Capitolo 2- Caffè
La corsa che feci per raggiungere Scarlett e Kevin e, con loro, tutti gli altri specializzandi, fu devastante, tanto che quando arrivai sentii le gambe tremanti e il respiro che sembrava essersi incastrato nella mia gola.
«Sono arrivata in tempo?» chiesi a Scarlett con voce affannosa.
Insieme a lei c'erano altri colleghi, eravamo circa una decina e stavamo ognuno per gli affari nostri, senza neanche tentare di conversare. Ma la facoltà di Medicina era questa, eravamo gli uni contro gli altri e non c'era modo di evitarlo. La competizione tra noi era palpabile e non c'era modo di dissiparla.
«Si, non sono ancora arrivati i nostri capi» sussurrò lei. «Ma dov'eri finita? Ci hai messo tantissimo per prendere un cavolo di caffè» mi redarguì, lanciandomi un'occhiata in tralice.
«Lascia perdere, ho combinato un casino. Ho gettato il caffè add...» Non feci in tempo a terminare la frase perché la mia amica mi trafisse lo stomaco con una gomitata mentre i medici che ci avrebbero fatto da tutor fecero il loro ingresso nel reparto.
Erano tre e il mio stomaco si strinse in una morsa d'acciaio quando notai che, tra di loro, che camminava con la schiena dritta e con lo sguardo truce, c'era proprio il medico a cui avevo versato il caffè sul camice.
Sgranai gli occhi e rimasi con la bocca spalancata mentre percorreva il tragitto che ci separava. Il suo portamento era fiero, camminava dritto come se il mondo fosse ai suoi piedi e, nel frattempo, giocherellava con l'etichetta che sbucava dal suo camice ora bianco, probabilmente lo aveva cambiato.
Insieme a lui c'erano due donne, entrambe sulla quarantina e con l'atteggiamento di due che non si fanno mettere i piedi in testa. La prima, che camminava alla sinistra del dottore, aveva i capelli biondi raccolti in una coda altissima, gli occhiali da vista che premevano sul naso alla francese e gli occhi vispi di un azzurro intenso. Sotto al camice si intravedeva una gonna con delle autoreggenti sulle gambe e mi domandai se fosse comodo visitare i pazienti vestita in questo modo, con i tacchi a spillo compresi.
L'altra era una donna di colore, bassina e in carne che sembrava essere la rincarnazione del diavolo, data la sua espressione seria e anche abbastanza arrabbiata.
«Hai capito chi è lui?» bisbigliò Scar al mio fianco, con lo sguardo rivolto verso il dottore.
Si, uno a cui ho versato il caffè addosso e che probabilmente mi distruggerà la carriera se sarà lui il mio tutor.
«Chi è?»
«Salve a tutti, sono il dottor Stewart e, se sarete fortunati ed io sfortunato, tre di voi saranno i miei specializzandi per quest'anno» iniziò a parlare e la sua voce mi trafisse lo sterno. Era calda, bassa e un po' roca, mentre le sue labbra si muovevano in modo così delicato e morbido che mi fece perdere l'attenzione dalle sue parole.
«Il dottor Stewart, Nives, mi hanno detto che è il peggiore dell'ospedale. È praticamente Hitler» mi avvisò Scarlett. «Ma non credevo che fosse così bello» aggiunse poi, fissandolo con occhi da cerbiatta.
In effetti, non potevo confutare la sua tesi. Il dottor Stewart era di una bellezza disarmante, con quei ricciolini biondi che cadevano sulla fronte corrucciata e gli coprivano le iridi dello stesso colore dell'oro.
«Sono un cardiochirurgo e, se sarete con me, non vi sarà concesso sbagliare» continuò il dottore, mentre passava in rassegna ognuno di noi. «E non amo perdere tempo, quindi se non siete interessati alla mia materia potete dirlo subito e ritirarvi dal programma».
«Lui non mi piace» intervenne Kevin alla mia sinistra, dandomi anche lui una gomitata sull'addome.
«Nemmeno a me» confessai.
Non ci era permesso commettere errori, il che era un po' ironico dato che eravamo specializzandi al primo anno e questo comprendeva anche sbagliare.
Già l'avevo capito: il dottor Stewart era chiaramente un grandissimo stronzo.
«Io sono la dottoressa Stevens, sono una pediatra e, per me, valgono le stesse regole che avete sentito per il dottor Stewart» disse la bionda, con una risatina leggera mentre toccava la spalla del dottore con un gesto amichevole e confidenziale.
«Si, lo stesso per me» aggiunse l'altra. «Ah, e sono la dottoressa Harris» continuò annoiata.
Da quel che avevo analizzato, la scelta migliore sarebbe stata la dottoressa Stevens, peccato che questa decisione non spettava a noi.
Mi sentii fregata, sull'orlo del precipizio, quando il medico trovò il mio sguardo e mi puntò come una spada, facendomi trattenere il fiato per qualche istante. Le sue labbra si curvarono in un mezzo sorriso di scherno e io mi sentii morire.
«Allora, ci sono domande?» domandò lui, ma le sue iridi stavano incastrando le mie.
Fortunatamente, una ragazza che alzò la mano per fare una domanda, spezzò l'intreccio dei nostri occhi e potei tornare a incamerare aria nei miei polmoni.
«Dottor Stewart, è vero che lei è il migliore dell'ospedale?» La voce intimidita e dolce della ragazza si propagò per la stanza.
Lui gonfiò il petto, trionfante, mentre un sorriso si fece strada nel suo volto spigoloso. «Si, sono il migliore. Adesso avete domande più intelligenti o possiamo iniziare?»
Nessuno osò fiatare.
Il dottore diede un colpo di mani e il rumore sordo riecheggiò tra le quattro mura dell'ospedale, poi le incastrò tra loro e prese un foglio dalla sua tasca.
«Keller, Ries e Miller con me».
Il mio cuore si fermò del tutto quando disse il mio nome, e qualcosa nella sua espressione, nelle sue labbra curvate in un sorriso machiavellico e il suo occhi vispi, mi fecero capire che sapeva chi ero. Sapeva dall'inizio che sarebbe stato il mio capo.
«Merda, mi dispiace per te» sussurrò Scarlett al mio fianco, mentre il suo nome venne detto dalla dottoressa Stevens e quello di Kevin dalla Harris.
«Non ci posso credere» bisbigliai sull'orlo dell'incredulità. Tra i tre, doveva capitarmi proprio quello a cui avevo buttato addosso il caffè?
«Su, avanti, andiamo» ordinò il dottor Stewart, iniziando a camminare a passo spedito, e noi lo seguimmo il religioso silenzio. Entrammo i vari reparti e facemmo un giro completo, poi riprese a camminare fino al reparto in cui saremmo stati per il prossimo anno.
«Non sembra anche a te che il dottor Stewart sia una sorta di dittatore?» mi sussurrò all'orecchio un ragazzo moro che mi sembrava di aver capito si chiamasse Cillian Keller.
Insieme a me, c'era lui e una ragazza rossiccia che non aveva nemmeno aperto bocca, mi sembrava si chiamasse Rose Ries e seguiva il dottor Stewart come un cagnolino bastonato, con i suoi appunti in mano e i capelli legati in una crocchia con una matita che sbucava tra le ciocche.
«Io inizio ad avere davvero paura» bisbigliai con una risatina, guardando gli occhi cerulei del ragazzo accanto a me.
Però, il mio respiro si bloccò quando il medico si voltò verso di noi in modo lento e terrificante, prima di trafiggermi con i suoi occhi. «Cos'ha da ridacchiare, dottoressa Miller?» domandò con un ghigno in faccia, ma con l'aria di uno che voleva mettermi in soggezione. E ci stava riuscendo benissimo.
Boccheggiai. «Niente, dottor Stewart» farfugliai.
«A me sembrava di averla sentita ridere. C'è qualcosa che la diverte, per caso? Se così fosse, vorrei ridere anche io» continuò, facendo qualche passo nella mia direzione. Si avvicinò a me in modo cauto e io mi ritrovai inchiodata al pavimento.
E ora che scusa mi invento?
«Si sbaglia, dottore» mentii, mentre inghiottivo il nodo che avvertivo in gola.
Lui si portò le braccia al petto e i miei occhi non potettero fare a meno di osservare il tessuto bianco che sembrò stringere il suo bicipite teso fino al punto di lacerare la stoffa. «Io non sbaglio mai, dottoressa Miller». Il tono della sua voce fu calmo e pacato, mentre a me sembrò che mille aghi mi si stessero conficcando nella carne.
Mi schiarii la gola e sperai che Cillian corresse in mio soccorso, ma il suo sguardo era perso nel vuoto e la sua espressione era impaurita più della mia, quindi abbandonai quella flebile speranza.
«Ridevo da sola» dissi d'un tratto, sperando che questo bastasse a fargli fare qualche passo indietro. «Quando sono nervosa rido da sola» aggiunsi, fissando i suoi occhi chiari e alzando il mento per farmi federe più sicura di me.
Lui sembrò riflettere per qualche istante, portandosi le dita sotto il mento e abbassando lo sguardo verso di me. «Avrei bisogno di un caffè, dottoressa Miller».
Inarcai un sopracciglio, confusa. «Quindi?» Il tono della mia voce uscì più indispettito rispetto a quanto avrei voluto, ma la sua affermazione mi fece innervosire, forse per l'ordine velato che vi nascondeva al di sotto.
«Quindi dovrebbe andare a prendermelo» constatò con naturalezza, come se fosse la cosa più scontata del mondo che una specializzanda gli andasse a prendere una tazza di caffè.
Io ero qui per imparare, non sicuramente per fare la cameriera ad un medico indispettito.
Me lo stavo già inimicando e avevo appena cominciato, come sarei arrivata alla fine?
Purtroppo, però, non ero una che riusciva a tenere a freno i suoi pensieri. Sentivo la rabbia scorrere nelle vene insieme al sangue bollente e l'adrenalina che pompava il mio cuore e che si irradiava in ogni centimetro del mio corpo, facendomi avvampare il petto e tingere le guance di rosa.
«Non ne ha già preso abbastanza, dottor Stewart?» Mi morsi la lingua nell'istante stesso in cui proferii quelle parole, ma ormai era tardi, perché il suo sguardo su di me era feroce e aveva l'espressione di uno che mi avrebbe uccisa e poi ridotta in brandelli, e probabilmente avrebbe banchettato con la mia carne.
Nel frattempo, gli altri due specializzandi ci osservavano con un'espressione confusa che decorava i loro volti. Rose sembrava quasi soddisfatta del fatto che il dottore mi stesse minando, mentre avrei giurato che Cillian avvertiva un minimo di senso di colpa, dato che era stato lui a farmi finire in questa situazione irrealistica e illogica.
Il medico fece un passo nella mia direzione, inchiodando i miei occhi ai suoi e i miei piedi al pavimento. D'un tratto, il suo profumo fresco mi avvolse totalmente e percepii il mio stomaco contorcersi a causa delle note inebrianti di quell'odore di gelsomino e tabacco che arrivò dritto fino alle mie narici, per poi essere assorbito persino dai miei polmoni.
Trattenni il respiro.
«Le piace fare la simpatica, dottoressa?» Piegò le labbra in un leggero sorriso machiavellico ed io mi fermai ad osservare il suo pomo d'Adamo che scorreva in alto e in basso sulla gola ispida.
Inghiottii il groppo che avevo in gola. «Non sono qui per fare la cameriera» ribattei, mascherando tutta l'agitazione che scorreva su ogni centimetro del mio corpo.
Lo stomaco era stretto in una morsa d'acciaio e il cuore sembrava sul punto di uscire dalla cassa toracica. Rimbombava da ogni parte, lo sentivo persino nelle orecchie.
Lui piegò la testa di lato, come se fosse stato incuriosito da me e avesse voluto studiarmi con attenzione. «Sono sorpreso, nessuno si è mai rivolto a me in questo modo», sembrò riflettere a voce alta. «Ma questo non significa che non gliela farò pagare, dottoressa. Vuole entrare in sala operatoria nei prossimi giorni? Bene, vada a prendermi il mio caffè e non risponda mai più in questo modo, se non vuole uscire dal programma», tuonò con voce ferma, ma talmente letale e feroce che mi trapassò la carne e la sentii infilzarmi il cuore.
Il dottore Chris Stewart era uno stronzo e un dittatore, ora l'avevo capito, ma se volevo entrare in sala operatoria e imparare qualcosa, allora avrei dovuto abbassare la testa e fare ciò che mi chiedeva.
Ma ne sarei stata davvero capace?
Mi dipinsi un sorriso tirato sul volto e mascherai la mia rabbia con una voce squillante e allegra. «Ma certo, dottore» risposi aspra.
Ti porto un bel caffè con il retrogusto della mia saliva, dottor Stewart!
Con la rabbia che si diffondeva in tutto il mio corpo e non aveva la minima intenzione di dissiparsi, girai i tacchi e mi voltai per raggiungere la macchinetta del caffè, per la seconda volta in questa mattinata alquanto pesante.
Scesi le scale che mi separavano dal piano inferiore e raggiunsi la mia meta nel giro di qualche minuto. Feci ciò che mi era stato ordinato mentre sentivo le guance andare a fuoco e il fumo uscirmi persino dalle narici.
Contemplai il bicchierino di plastica tra le mie mani, osservando il liquido marroncino e il calore che si addensava in aria e riflettendo sul fatto di sputarci davvero o no.
Poi, mentre stavo raccogliendo la mia saliva per compiere quel gesto meschino, la presenza di un dottore di fronte a me mi fece desistere.
«Buongiorno» salutò un uomo sulla trentina con i capelli castani che ricadevano lisci sulla fronte e gli occhi di un verde smeraldo che puntarono i miei.
Ma sono tutti super modelli in questo ospedale?
«Buongiorno» ricambiai il saluto e feci per andarmene senza aver portato a buon fine le mie intenzioni.
«Lei è?» La sua voce bloccò i miei passi e mi ritrovai a voltarmi nuovamente verso l'uomo.
«La dottoressa Miller, una specializzanda del dottor Stewart» affermai abbassando la testa, perché al solo pensiero di quel malefico dottore mi veniva voglia di prenderlo a schiaffi e di correggere il suo caffè con un po' di arsenico.
«Io sono il dottor Shane, Nicholas Shane, per le belle specializzande come lei». Un angolo delle sue labbra carnose si sollevò in un sorriso spontaneo e io sentii le gote andarmi a fuoco.
Ci stava palesemente provando con me o ero io a farmi stupide illusioni?
«Oh, io sono Nives» mi presentai a mia volta con una risatina imbarazzata.
«Scommetto che quel caffè è per Chris» asserì con una risata genuina che uscì dalla sua bocca e che alleggerì il mio petto da tutta la tensione che avevo accumulato quella stessa mattina.
Notai che aveva chiamato il dottor Stewart con il suo vero nome, ciò non poteva voler dire altro se non che fossero amici, perciò mi morsi la lingua ed evitai di dire tutto quello che pensavo in quel momento di quel malefico dottore.
«Si, è per lui» ammisi. «Ora devo andare a portarglielo o non mi farà entrare in sala operatoria per i prossimi tre anni, probabilmente». Sorrisi e mi portai una ciocca di capelli, caduta dalla mia crocchia, dietro le orecchie.
Nicholas, nel frattempo, incollò la schiena al muro e iniziò a sorseggiare la sua bevanda, mentre i suoi occhi chiari sembravano volermi scavare nelle viscere.
Scrollò la testa, divertito. «Tipico di Chris. Comunque, ci vediamo in giro...» fece una breve pausa, come se stesse riflettendo su qualcosa. «Nives. Posso chiamarti così?»
«Certo, Nicholas». Ridacchiai e, dopo che lui mi regalò un sorriso bellissimo, me ne andai per raggiungere il mio inferno personale, mentre sentivo gli arti che faticavano a raggiungere il mio obiettivo e la tensione che si accumulava di nuovo all'altezza del mio petto.
Fortunatamente, dopo aver fatto almeno quarantacinque prelievi e aver portato ogni singola cartella presente in questo ospedale al dottor Stewart, che non aveva fatto altro che darmi ordini a bacchetta, tra cui portargli altri due caffè, era arrivata ora di pranzo e mi stavo dirigendo in mensa, dove avrei incontrato Scarlett e Kevin.
Li individuai all'istante, seduti al tavolo, e mi ci fiondai.
«Ehi, Nives, sembri distrutta» osservò Scarlett con l'espressione disgustata che aleggiava nel suo volto.
«Lasciamo stare» sbuffai, completamente esausta dalla mattinata.
Al contrario di me, i miei due amici sembravano raggianti. Scar aveva un sorriso stampato in faccia e continuava a ridacchiare come se fosse la giornata migliore della sua vita, mentre Kevin mangiava e nei suoi occhi traspariva la voglia di raggiungere ogni suo obiettivo, mentre io già stavo ragionando sul perché avessi scelto una facoltà così difficile.
«Che c'è? il dottor Stewart è davvero così cattivo come si dice in giro?» domandò il mio amico con una scrollata di spalle, mentre si infilava una quantità anomala di patate in bocca.
«Dire che è cattivo è estremamente riduttivo» esordii con disprezzo, mentre fissavo la carne che avevo sul vassoio come se fosse la cosa più schifosa del mondo. Non avevo neppure fame, arrivata a questo punto.
Iniziai a tagliuzzare la bistecca in piccolissimi pezzi, così i miei amici non avrebbero fatto domande sul fatto che non stavo mangiando un bel niente, un po' per ingannare il tempo e i loro occhi curiosi e giudicanti.
«Davvero? Eppure, guardatelo, io pagherei oro per passare qualche istante con lui». Lo sguardo di Scar si fissò alle mie spalle e degli strani brividi si irradiarono dalla mia colonna vertebrale fino alla fine del busto.
Non mi voltai subito, consapevole che la mia amica stesse fissando proprio il dottore che, in quel momento, avevo voglia di uccidere con tutta me stessa, ma continuai a tagliare il mio cibo e resistetti all'impulso di indugiare il mio sguardo su quell'uomo.
«Non la penseresti allo stesso modo se fossi al posto mio» dissi infastidita.
Lei scrollò le spalle. «Ma come fai a non fissarlo ogni secondo che passi con lui?» I suoi occhi erano ancora fissi su di lui e le sue pupille erano sul punto di disegnare la forma di un cuore.
«Scar, finiscila, è solo un uomo» intervenne Kevin con una punta di nervosismo che traspirava dalle sue parole e anche dall'espressione su sul viso.
«Qui qualcuno è geloso» ridacchiai e infilai un pezzo della mia carne tra le fauci del mio amico, così ne avrei avuto un po' di meno da far finta di mangiare.
«Geloso di chi? Di lui?» Finse una risata isterica.
Si, probabilmente lo era.
Ad interrompere quel momento di tranquillità, il mio unico momento di serenità da quando avevo messo piede in quest'ospedale, fu proprio il dottor Stewart, che si avvicinò al nostro tavolo con aria incuriosita e strafottente.
Voleva che gli portassi un altro caffè mentre stavo mangiando con i miei amici? Se così fosse stato, avrei accettato l'idea di farmi cacciare dal programma per aver picchiato un medico responsabile.
Inarcai un sopracciglio e attesi che Chris Stewart parlasse. Era in piedi di fronte a me, mentre le sue iridi dello stesso colore dell'oro vagavano da me a Scarlett e poi a Kevin, come se ci avesse voluto studiare tutti.
Non era solo, accanto a lui torreggiava Nicholas Shane, l'uomo che avevo incontrato poco prima alle macchinette del caffè che, al contrario dell'altro, sorrideva e trasmetteva una strana aria di serenità, invece del disagio e della soggezione che incombeva su di me ogni volta che il dottor Stewart posava il su sguardo sul mio corpo.
«Buongiorno, Nives» mi salutò Nicholas con un sorriso raggiante, che fece subito destare sospetti alla mia amica. Infatti, con la coda dell'occhio, vidi lo sguardo in tralice di Scarlett che mi puntava.
«Buongiorno». Sorrisi di rimando, ma non ero del tutto contenta nel sapere che l'altro medico stava con noi e mi fissava come se fossi un'erbaccia da estirpare.
Il dottor Stewart si schiarì la gola. «Volevamo dirvi che fra dieci minuti abbiamo un'esercitazione, preparatevi» disse con calma risoluta e gli occhi vaganti su ognuno di noi.
La mia espressione era confusa. Erano venuti fin qui solo per dirci di un'esercitazione?
«Ma certo, dottor Stewart, grazie per averci avvisati» cinguettò Scar, beccandosi la mia, di occhiataccia, ora.
Quella donna aveva bisogno di una notte di sesso, assolutamente.
Lui annuì. «Ci vediamo dopo».
«Ci vediamo dopo, Nives» aggiunse Nicholas regalandomi un occhiolino che mi fece arrossire, e che causò una serie di domande da parte dei miei amici. «E anche a te, Scarlett».
Questo causò una serie di domande alla mia amica, invece.
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