa lo svolgersi della serata. In un gesto galante dirigo la sedia a rotelle all'esterno di casa. "Alza il bavero del cappotto, Jen, per favore. I capelli raccolti ti stanno benissimo, ma si gela," mormoro in un istinto di protezione che prevale anche se so potrebbe costarmi un ulteriore malumore da parte sua, mentre richiudo la porta di casa alle mie spalle. Quando mi volto osservo le sue mani, avvolte nei guanti di velluto neri, ancora posizionate sul rever che lascia spuntare solo gli occhi vispi e il nasino poggiato sull'orlo mentre, dal basso della ferraglia – soprannome da lei affibbiato alle sue gambe a rotelle –, mi fissa con occhi che lottano tra l'ennesimo rimprovero e l'aria intenerita, da bambina, che amo tanto e chiede solo di riempirmi di baci, perché lei sa che le mie attenzioni nulla hanno a che vedere con il pietismo riservatole da chi non la considera che un gingillo di cristallo.
Mi chino a lasciarle un bacio sulle ciocche d'oro modellate in morbide onde di seta. Per fortuna ha smesso di nevicare.
Attraversato il vialetto, una volta fuori lo steccato, le apro la portiera perché si disponga con la carrozzina accanto al sedile. Nella consueta manovra per salire, sporge il corpo un pochino in avanti, facendo leva con le braccia. Con le mani sposta la gamba sinistra all'interno dell'abitacolo poi, una salda al sedile, l'altra alla portiera, fa leva per sollevarsi, ruotando il torace verso l'interno dell'auto. Le circondo saldamente la vita, affiancandomi a lei, per sorreggerla e rendere un poco più lieve il suo sforzo nel portare a termine ordinari, faticosi obblighi. Mi affretto per non farle prendere freddo e ripiego la carrozzina in titanio deponendola nel bagagliaio.
Una volta raggiuntala, seduto al posto di guida, seleziono dal lettore musicale Domani, una canzone dell'artista anglo-libanese Mika: colonna sonora del nostro primo viaggio insieme, a Portalnd, per il Waterfront Jazz Festival, l'estate appena trascorsa.
La guardo e sa che c'è un'unica cosa che desidero al mondo.
Niente recriminazioni se non quelle delle mie labbra quando a malincuore devono lasciare le sue.
Avvio i motori e si parte verso la nostra destinazione. Il cambio automatico favorisce che possa tenerle la mano durante il tragitto, come spesso siamo soliti fare. Le dita intrecciate, palmo contro palmo, il calore del suo si irradia fino al cuore. Ne bacio il dorso vellutato, i guanti deposti sul cruscotto.
In un gesto complice porto la mia mano sul suo ginocchio lasciato scoperto dall'orlo del vestito in tulle giallo, che spunta in contrasto con il nero del blazer dal modello redingote che esalta il punto vita esile sui fianchi generosi. Con il pollice rilascio lievi carezze sul tessuto lucente e setoso delle calze nude look mentre guido adagio godendo del profumo fruttato dei suoi capelli, dal momento che il suo capo s'abbandona sulla mia spalla.
Giunti a destinazione, un nuovo bacio sulla fronte la ridesta dal silenzio che ha avvolto il nostro viaggio, accompagnato solo dalle note frizzanti della musica e dal rumore ovattato del traffico che giunge lontano dietro i vetri dai bordi ornati di brina invernale, sulla quale soffia caldo il respiro del nostro amore.
Centottanquattro metri, in pochi minuti, ci catapultano sul tetto di Seattle. In cima alla Space Needle, ho prenotato un tavolo allo SkyCity Restaurant, in un angolo intimo che gode della migliore visuale sulle Snoqualmie Falls vestite dal rosa al rosso, per l'occasione.
Jen
Poe ha pensato proprio a tutto e io, io sono una brontolona seriale, livello nonna Evelyn; se continuo così finirò per superarla presto.
Lo avverto impugnare le maniglie della sedia a rotelle, lo stridere dei guanti di pelle che vi s'accartocciano intorno è inconfondibile. Ci addentriamo in un paradiso in penombra. La calda illuminazione soffusa sfuma lungo i bordi della vetrata circolare panoramica, intorno al cui perimetro sono disposte sedute in pelle liscia bordeaux opportunamente distanziate tra un tavolo e l'altro. Vi sono anche altri coperti, a riempire lo spazio centrale, ma il mio pilota ne ha scelto uno con veduta. Piccolo problema: nonostante il semaforo verde per i clienti speciali, le sedute a noi riservate sono sopraelevate da gradini di marmo. Allo sguardo a dir poco contrariato del generale Dameron, vedo il commis di sala sbiancare più della camicia che indossa. Estremamente costernato ci propone un'altra postazione priva di ostacoli, il tutto accompagnato da un omaggio della casa per l'omissione di un simile particolare, oltretutto non visibile dalle foto sul sito del locale, esaminate da Poe, al fine di evitare inconvenienti. Con una richiesta richiamo l'attenzione del mio accompagnatore per smorzare la tensione: "Poe," lo attiro a me con dolcezza, mentre battibecca con il responsabile di sala sul fatto che non se ne parli di cambiar posto. "Mi aiuti a sfilare il cappotto? Qui è molto caldo," insisto.
Per una volta, la regina delle polemiche placherà la diatriba: non mi piace avere gli occhi addosso e, sarà il ronzio meccanico del mio bolide, sarà che un disabile pare sempre un alieno, complice il mio accompagnatore che attira, arcigni, gli sguardi femminili a me rivolti, facciamo storcere il naso ai perbenisti. E io, le occhiate della gente, le sento affondare nella carne come lame affilate, insieme al loro sarcasmo e al gusto per l'orrido che li contraddistingue.
Si sentono così normali signore più che mature, siliconate e scosciate, strabordanti in vestiti di due taglie in meno insieme al toy boy di turno, senza contare il cliché più antico del mondo, quello del quale anche il mio genitore è reo confesso: il fedigrafo ricco e attempato che fa sfoggio dell'accompagnatrice di turno, coetanea della figlia. Eh sì che il concetto di normalità è sopravvalutato. Qui di coppie consolidate ce ne son poche, sembra più la sagra della trasgressione.
Partita vinta, prendiamo posto; non saranno quattro o cinque scalini a rovinare la splendida serata che l'uomo più meraviglioso del mondo ha preparato per me, con tanta premura. Mi trae a sé sollevandomi con un braccio, per la vita. Poso i palmi sul suo petto, ancora imprigionato sotto lo spesso tessuto dell'elegante spigato che indossa. Vicinissima alla sua bocca, estasiata dalle sue lucenti perle di ossidiana che mi trafiggono da dietro i rivoli ritorti di cioccolata calda, i quali ricadono sulla fronte, non resisto: lascio l'impronta delle mie labbra, rosse di un make up al sapore di ciliegia, sulle sue ambrate e disegnate sull'ovale irsuto il cui dolce pizzicore mi lascia pregustare ogni sorta di fantasia proibita in merito al dopo cena che ci attende, e che sono certa lui, pragmatico e meticoloso, non abbia lasciato al caso, per viziarmi a dovere.
In un gesto fluido e sensuale mi sfila il soprabito, sollevandomi leggermente da terra, circondandomi tra le braccia per baciarmi ancora, fino poi a depormi sul divanetto dove consumeremo la nostra cena. Uno Chardonnay dei vigneti della Wellamet Valley accompagna l'antipasto a base di ostriche e sashimi di salmone servito accanto alla sua salsa di soia.
"Sei stata grande, prima," mi imbocca l'aviatore, porgendomi un pezzetto di salmone inforcato tra le hashi. Ricambio, ponendo tra le sue labbra un mezzo guscio d'ostrica, di cui il mio cavaliere divora il frutto avidamente mentre con le dita ripulisce uno sbaffo del liquido proprio del pregiato mollusco.
"Ci diamo il cambio. Mi hai fermato in tempo, queste zucchine non sono capaci di riservare un tavolo con richieste specifiche: che so, per esempio se avessimo avuto allergie alimentari o intolleranze."
"Quanto brontoli," non resisto e gli poso un bacio sulle labbra pregne delle note agrumate del vino bianco dalle bollicine frizzanti. "Se qualcuno parla troppo, in una coppia, l'altro deve sopperire, non trovi?" Complice la penombra e la postazione defilata ci lasciamo andare a un'effusione più ardita. La città gira intorno a noi, con le sue mille luci. Fluttua sotto i nostri piedi attraverso pavimento trasparente di una delle costruzioni più iconiche d'America. La luna nel palmo di una mano, solo per me. Per farmi felice. Non te la chiedo, tu me la regali mentre ti bacio e sento l'arco delle tue labbra tendersi contro le mie, assetate della tua tenerezza.
Una risata cristallina echeggia sussurrata al mio orecchio. "Sei una bisbetica, Jen Lindley. Dove s'è visto mai che t'improvvisi maestra di diplomazia?"
"E tu sarai sempre una testa calda che insegue draghi barbuti, nelle proprietà altrui, generale indisciplinato. Ti ci vorrebbe un richiamo per iscritto."
"Quarantotto miglia, circa un'ora di macchina per tutto questo, e mi merito un richiamo?"
Un musetto corrucciato fa capolino tra la barba scura.
Il mattino dopo, mal di testa a parte per i bagordi notturni, ricorderò solo i tuoi occhi adoranti, stelle luminose in una camera rischiarata solo dalle luci lontane di una città che non dorme. Le mani sapienti che percorrono le ruches, che dalle spalle circondano il décolleté adornandolo, fino a sfilarle lungo le braccia. Le stesse mani che, con cura, srotolano le autoreggenti al di sotto del tulle dell'ampia gonna. Le stesse che poco più tardi affondano le dita scure e affusolate nei miei fianchi mentre la punta del mento, irsuta, traccia una scia elettrica lungo la curva di Venere, dalla nuca ai lombi. Le stesse che circondano il mio petto mentre duole dal desiderio di godere del loro calore. Le mani che scorri dal ventre, alla mia femminilità, in un crescendo di passione nel linguaggio dell'amore attraverso il quale mi avvinci a te indissolubilmente.
Cedo. Hai vinto. Una brontolona prevenuta: questo sono. Una zitella inacidita dal tempo e delle circostanze. L'amore esiste perché tu esisti, e lo rendi reale, Poe Dameron. Fatto di gesti non semplici, nei momenti in cui vorrei scomparire e tu mi dimostri che non sono una disabile ma una donna.
Angolo Autrice:
Eccoci AnthophoraMannara.
Piccolo glossario dei riferimenti:
Vincere la resistenza è un richiamo al personaggio canonico di Poe Dameron in Star Wars dove, per l'appunto, ricopre l'incarico di comandante prima, generale poi, della Resistenza, braccio destro di Leia Organa.
Ferraglia è l'epiteto con il quale Han Solo etichetta il Millemium Falcon, sua mitica astronave cargo.
La canzone Domani di Mika fa capolino nel capitolo quattro di Radici e Nuvole (long dedicata a questa coppia improbabile) ed è la loro canzone.
Nonna Evelyn è la mitica nonna conservatrice di Jen, in Dawson's Creek.
Sperando di avervi intrattenuto piacevolmente, ci si legge alla prossima consegna. E buona festa degli innamorati a chi la ama e a chi no.
Nives ♥️.
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