FALL 12 - L'altare e il sacrificio

Nel deserto assoluto di quella scena, il silenzio era sceso ingombrante a sostituire le fiamme, che si erano ritratte nel canalone così come vi si erano sollevate. Una forza innaturale le aveva risucchiate indietro, lasciando alle loro spalle solo il nero che aveva cancellato ogni cosa.

In quell'assurdo quadro apparentemente immutabile, il tempo aveva ripreso a scorrere a ritmo con la Terra, che girava nel suo normale ciclo cosmico. Tutto sembrava indifferente al battito del loro cuore. Che però pulsava ancora, contro ogni ragionevolezza.

Quando ne fu sicuro, Eagle aprì lentamente gli occhi e sbatté le palpebre un paio di volte, come a volersi accertare di essere ancora capace di governare il suo corpo. Dopo un paio di tentativi, riuscì a ordinare ai muscoli di rilassarsi e allentò la presa su Swan, che cominciò ad agitarsi piano e a riemergere da quell'abbraccio. Si guardarono smarriti per qualche istante, ancora increduli di fronte al pensiero della tempesta che li aveva attraversati senza bruciarli, poi iniziarono a piangere, a ridere, a baciarsi le labbra e il viso senza un ordine.

Swan passò una mano sui capelli di Eagle, spazzolandogli via un po' di cenere e osservando le punte che gli si erano bruciacchiate, poi sgusciò fuori dalle sue braccia.

"Finalmente!", esclamò con l'esultanza che solo l'adrenalina di sentirsi ancora viva poteva darle. "Mi avresti uccisa tu, se continuavi a stringermi in quel modo".

Eagle aggrottò le sopracciglia e incrociò le braccia sul petto, riservandole una scherzosa occhiata di rimprovero.

"Bella riconoscenza! Devo davvero segnarmelo da qualche parte, di non cercare mai più di proteggerti".

Swan rise e nella stanza scura quel suono brillò argentino.

"Segnati piuttosto di inserire questo momento nei tuoi voti nuziali. Per te sono passato nel fuoco farà di certo un bell'effetto e le ragazze piangeranno come fontane".

Eagle sorrise, mentre le sistemava i capelli in disordine dietro un orecchio.

"Il punto è, signorina Swan, che sono davvero passato in mezzo al fuoco per te".

Lei annuì e tornò a scrutargli gli occhi con un'espressione piena di indescrivibile emozione.

"Il punto è, mio premuroso cavaliere, che anche io sono passata in mezzo al fuoco per te".

"E a quanto pare siamo ancora vivi", commentò lui con la stessa gravità. "Significa che mi sono cacciato in un grosso guaio, eh?".

Pronunciò quella domanda con un tono così serio da suonare buffo, strappandole un'altra risata.

"Temo proprio di sì".

Eagle scosse il capo, divertito.

"Se vorrò mai liberarmi di te, dovrò dire a Phoenix di impegnarsi un po' di più".

Quel nome, pronunciato con la solita leggera naturalezza, ricadde pesantemente tra loro, spegnendo di colpo ogni allegria. Rimasero a fissarsi per un po', senza osare scambiarsi i pensieri, che erano disperatamente identici.

"Credi...", azzardò infine Swan con un filo di voce, "che ci sia ancora qualcuno, là sotto?".

Eagle non rispose. Emise un lungo respiro, si guardò intorno, poi si puntellò su una mano e si alzò in piedi, dirigendosi verso le scale.

Swan lo fissò stupita e interdetta, poi la sua espressione divenne quasi offesa quando capì che stava uscendo dalla stanza senza nemmeno una spiegazione.

"Dove vai, adesso?".

Lui si fermò sulla soglia e tornò a guardarla.

"Vado a cercare qualcosa da metterci addosso", rispose apparentemente calmo.

"E pensi di trovarla in biblioteca?", ribatté lei con una punta di risentimento, come se avesse voluto rimarcare quanto il suo comportamento fosse stupido e inutile in quel frangente.

Il ragazzo, per tutta risposta, si strinse nelle spalle con indifferenza.

"Be', Rossella O'Hara si è fatta un vestito con una tenda. Una cosa qualsiasi per non farti restare nuda penso di riuscire a trovarla".

Swan si mordicchiò le labbra indispettita. Non sopportava l'idea che lui avesse deciso di lasciarla sola, anche se per un motivo più che logico.

"Davvero, Eagle? Non hai niente di meglio a cui pensare in un simile momento?".

Lui si voltò, fece per andare ma esitò, e girò appena il capo oltre la spalla.

"Devo pensare a questo, Swan. Devo, capito? Non posso pensare ad altro".

Se ne andò. La lasciò davvero da sola. Swan realizzò solo allora, un istante prima che si voltasse per salire le scale, che Eagle stava piangendo. Raccolse le gambe tra le braccia, affondò il viso tra le ginocchia e immediatamente seppe di essergli grata per quella solitudine che le aveva regalato, senza che lei l'avesse chiesta. Senza doversi scusare con il mondo per quell'ennesimo attimo di dolore, Swan si abbracciò e lasciò scorrere le lacrime liberamente.

⸩ↂ⸨

"Non ti avevo dato il permesso, figlio di puttana!".

Phoenix sbatté i pugni sulla pietra del pavimento con tanta violenza da farsi male.

Non riusciva a respirare, l'aria gli mancava per l'agitazione e il dolore che provava al petto era diventato insopportabile. Con uno scatto si mise a sedere, cercando di riprendere fiato, ma il cuore, i polmoni, la testa sembravano intenzionati a non obbedirgli. Procedevano come volevano, seguendo il ritmo impazzito dei suoi ragionamenti.

Non riusciva a pensare a Raven. Non riusciva a pensare di averlo ucciso. Andava fatto, gli avrebbe detto lui se fosse stato ancora lì, con la sua maledetta, insopportabile aria di superiorità. A Phoenix, però, non importava. Che andasse fatto o meno, era stata colpa sua se era morto, e quell'idea lo stava facendo impazzire.

Con i polsi cercò bruscamente di liberarsi dalle lacrime e tornare a guardare la sua arida, schifosa, terribile realtà. I suoi occhi erano talmente rossi che le iridi verdi brillavano come lanterne sul viso contratto. Ruotandole appena, con estrema cautela, Phoenix sbirciò il viso esangue di Raven.

"Non ti avevo dato il permesso di morire, brutto bastardo!", masticò ancora con rabbia e con dolore. "Ma tu devi avere sempre l'ultima parola, eh, Pigeon? In un modo o nell'altro, qua si fa sempre come dici tu!".

Scosse il capo con violenza, sputò l'ennesimo Vaffanculo e si tirò in piedi. Non si rassegnava a quella situazione. Non poteva.

Si guardò attorno. La stanza era stata annerita dalle fiamme e non era rimasto più nulla, a parte lui, Raven e la pietra lavica che era ripiombata nella sua serafica esistenza. Di fronte al suo sguardo torvo, la parete bruciacchiata conservava ancora le incisioni nella pietra, le uniche che erano sopravvissute al fuoco. Phoenix le osservò con disprezzo. Sembrava uno scherzo, una beffa: neppure tutta la sua potenza era riuscita a distruggere quel viscido serpente e i pianeti che avevano disegnato il loro destino. E distruggere, in quel momento era tutto quello che voleva. Solo distruggere.

Gli schemi si distruggono dall'interno.

La voce di Raven gli bruciò la testa. Gli era risuonata viva e presente, come lo era stata appena qualche ora prima, ed era incredibile pensare che solo un soffio di tempo era passato da quando erano ancora insieme, da quando era ancora tutto possibile.

"E le regole sono necessarie per sovvertire i sistemi", ripeté piano, girandosi a guardare Raven ancora una volta. "Era questa la vera lezione che volevi che imparassi?".

⸩ↂ⸨

Swan si annodò addosso, come un pareo, la parte di foulard damascato che Eagle le aveva porto. Era lo stesso che aveva usato per coprirla mesi e mesi prima, ma lei non lo sapeva, non lo sospettava nemmeno.

Lui, invece, seguì quell'operazione e il disegno della stoffa tormentandosi un labbro con un polpastrello. Quante cose erano cambiate, da quella mattina di pioggia? Se tanto era stato recuperato, quanto invece era stato perso? E quanto ancora sarebbe stato perso? Si ritrovò addosso i suoi occhi azzurri quando meno se l'aspettava e sobbalzò, allontanandosi da quei pensieri.

"Ho trovato un modo per recuperarli", esordì lei con aria decisa.

Eagle piegò appena la bocca in un'espressione dubbiosa. Non voleva essere brutale, ma quella ragazza sembrava sempre volerlo spingere al limite di tutto.

"Recuperare cosa?".

"Phoenix", ribatté di riflesso, un istante prima di esitare. "E Raven".

Il ragazzo sospirò. Lei era sempre stata così terribilmente testarda, così capace di credere alle favole al punto di convincere il mondo intero che erano vere. Anche quando non lo erano.

"Swan, lo sai...".

"Zitto, Eagle! Non ti voglio ascoltare".

"Cominciamo bene...".

"Acqua. Riempirò la stanza d'acqua. Certo, sarà parecchio faticoso e ci vorrà un bel po' di tempo, ma se è identica a questa, così come hanno detto, non è troppo grande e i soffitti sono bassi".

Eagle si massaggiò la fronte con le dita. Poteva fermare Swan? E soprattutto, voleva fermare Swan? No, in realtà non lo voleva davvero. La speranza di lei era anche la sua.

"E dove pensi di trovarla tutta quest'acqua?".

"Hai presente quel fiumiciattolo che scorre a un centinaio di metri da noi? Il Tamigi?", lo canzonò lei. "Non sarà certo un bagno in acque limpide e profumate, ma immagino che sapranno farsene una ragione".

Senza nemmeno attendere una replica, si inginocchiò di fronte all'orlo della voragine e distese le mani lungo la parete annerita.

Eagle, scosse la testa, una volta ancora. Assecondarla gli stava pure bene, ma aveva il dovere di riportarla con i piedi per terra.

"Senti, Swan", intervenne, afferrandole un braccio, "la tua idea sarebbe geniale se Raven e Phoenix fossero vivi e stessero bene. Ma se sono feriti, svenuti o... insomma, potresti fare peggio, allagando la stanza".

Lei gli lanciò uno sguardo di sfida e strappò il braccio dalla sua stretta.

"Farò piano", ribadì, e subito si concentrò su quell'evocazione come se fosse la più importante di tutta la sua vita.

⸩ↂ⸨

Phoenix prese un profondo respiro. Aveva bisogno di recuperare un po' di lucidità, quel tanto che gli bastava per afferrare quell'idea che gli nuotava in testa, sinuosa e sfuggente come i serpentelli di Swan. Si avvicinò alla parete e si concentrò sulle incisioni. Seguì con lo sguardo il movimento del serpente e la posizione dei pianeti. Sfiorò con le dita la testa dell'animale che mordeva la propria coda.

"Hai detto che l'Opera finisce e ricomincia di nuovo, giusto?".

Continuava a parlare con Raven anche se lui non poteva più rispondergli. Aveva un che di consolatorio, esattamente come quando battibeccavano nel pozzo. Così non riusciva a rinunciare a quella sensazione di poter non essere del tutto solo, all'impressione che ci fosse ancora qualcosa su cui discutere.

"E il libro che ho trovato in biblioteca spiegava che la Fiamma, una volta compiuta l'Opera, si consuma, si estingue e decade, per ricongiungersi alla Terra e ricominciare il processo".

Si voltò di scatto con un lampo di luce nuova negli occhi. Guardò Raven come se davvero si fosse convinto, a quel punto, di poter ricevere una risposta.

"È una vera follia, questa, lo sai? E se hai sbagliato, stronzetto, giuro che ti verrò a cercare anche se dovessi nasconderti nella bocca di Lucifero".

Tacque, socchiuse le palpebre e per qualche minuto nella stanza si udì solo il suo respiro, lento, misurato, come se stesse cercando di scandire il tempo, di accordarlo alla propria esistenza. Non era facile, prendere quella decisione. Già una volta aveva dovuto rinunciare a se stesso. Sapeva quanto fosse dura, scegliere di morire.

Tornò a guardarsi attorno, scosse la testa per scacciare la paura. Non doveva pensare. Doveva agire e basta. Non c'era un ritorno. Si precipitò sul pavimento, accanto al corpo di Raven. Lo sollevò, lo tirò fino a sé e lo prese tra le braccia. Si ripeté di non fermarsi a riflettere, ché se lo avesse fatto si sarebbe di certo fatto paralizzare dal dubbio e dal terrore.

"Ti ho detto che avremmo bruciato insieme, fratello. E un vero irlandese ha una parola sola".

Chiuse gli occhi, si piegò sul corpo dell'altro per avvicinarlo il più possibile a sé, poi evocò il potere del Fuoco. Non proiettandolo all'esterno, come aveva fatto in precedenza. All'interno. Sarebbe bruciato assieme a Raven. Sarebbe stato l'altare e il sacrificio allo stesso tempo.

Visualizzò la Fenice nella parte più profonda di sé, come Eagle gli aveva insegnato. Divenne lui stesso la Fenice. Il fuoco cominciò a crepitare attorno a loro come una pira, e lui e Raven vi stavano al centro. Lentamente, inesorabilmente, Phoenix spinse la propria coscienza e la propria volontà oltre il limite massimo che non aveva sfiorato, oltre quella fine in cui avrebbe smarrito definitivamente se stesso.

⸩ↂ⸨

Aprì gli occhi e scandagliò lo spazio semibuio. Non c'era nulla attorno e l'aria era irrespirabile, gli bruciava la gola e i polmoni. La bocca poi, era un tormento. Gli sembrava di aver vagato nel deserto per giorni. Cercò di carpire qualche informazione, ma aveva la netta sensazione di aver perso l'udito e la vista. Galleggiava in un silenzio ovattato, aveva smarrito ogni familiarità con ciò che lo circondava. Anche il suo corpo sembrava non esistere più. Solo la mente era vigile, ma per il resto non aveva percezione del mondo sensoriale.

Che sensazione fastidiosa!

Cercò di scrollarsi, facendo un'enorme fatica. Qualcosa lo tratteneva, inchiodandolo a terra. Provò a sfuggire come poteva a quelle catene che non riusciva a distinguere e si dibatté, cercando di strisciare sul pavimento di pietra, l'unico elemento che riconosceva con certezza.

"Porca miseria, Pigeon! Vuoi smettere di agitarti come un serpente a sonagli?".

No, ci sentiva ancora, e quella era senza dubbio la voce insopportabile di Phoenix.

Con un dolore terribile, sollevò il braccio e cercò di strofinarsi gli occhi, fino a quando riuscì a mettere a fuoco la sagoma familiare dell'irlandese, che era seduto per terra, esattamente come lui, sopra i resti di quella che sembrava una pira.

"Che diavolo è successo?", riuscì finalmente ad articolare.

Il sorriso di Phoenix scintillò bianco sulla sua faccia nera di fumo e cenere.

"Che tu hai deciso di schiattare, stronzetto, e che io non ero d'accordo".

Raven lo fissò un istante con sospetto.

Che diavolo...

Cercò di mettere a fuoco i ricordi. Erano vaghi e confusi, ma i pochi brandelli che riuscì a recuperare - l'iscrizione sul muro, la pietra lavica, il contatto delle loro mani, l'urlo e il dolore straziante - furono sufficienti a trasmettergli un'idea abbastanza verosimile di come si erano svolte le cose. Più o meno come lui aveva pensato. In fondo, l'unica vera variabile non calcolabile era Giove, ma evidentemente la Dea Bendata, da gran bella donna qual era, aveva deciso di stare dalla sua parte.

Sorrise: aveva appena vinto la sua ultima scommessa, quella con la Sorte.

"Certo che per essere uno che non crede alle magie...", commentò.

"Non ci credo, infatti", ribatté Phoenix con un ghigno di soddisfazione, "ma a quanto pare le so fare".

"Be', a questo punto ti devo una bevuta".

L'irlandese annuì, ma la sua espressione mutò appena, perdendo un po' del suo smalto.

"Offro io, se trovi il modo per tirarci fuori da qui".

Raven sollevò lo sguardo a fissare il soffitto. Il Fuoco aveva distrutto ogni cosa. Eccola lì, la variabile indipendente. A quel dettaglio non aveva proprio pensato.

In effetti, c'era da aspettarselo.

Proprio mentre stavano entrambi con il naso all'aria, indecisi se fosse più grande la fortuna di essere vivi o la sfortuna di essere chiusi in una stanza senza uscita, si udì un suono basso provenire dal fondo. Era simile al gorgogliare di acqua sotterranea, sulfurea e schiumosa. Phoenix fu il primo ad avvertirlo e a guardare istintivamente verso il basso. Vide il pavimento coprirsi lentamente di liquido trasparente che, ondata dopo ondata, cominciava a salire di livello, con un movimento cadenzato e tranquillo.

"Ok, risparmiati la fatica di schiavizzare i tuoi poveri neuroni, Pigeon. Swan ci sta riportando al nido".

Raven osservò l'andamento dell'acqua, poi l'ingresso del tunnel. Con un po' di attenzione e aiutandosi con le rientranze di cui erano disseminate le pareti, avrebbero potuto farcela. Almeno avevano di nuovo una possibilità.

"Non sarà esattamente un viaggio in prima classe", considerò pensoso.

Phoenix gli passò addosso una rapida occhiata. In effetti, Raven non aveva l'aspetto di uno al massimo della propria forma. Forse a stento sarebbe riuscito a tenersi in piedi. L'irlandese realizzò immediatamente cosa andava fatto: lui avrebbe dovuto essere così gentile da offrirgli il suo aiuto e Raven avrebbe dovuto avere l'umiltà di accettarlo.

"Ce la fai a provare?", domandò a quel punto.

Aveva usato un tono stranamente premuroso, per essere Phoenix. Raven lo guardò un istante con sospetto, poi si decise e sfoderò il suo solito sorriso.

"Be', sarebbe un peccato non farlo, ti pare?".

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