Primavera. Parte I - Quando il maggiordomo è in vacanza...

Leopoldo Della Corgna non aveva mai avuto alcun talento organizzativo. A dirla tutta, gli pesava anche solo programmare una semplice cena a due, ma da quando aveva conosciuto Zola e si era innamorato, aveva dovuto fare di necessità virtù e scavando dentro di sé aveva scoperto di possedere un certo talento per organizzare eventi.

D'altronde prima si occupava di queste cose sua madre che, non avendo preso molto bene la relazione con Zola, aveva ostinatamente rifiutato di consigliarlo, aiutarlo, salvarlo da qualunque questione organizzativa.

In realtà Leopoldo, quando necessitava di un consiglio su dove portare a cena Zola aveva un fido consigliere in Goffredo. Il maggiordomo si era dimostrato una fonte inesauribile di ispirazione.
Se cercava un posticino romantico dove si mangiasse bene, ma non fosse eccessivamente elegante, perché Zola non amava i locali che lui frequentava prima di conoscerla e lui voleva evitare di intossicarsi con quel malefico cibo speziato che a lei piaceva tanto, Goffredo aveva la soluzione.
"Duca, ci sarebbe il ristorante Il Veliero a 300 metri dal mare", "Che ne pensa del ristorante in collina, vicino la tenuta vinicola?", e così via.

Se non fosse che la carica era caduta in disuso lo avrebbe promosso "Ciambellano"! Tempi barbari quelli in cui viveva, non si poteva neanche premiare un dipendente con un'onoreficenza... Avrebbe dovuto dunque volgarmente aumentargli lo stipendio.

Intanto aveva un problema ben più grave da risolvere: organizzare il pranzo di Pasqua.

Sua madre, appena lui le aveva timidamente chiesto cosa intendesse fare per la ricorrenza, gli aveva risposto che sarebbe andata una settimana in Francia. Sottotitolo: arrangiati!

Si era rivolto a Elettra ( non che avesse grande fiducia in sua sorella per certe cose! ), che dopo averlo guardato con commiserazione ( la sfiducia probabilmente era reciproca ), gli aveva risposto che avrebbe partecipato volentieri, ma che in quei giorni era sommersa d'impegni per un progetto accademico importantissimo, quindi non aveva proprio tempo per aiutarlo nell'organizzazione. Gli aveva poi magnanimamente offerto l'aiuto di Carlo, suo marito.

Per carità!, aveva pensato Leopoldo, suo cognato era la persona più disorganizzata che avesse conosciuto, cosa abbastanza anomala per un impiegato del Catasto. L'unica volta che gli aveva chiesto aiuto per risolvere una controversia su dei terreni ereditati, aveva impiegato eoni per trovargli le particelle catastali pure sbagliate. Aveva perciò declinato l'offerta.

Goffredo era fuori gioco perché quella settimana sarebbe andato in ferie. Era stato tentato di implorarlo di non partire, ma il buon maggiordomo aveva prenotato da molto tempo il viaggio alle Maldive per festeggiare i quarant'anni di matrimonio con l'adorata moglie. Dopo tutti i saggi consigli che gli aveva elargito, non poteva certo chiedergli di rimandarlo.

Quindi eccolo qui sul cassero di una fregata chiamata "Il pranzo di Pasqua", come il suo antenato, l'Ammiraglio Giorgio Andrea Maria Della Corgna che nell'800 si dedicò ad aprire nuove rotte commerciali e a mostrare al mondo la potenza della Marina Sarda. Dove avesse trovato tra tutte quelle gloriose imprese il tempo di mettere al mondo dodici figli e seppellire tre mogli era un mistero!

A proposito di figli, lui si stava avvicinando agli anta, pensò con sgomento, e di un piccolo Della Corgna non si vedeva neanche l'ombra. Non che fino a quel momento ci avesse pensato chissà quanto, ma da quando aveva conosciuto Zola, questo pensiero si affacciava frequentemente nella sua mente.

Il problema era che lei non si era ancora decisa ad andare ad abitare lì, alla villa con lui, figurarsi parlare di matrimonio e figli. Lui invece si sentiva fremere, aveva voglia di portare la relazione su di un piano diverso, più profondo. Ecco perché voleva organizzare in maniera perfetta il pranzo di Pasqua con le famiglie e chiederle ufficialmente di diventare sua moglie. Così lei non avrebbe potuto fare orecchie da mercante. Doveva però dimostrarle che i loro mondi potevano ben amalgamarsi e quale modo migliore se non una grande riunione di famiglia in occasione della Pasqua?

L'idea nacque fulminea. "Ecco da dove devo iniziare, dagli inviti!" esclamò soddisfatto.

Goffredo passò in quel momento davanti la porta dello studio e sentendo il duca parlare da solo, si chiese se lasciargli organizzare un pranzo fosse una buona idea. Il signor duca era un po' imbranato nelle questioni prettamente pratiche. Cominciò a sudare freddo al ricordo di tanti anni prima quando, approfittando di un viaggio all'estero dei genitori, aveva deciso di organizzare una festa tra ragazzi senza l'aiuto di nessuno. La cosa meno grave che accadde in quel frangente furono il naso rotto del signorino e l'occhio pesto del barone De Robertis.

Confidando che, dopo tanti anni ed esperienza maturata, almeno la scelta degli ospiti fosse più oculata, con un sospiro rassegnato si allontanò dallo studio e tornò alle sue occupazioni.

***

Erano cinque minuti buoni che Zola fissava il maestoso portone di Villa Della Corgna. Strizzò gli occhi concentrandosi sugli intagli di mogano scuro in cerca di un'eventuale imperfezione, che non trovò.

Il pranzo organizzato da Leo la rendeva nervosa. L'ultima visita in quella casa era stata un disastro con la gelida presenza della madre che fortunatamente quel giorno non ci sarebbe stata. Avrebbe però conosciuto gli altri parenti di Leopoldo e non si sentiva pronta. La cosa che più la preoccupava era un'altra.
Lui, in modo alquanto subdolo, l'aveva qualche giorno prima spinta a parlare dei suoi affetti, di coloro che considerava la sua famiglia.

Dopo che lei gli aveva raccontato di come fossero stati fondamentali Bruno e la famiglia portoricana, che l'aveva accolta in casa a sedici anni quando era diventata orfana, lui con un sorriso soddisfatto le aveva detto che voleva conoscerli e invitarli, insieme a tutti i suoi parenti, al grande pranzo che aveva intenzione di organizzare per Pasqua.

Così si era affrettato a spedire gli inviti a Bruno e ai Mercado. E se il primo era quasi innocuo, gli altri rappresentavano una bomba a orologeria, perché tra di loro c'era Diego. Se Leopoldo l'avesse riconosciuto, sarebbe stato un dramma. Ancora oggi, a distanza di mesi, ogni tanto rimuginava sui "due criminali" che lo avevano aggredito, rammaricandosi di non averli più incrociati per farli sbattere dietro le sbarre.

A nulla erano serviti i tentativi per minimizzare l'accaduto, non voleva sentire ragioni.
Si era maledetta cento e poi altre cento volte per quella bugia, ma ormai il danno era fatto e non le restava che sperare che Leopoldo non riconoscesse Diego.

Un uomo sconosciuto molto in là con gli anni le aprì in quel momento il portone.
La divisa identica a quella che di solito portava Goffredo, le fece capire di trovarsi davanti al sostituto del maggiordomo.

Zola si chiese se era una caratteristica propria della professione l'aspetto inquietante. Altissimo e segaligno, come Goffredo, aveva dei baffi curatissimi, che avrebbero fatto invidia a Hercule Poirot; per non parlare degli occhi, a dir poco vacui, e della carnagione emaciata.
Si poteva dire che i due fossero stati fatti con lo stesso stampino, se non fosse stato che il sostituto era ancora più vecchio dell'altro.

"Il signor Duca l'aspetta."

La voce impostata e leggermente gracchiante la convinse ad allontanarsi dallo strano uomo il più velocemente possibile.
Mormorando un grazie s'infilò nella villa, senza aspettare che lui le facesse strada.

Sentì un sospiro di sdegno alle sue spalle.
Pazienza!, si disse. Lei non sopportava per niente tutto quello stupido cerimoniale, Goffredo almeno lo aveva capito, si sarebbe abituato anche il sostituto.

Questo era solo uno dei motivi del perché avesse categoricamente frustrato ogni tentativo di Leopoldo per convincerla a trasferirsi alla villa. Non sopportava tutta l'etichetta, non voleva avere dei servitori e, soprattutto, duchesse acide e snob intorno che le ripetessero quanto fosse inadeguata per l'ultimo dei Della Corgna.

Lei aveva fatto pace con i sentimenti che provava per Leo e capiva il desiderio di lui di far passare la loro relazione a un livello superiore perché anche lei lo voleva, ma in quella villa con persone che la mettevano a disagio non ci voleva stare. D'altra parte anche lui tollerava a malapena il suo monolocale.

A volte si fermava a dormire da lei, ma gli sbuffi di frustrazione, perché in un ambiente così piccolo si sentiva soffocare, difficilmente riusciva a nasconderli.

Inoltre c'era lo spinoso problema della convivenza con Matisse. Per un ailurofobico stare in uno spazio così ristretto con un gatto era un dramma che lui superava solo perché aveva una gran voglia di stare con lei.

Si sentì leggermente accaldata al pensiero di Leo e delle notti che trascorrevano insieme. Il duca dal punto di vista sessuale era stato una piacevolissima sorpresa. Era un amante eccezionale, passionale e fantasioso, attento e generoso. Con un sospiro affrettò il passo per raggiungerlo.

Lo trovò seduto elegantemente sulla poltrona Chesterfield del salottino. Aveva lo sguardo assorto e i capelli chiari un po' meno in ordine del solito; probabilmente ci aveva più volte passato le dita, segno che qualcosa lo preoccupava.

"Leo..."

L'interpellato alzò gli occhi su di lei che si sentì cedere le gambe leggermente. Il verde, quasi innaturale, di quegli occhi aveva la capacità di farle perdere l'equilibrio. Era come se la forza di gravità, che la teneva ancorata alla terra, non esistesse più e tutto il corpo lottasse per ritrovare la stabilità perduta.

Il sorriso che le rivolse, alzandosi in piedi appena la vide, le fece accelerare il passo per trovare rifugio tra le sua braccia, già allargate per accoglierla. Lei vi si tuffò. Sollevò il volto per incontrare il suo, con le labbra tremanti e socchiuse. La bocca di lui se ne appropriò. La travolse di baci selvaggi e ardenti, voraci quando le loro lingue si incontravano, con le bocche inclinate una verso l'altra in un'impazienza bramosa.

La mano di lui le vagava sulla schiena, premendole strettamente i fianchi contro di sé. La passione turbinava voracemente dentro di lui e stava divampando al di fuori del suo controllo.

"Leopoldo!"

Una voce dal tono seccato s'insinuò prepotentemente nell'atmosfera bollente che si era creata. I due sobbalzarono e si staccarono velocemente. Leopoldo si parò davanti a Zola, quasi a difenderla da un'eventuale minaccia, non considerando l'evidente stato di eccitazione che il suo corpo mostrava.

"Ehm... zia, sei in anticipo..." sussurrò.

La donna minuta e anziana vestita di tonaca, velo, soggolo e frontino gli rivolse uno sguardo di palese disapprovazione.

"Nipote, in anticipo o meno, non è questo il modo di accogliermi!"

Imbarazzato oltre ogni dire ed evitando di guardare negli occhi la religiosa, cercò di ricomposi e ritrovare le buone maniere.

"Zia, permettimi di presentarsi la mia fidanzata, Zola Dembelé..." disse prendendo Zola per un braccio e portandola di fronte alla suora che la guardò con curiosità.

"Zola, questa è mia zia, Madre Lorenza, badessa delle Benedettine celestine."

Con un secco cenno del capo la religiosa porse i suoi saluti a una Zola estremamente imbarazzata. Farsi trovare dalla zia, oltretutto suora, del proprio uomo in atteggiamenti compromettenti non era il massimo. Sussultò leggermente ricordandosi che lui l'aveva presentata come fidanzata. Non avevano ancora parlato di ufficializzare la relazione, però sentirsi chiamare così le provocava una sorta di calore nel petto.

"Mentre ti ricomponi, Leopoldo, io vado a sistemarmi nella mia vecchia stanza, sperando che tua madre non l'abbia nel frattempo adibita a uccelliera. Mi auguro anche di non dover più assistere a comportamenti inappropriati" terminò secca, voltando loro le spalle.

Proprio in quel momento apparve il maggiordomo tutto trafelato. "Signore..."

Non ebbe modo di dire altro perché fece la sua entrata nella stanza un signore sui settant'anni che lo interruppe bruscamente.
"Leopoldo, ma chi è questo estraneo? Dov'è Goffredo? Questo tizio voleva impedirmi di entra..." Anche lui non terminò la frase quando si trovò davanti Madre Lorenza che lo guardava con alterigia.

"Nipote, cosa ci fa lei qui?" Le parole erano rivolte al nipote, ma gli occhi verdi fiammeggianti erano fissi sulla figura della donna in tonaca.

Zola guardò la scena stranita. La situazione stava diventando davvero bizzarra; si volse verso Leopoldo che a quel punto sembrava aver perso la pazienza.
"La zia è qui per lo stesso motivo per cui lo sei tu!" sbuffò, "Questa è la mia fidanzata, Zola Dembelé!" terminò seccamente.

"Zola, questo è mio zio, Arturo Ermete Aldobrandini, Maggior Generale... in pensione."

Zola non sapeva come comportarsi di fronte ai due nuovi arrivati che la ignoravano completamente lanciandosi sguardi assassini.

"Vi ho invitati entrambi qui in occasione della Pasqua per presentarvi Zola ufficialmente."

La monaca alla fine ruppe il silenzio che era calato nella stanza, sibilando "A più tardi, Leopoldo, Zola." Detto ciò si allontanò tallonata dal maggiordomo.

L'uomo più anziano sospirò. "Che donna impossibile!"
Poi ricordandosi degli altri due, si avvicinò a Zola per porgerle, da gentiluomo quale si considerava, i suoi omaggi.

"Perdona, Zola, l'atteggiamento poco consono, non è mia abitudine, ma la sola vista di quella donna mi fa perdere il senno" disse compito, rivolgendole un sorriso tirato e un inchino.

Leopoldo si schiarì la voce. "Zio, non pensi che dopo quarant'anni sia giunta l'ora di finirla? Mi metti in una situazione difficile. Lei è l'unica sorella della buon'anima di mio padre e tu l'unico fratello di mia madre. Siete la mia famiglia e gradirei per lo meno che fra di voi alla presenza del vostro unico nipote cercaste, se non di andare d'accordo, almeno di comportarvi civilmente."

Arturo Ermete Aldobrandini fece l'ennesimo sbuffo, poi carezzando la barba canuta, che portava curatissima, andò a sedersi sulla poltrona Chesterfield.
"Leopoldo, non posso fare finta di niente quando lei mi ha lasciato sull'altare!"

La freddezza e altezzosità che aveva mostrato fino a quel momento parvero sgonfiarsi, lasciando il posto allo smarrimento. A Zola Arturo non sembrava il fratello di quella arpia di Vittoria, eccetto che per il portamento fiero e gli occhi verdissimi, identici a quelli di Leopoldo; le era parso talmente umano e fragile quando aveva pronunciato l'ultima frase che lo aveva intristito, a giudicare dallo sguardo perso nel vuoto che aveva, che si trovò costretta a dire qualcosa per cercare di tirarlo su.
"Ma un uomo come lei avrà certamente trovato un'altra donna con cui condividere la vita!"

Zola capì di aver detto qualcosa di sbagliato dallo sguardo allarmato che le rivolse Leopoldo. Sentì quasi crepitare l'aria quando Arturo si alzò impettito dalla poltrona.

"No! Dopo che lei mi lasciò sull'altare per seguire il figlio di un falegname, giurai di diventare ateo e celibe a vita. Ora, con permesso, mi ritiro nelle mie stanze. A dopo."

Uscì talmente impettito che Zola ebbe l'impulso di fargli il saluto militare.
"Scusa..." mormorò rivolta a Leopoldo, che si avvicinò e le cinse la vita con un braccio.

"Non potevi sapere... Lo zio la prese malissimo, aveva trent'anni e da allora si è dato anima e corpo alla vita militare. Neanche mia madre ha superato lo scandalo del mancato matrimonio, accusò e accusa tuttora la zia di aver messo fine alla casata degli Aldobrandini."

Zola gli carezzò l'ampia schiena per confortarlo. La situazione tesa all'interno della famiglia non lo rendeva sereno. Si chiese se fosse stata una buona idea invitarli entrambi. Due giorni sotto lo stesso tetto avevano un potenziale altamente esplosivo. Si consolò pensando che almeno Vittoria era lontana e non avrebbe potuto in alcun modo rendere la situazione più tesa di quella che era.

In quel momento ritornò il maggiordomo.
"Signore, sua madre è appena rientrata e mi ha detto di riferirle che il viaggio in Francia ha avuto un intoppo, quindi trascorrerà la Pasqua qui in casa."

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