Capitolo 4

La mattina né Arya né Meredith fecero parola della sera prima. La ragazza si accorse di essersi addormentata con i jeans e la felpa, di conseguenza erano tutti stropicciati e impossibili da indossare anche quel giorno.
Uscendo di casa salutò sua madre, poi scese le scale e s'incamminò verso la scuola. Seduta sul solito gradino osservò il cortile, alla ricerca di Marco. Gli avvenimenti del giorno precedente erano un'interruzione quasi irreale della routine e le ci era voluto poco ad abituarsi alla presenza dell'amico.
Ben presto notò su di sé lo sguardo di alcuni studenti. Alcuni le lanciavano occhiate furtive, altri la fissavano insistentemente. Arya scosse la testa, sorprendendosi di come le voci si diffondessero in fretta.

Il suono della campanella la distolse dai suoi pensieri. Non si era nemmeno accorta che fossero passati dieci minuti. Entrò sospinta dalla rumorosa folla di studenti, sobbalzando all'improvvisa comparsa di Alice.
-Arya! Sei stata mitica ieri!
Il tintinnio dei braccialetti ai suoi polsi quasi coprì le sue parole nel chiacchiericcio generale. Arya fece appena in tempo a ringraziarla che l'amica scappò via.
Entrando in classe si accorse che Marco non era ancora arrivato. Si sedette al suo posto, chiedendosi cosa gli fosse successo. La lezione di scienze trascorse lentamente e la ragazza non seguì nemmeno metà della spiegazione preferendo guardare fuori dalla finestra. Vide una mosca che cercava di entrare e immaginò come potesse essere la sua vita.
Ad un tratto sentì qualcuno che chiamava il suo nome. "Impossibile, le mosche non parlano." Stava quasi per dirlo ad alta voce quando si accorse con orrore che era la sua professoressa. Tornò bruscamente alla realtà notando con piacere che la lezione era quasi finita.
-Signorina Johnson. Non può proprio fare a meno di distrarsi, eh? Ora prenda il diario e scriva l'assegno.
Arya annuì distrattamente.
Non capiva come fosse riuscita a perdersi nei suoi pensieri con la voce acuta della prof nelle orecchie.
Era una donna all'antica, che vestiva con ampie gonne e camicie scure. Aveva i capelli bianchi e si truccava con un rossetto fin troppo rosso. Spesso era severa ma per fortuna era fra i pochi che non si arrabbiavano quando gli alunni si addormentavano durante le lezioni.
Non appena ebbe finito di dettare l'assegno la campanella suonò. La ragazza si stupiva sempre di come riuscisse a concludere le lezioni in perfetto orario. Dopo aver dato uno sguardo alla pagina del giorno dopo Arya sospirò. Sarebbe stato un pomeriggio di duro lavoro.

All'improvviso sentì qualcosa colpirle la spalla. Si girò e vide una pallina di carta rotolare sul banco vuoto. Lanciò uno sguardo alla classe, cercando di individuare il colpevole. Seduto in un angolo c'era un ragazzo di cui Arya non ricordava il nome, nonostante avessero trascorso più di due anni a pochi banchi di distanza. Davanti a sé aveva una serie di palline e si divertiva a tirarle con grande irritazione degli altri.
Lei prese la mira, poi alzò il braccio e lanciò. La carta attraversò l'aula e atterrò sul banco del giovane, proprio di fronte a lui. Arya si affrettò a girarsi, maledicendo la propria mira pessima.
Proprio in quel momento entrò in classe la professoressa di educazione fisica. I giovani tacquero all'istante. "Finalmente un po' di silenzio" Arya odiava il caos, soprattutto in classe.
-Buongiorno ragazzi!
La classe guardò l'insegnante, chiedendosi cosa avrebbero fatto durante quella lezione. Quella donna inventava ogni giorno esercizi strani per i suoi alunni e non tollerava chi si asteneva. Arya si stupiva sempre di come le sue lezioni fossero completamente l'opposto di quelle precedenti.
Non appena incrociò lo sguardo della prof la ragazza cercò di sorridere. Non sapeva come ma era la sua preferita. Molti dicevano che entrambe erano pazze, ma per Arya quella era semplicemente una persona fin troppo allegra. Vestiva sempre di colori fosforescenti e aveva un perenne sorriso sulle labbra.

Non appena entrarono nella piccola palestra la classe non si sorprese di scoprire che la lezione di quel giorno era una corsa ad ostacoli. Molte ragazze inventarono scuse per non partecipare, la maggior parte delle quali fallì fra lamentele generali, mentre i maschi scommettevano su chi l'avrebbe completata.
Arya si sedette sulle gradinate, in attesa.
-Bene ragazzi, venite tutti qui,
Senza neanche dargli il tempo di accomodarsi la prof li fece allineare all'inizio del percorso. La ragazza si mise in fondo alla fila, ma fu costretta a spostarsi avanti.
-Arya, inizia tu.
Sapeva che sarebbe andata così, anche se ogni volta sperava di riuscire a scamparla. Dietro di lei i suoi compagni ridevano, aspettando impazienti una figuraccia. Al via dell'insegnante iniziò a correre: saltò sul cavallo, passò sotto la rete e si arrampicò sulla spalliera, per poi scendere con la corda dall'altro lato. Continuò a correre, saltando sul materasso e facendo lo slalom fra i birilli. Ogni ostacolo era accompagnato dai consigli della prof.
-Alza di più le gambe
-Allunga le braccia
-Cerca di non toccare i birilli.
Quando finalmente finì il percorso, ansimante, vide la donna sorriderle e fu libera di sedersi ad osservare gli altri. Stranamente l'insegnante faceva iniziare sempre lei e le dava consigli, come se quella fosse la materia più importante della sua vita.
Lentamente anche i suoi compagni terminavano il percorso e si sedevano accanto a lei, chiacchierando tra loro. Le poche ragazze che parteciparono fecero vari errori, cadendo dalla corda e rovesciando i birilli.
In molti risero, Arya no. Sapeva come ci si sentiva a essere presi in giro e, anche se a volte era tentata di farlo, non voleva che qualcuno soffrisse come lei.
Mentre tornavano in classe Alice le passò vicino, ignorandola. I suoi bracciali metallici si sentivano a corridoi di distanza, proprio come i campanacci delle mucche. Arya ridacchiò. Sentì una serie di spinte sulla spalla, poi vide le sue compagne di classe che passavano ridendo.
-Strana.
Le disse una di loro con voce arrogante. Come al solito la ragazza cercò di non farci caso.

La ricreazione e le ore seguenti trascorsero lentamente e, quando finalmente suonò la campanella dell'ultima ora, gli studenti uscirono fra spinte e risate.
Arya sospirò, godendosi il tepore dell'ultimo sole di settembre. Con la luce negli occhi non si accorse di un ciuffo biondo che si faceva largo fra la folla e sussultò quando sentì delle braccia che la afferravano per le spalle, trascinandola indietro. Nessuno, fra gli studenti, intervenne. Arya cercò di divincolarsi ma chi la bloccava si teneva fuori dalla sua portata. Cercò di urlare, ma le parole le si bloccarono in gola.
-Ferma, Arya. Sono io.
Non appena riconobbe la voce si rilassò, sospirando.
-Non potevi dirlo prima?
Non ebbe alcuna risposta. Fu trascinata dietro l'angolo, in uno di quei vicoli bui e stretti. Fece in tempo a vedere il volto di Marco e a sentire la voce dell'amico che le diceva di stare in silenzio e chiudere gli occhi. Poi intorno a loro ci fu un'esplosione di luce. Anche attraverso le palpebre quel chiarore la accecava, impedendole di muoversi.

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