Capitolo 5

Non appena i puntini rossi smisero di ballarle davanti agli occhi Arya li aprì, scoprendo di trovarsi in una stanza piccola e senza finestre. Le pareti erano così bianche da farle venire la nausea, ancora scossa per ciò che era accaduto.
Marco era ancora al suo fianco e, fra loro e la porta, due massicci uomini vestiti di bianco.
-Arya, stai bene? Non preoccuparti, ti spiegheremo tutto. Fidati di me.
La ragazza era ancora scossa da ciò che era accaduto, non comprendendo come fossero arrivati lì. L'amico la guardava fiducioso ma in quel momento Arya riusciva solamente a pensare che voleva tornare a casa.
-Nic dovrebbe arrivare a momenti, presto ti sarà tutto chiaro.
Marco era sicuro di sé stesso e, cercando di rassicurare la ragazza, non faceva altro che peggiorare la situazione. Non aveva la più pallida idea di chi fosse Nic e, soprattutto, non voleva conoscerlo. La sua mente iniziava a schiarirsi e la consapevolezza di essere stata tradita da colui che considerava suo amico si faceva strada in lei. Non avrebbe mai ammesso che, in fondo, provava qualcosa per Marco. Qualcosa che non comprendeva del tutto ma che rapidamente era sfociato nell'odio.
Doveva scappare il prima possibile. Doveva tornare da sua madre, avrebbe saputo cosa fare.

In un disperato tentativo di fuga si lanciò verso la porta, consapevole che le probabilità di successo erano minime.
Non fece neanche in tempo a passare fra i due uomini che si ritrovò le braccia bloccate.
-Arya, ti prego non ribellarti. Va tutto bene, sei al sicuro.
Lacrime di rabbia le offuscarono la vista e le mani iniziarono a tremarle. Si divincolò, senza voltarsi verso Marco, ma la stretta dei suoi rapitori era troppo forte e non riuscì a smuoverli di un millimetro.
All'improvviso la lampadina sul soffitto sfrigolò e una luce accecante riempì la stanza. I presenti si coprirono gli occhi con le mani e in un attimo Arya fu libera.
Con la visuale ancora offuscata la ragazza sferrò un pugno sul volto dell'uomo più vicino e aprì la porta di scatto. Non sapeva cosa fosse successo ma, qualunque cosa fosse, l'aveva salvata da un destino ignoto. Non era mai stata credente ma nella sua mente ringraziò qualunque forma di divinità e di fato che esistesse. Non era possibile che lo scoppio della lampadina fosse una coincidenza.
Senza pensarci oltre iniziò a correre in una direzione casuale, attraversando corridoi tutti uguali, aprendo le porte che si trovava davanti e sbirciando nelle stanze sa ricerca di indizi su dove si trovasse. Alcune di esse erano vuote mentre in altre c'erano quadri che non aveva tempo di ammirare e mobili dall'aria antica. Alcuni luoghi erano vicoli ciechi che la costringevano a perdere tempo tornando indietro e si imbattè persino in una palestra. Con una rapida occhiata capì che in quest'ultima c'era qualcosa di sbagliato, qualcosa che non sarebbe dovuto essere lì, ma non ebbe il tempo di indagare oltre.
Dalle finestre vedeva case dai colori pastello in una combinazione di strade e vicoli completamente diversa da Milano e ciò la confondeva ulteriormente.
Mentre correva si chiese chi fossero quegli uomini e cosa volessero da lei. Non li aveva mai visti, o almeno così credeva.

A un tratto si trovò di fronte ad una porta a vetri. Vide il sole all'esterno e, scostando la tenda, uscì.
La luce accecante le ferì gli occhi, ormai abituati alle luci artificiali dell'edificio. L'emozione di essere riuscita a scappare la fece saltare di gioia, ma poi si accorse del paesaggio attorno a sé. Era un ambiente totalmente diverso da quello cui era abituata. Il caos della città era stato sostituito dalle risate allegre dei bambini e dal chiacchiericcio della gente. Un dolce odore di fiori le solleticò le narici al posto della puzza bruciante di smog alla quale ormai non faceva più caso. Fin dove arrivava il suo sguardo Arya vide un'enorme città.
C'erano grandi case, con spaziosi giardini e fontane di marmo, e piccole palazzine a due piani. Erano dipinte di giallo o azzurro pallido e la ragazza si accorse che quel posto le piaceva, anche se non sapeva dove si trovasse. Ciò che dai brevi scorci visti dalle finestre le era sembrato così accecante ora era quasi confortante. Dalla sua posizione riusciva a distinguere le persone indaffarate che camminavano per le strade. Indossavano tutti dei vestiti chiari ma in quel momento Arya non si preoccupò di quella stranezza.
Guardando in basso si accorse che sotto i suoi piedi c'era il vuoto. Vide il terreno qualche metro più in basso e si chiese cosa stesse accadendo. Si chinò, sentendo sotto le dita un materiale liscio e quasi inconsistente. Vedendo il riflesso del sole accanto a sé pensò che potesse essere vetro e si stupì di non averlo notato prima.
Poi un pensiero le attraversò la mente. Era stata così occupata ad ammirare il paesaggio che si era quasi dimenticata del suo scopo. Doveva andarsene il più in fretta possibile. All'inizio aveva creduto che quella fosse l'uscita ma ora non c'era tempo di tornare indietro. All'improvviso si ricordò della tenda vista mentre usciva sul balcone. "Posso usarla come paracadute." Pensò. "Devo smetterla di leggere troppi libri."
Dopo un rapido conflitto interiore decise che provare non costava nulla e rientrò. Dietro alla porta vide le tende, proprio come ricordava, ma guardandosi intorno non trovò niente con cui potesse tagliarle.
C'era un vaso di rose su un tavolino ma Arya non voleva rischiare di ferirsi rompendolo. Aveva il terrore del sangue. "E poi il rumore attirerebbe l'attenzione." Si disse come ulteriore scusa. Nella stanza non trovò nient'altro che potesse aiutarla. Vide delle poltrone in pelle e una mensola di libri, poi le venne un'idea. Provò a tirare la tenda con tutte le sue forze, sprecando minuti preziosi. 'Eppure nei film funziona."
Si era quasi arresa alla resistenza di quel pezzo di stoffa quando si accorse delle voci e dei passi in rapido avvicinamento. Il panico stava prendendo il sopravvento e la ragazza si aggrappò con tutto il suo peso alla tenda, cercando di romperla.

Dopo quella che le parve un'eternità la tenda cadde con un tonfo urtando il vaso e frantumandolo. Quei rumori attirarono le voci che aumentarono di intensità. Arya capì di non avere tempo, così raccolse un coccio e tagliò un quadrato di stoffa. Non ebbe l'occasione di ammirare il suo lavoro. Afferrò due estremità del paracadute improvvisato e corse verso il parapetto del balcone, scavalcandolo.
Aveva agito d'istinto, senza pensare all'esito del suo piano. Ma ormai era troppo tardi e mentre volava poté solo sperare che funzionasse. L'ultima cosa che sentì fu il suo nome urlato da qualcuno sopra di sé. Poi il fischio del vento sovrastò ogni altra cosa mentre precipitava.

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