Piaf - parte I -

Sudore.

Dolore.

Tanto dolore.

Come se qualcuno le stesse conficcando dei coltelli ardenti nelle membra e si stesse divertendo a infilarli più in fondo che poteva con l'intento di tagliarle tutte le terminazioni nervose. Impossibile pensare di non urlare. Quando arrivò il momento di spingere, non riusciva più a delineare le parole che le dicevano, le mani che la toccavano, i volti che le si ponevano di fronte e le urlavano che ce la poteva fare.

Spinse, urlò e pianse.

Un dolore inimmaginabile le percorse il corpo, quasi avesse espulso un armadio a porte aperte. Fu un attimo e subito si sentì svuotata, come se le avessero strappato il cuore e tutti gli organi. Sentì un gemito acuto venire al mondo per la prima volta. Percepì delle parole sconnesse, stava bene. Dopo qualche minuto le misero sua figlia tra le braccia. La guardò sorridendo, si perse nei suoi occhi vacui, nelle sue labbra morbide, nelle sue manine che muovendosi agitate la toccavano inconsapevolmente. La natura, perfetta e meravigliosa, le stava regalando una droga ormonale talmente forte e intensa da farle dimenticare il dolore di qualche attimo prima.

Angela guardò sua figlia e in quel momento seppe dare un senso alla sua vita.

«Benvenuta al mondo, mia piccola Eva.» 


«Questa volta l'hai fatta grossa, ma cosa ti è passato per la testa? Se l'hai fatto per me non dovevi, lo sai.»

«Giorgia, rilassati ok? Non ci beccheranno mai e poi Marzio aveva bisogno di una lezione.»

«Non potevamo dirlo semplicemente alla preside?»

«Lo sai che non avrebbe preso alcun provvedimento. Quel figlio di papà è intoccabile.»

«Passeremo dei guai, me lo sento. Ci scopriranno.»

Eva guardò Giorgia, e per un istante, anche se brevissimo, provò pena per lei. Aveva il volto trasformato dall'ansia e non la smetteva di mangiarsi le unghie. Eva non capiva. Marzio era arrogante e crudele con tutti i ragazzi della sua scuola, faceva sempre lo stronzo con i più timidi e introversi. Con Eva si limitava solo a qualche battuta infelice. Tutti pensavano che Marzio le portasse rispetto perché era l'unica che le tenesse testa. I più maligni ipotizzavano che lui avesse una cotta per la ragazza.

Quella volta a Eva non andò di sorvolare sulla sua ennesima vigliaccheria, soprattutto dopo che era quasi riuscito a dar fuoco ai capelli di Giorgia. Ed Eva sapeva come vendicarsi.

Marzio si era ritrovato a correre e urlare rincorso da una ventina di cavallette giganti, al cambio delle lezioni, con quasi tutti gli alunni del loro liceo per i corridoi.

Il ragazzo era terrorizzato dalle cavallette.

«Ho i miei informatori», aveva liquidato la curiosa amica. Non poteva dirle che passava i pomeriggi a casa della nonna di Marzio. Erano amiche e vicine di casa, ed erano complici. La nonna sapeva che al nipote serviva una lezione, si era accorta di qualche suo atteggiamento.

La scena era stata immortalata da un ragazzo avvisato da Eva e il video aveva fatto il giro della scuola. La ragazza non si era pentita un attimo di quella scelta, alla fine era per una buona causa. Tutti sapevano chi aveva organizzato quello scherzo, ma lei non accettò mai di prendersene il merito.

Dopo quell'episodio, Marzio restò per mesi in disparte e smise di essere un tormento. Eva lo guardava mangiare da solo, non parlare più con nessuno. Ma era tutto previsto.

«Vedrai che inizierà a fare l'offeso e isolarsi, ma fai passare un po' di tempo. Gli servirà per riflettere, capire. Dopo però vai a parlarci, come se nulla fosse. Nessuno merita di rimanere da solo, nemmeno lui e nonostante il suo comportamento. L'importante è che abbia capito la lezione» le disse nonna Agata.

Per questo Eva quel giorno gli si avvicinò in giardino, a pausa pranzo, e senza nemmeno salutarlo gli si sedette accanto con tutta la delicatezza che possedeva. Si appoggiò allo stesso grosso albero che faceva ombra al ragazzo e prese il suo pranzo dalla borsa, un enorme panino con provolone e mortadella. Seguiva una dieta abbastanza rigida.

«Che c'è?» gli disse iniziando a divorarlo.

«Oh, nulla, assolutamente nulla.»

Rosso e tremante prese il suo pranzo dalla borsa. Un toast e una mela che doveva essere buonissima, almeno dall'aspetto. Sembrava dolce e succosa. Eva si ritrovò a fissarla.

«Ehm, l-la vuoi tu?»

«Come scusa?»

«La vuoi tu, la mela?»

«Me la daresti, davvero?»

«Certo, tieni.»

Le porse il frutto e Eva senza nemmeno aspettare di finire il suo panino l'addentò all'istante.

«Umm, buonissima...»

Marzio non riuscì a trattenere un sorriso.

«Stai ridendo di me?»

«Beh, ammetterai che è molto strano...»

«Cosa?»

«Andiamo, mi hai praticamente implorato di darti la mela e tu... tu sei Eva.»

Ma la ragazza continuava a mangiare il frutto, incurante del panino e del ragazzo e di quello che stava cercando di dirle.

Marzio non riusciva a smettere di guardarla. Il sole che passava tra i rami le illuminava i lunghi capelli mossi facendoli sembrare ancora più infuocati, i suoi grandi occhi scuri sembravano più profondi del solito, la pelle era così morbida, luminosa. Marzio aveva voglia di avvicinarsi per annusarla, quella pelle. Era come una falena, attratta dalla luce, dal calore. E piano si avvicinò sempre più a lei. E più si avvicinava e meglio riusciva a scorgere tutte le sue irregolari lentiggini.

Quando Eva si accorse di quello che stava accadendo era troppo tardi. E Marzio troppo vicino.


«Non riuscirò mai a passare questo esame.»

«Ce la farai...»

«No, non ce la farò.»

«Eva smettila di frignare, dici sempre così e poi ti ritrovi ad avere il voto più alto del corso. Ti rendi odiosa, sai?»

«Mmm...»

Il suo migliore amico aveva ragione. Era un'insicura nata. Però puntualmente si ritrovava ad essere contraddetta dai voti.

«Fortuna Marzio, trattasi di fortuna.»

«Smettila! Potessi avere io un terzo della tua fortuna, allora!»

Dopo quel bacio di tanti anni prima, e il ceffone di Eva che vi era seguito, erano diventati amici, colleghi, coinquilini, il sostegno l'uno dell'altra. Inseparabili. E nient'altro.

Marzio provava qualcosa per lei, ma aveva capito che la ragazza non poteva che dargli la sua profonda amicizia, solo quella. E l'aveva capito definitivamente quando l'aveva beccata a letto con Alena.

«Io non amo le etichette Marzio. Io seguo il mio cuore, il mio istinto. O per lo meno, è quello che starei cercando di fare. Che dovrei fare.»

Era successo all'università, dopo che aveva conosciuto una ragazza che frequentava la facoltà di arte del suo ateneo. Una tipa fuori di testa, Alena.

La stessa che Eva si era ritrovata a spiare, poco casualmente, nello spogliatoio della palestra del loro residence, mentre era con una ragazza.

«Mi ero accorta ci stessi spiando, sai?» L'aveva sorpresa di spalle mentre Eva cercava di uscire dallo spogliatoio senza essere vista.

«Io non so di cosa parli...»

«Andiamo Eva, smettila di dire stronzate, per lo meno a me. Ti ho vista entrare nello spogliatoio mentre ero con Cassandra.»

«Ti sbagli.»

«Non credo.»

«Sì, ok, potrebbe essere.»

«Non c'è nulla di cui vergognarsi. Non fa niente, non mi dà fastidio che tu l'abbia fatto.»

«Ah, no?»

«No, è stato eccitante. E poi volevo farti capire quello che ti stai perdendo.»

Le aveva detto queste cose mentre piano la spingeva con le spalle al muro, inchiodandola in un angolo. Si era talmente avvicinata a lei da portare le loro labbra a sfiorarsi.

«Non ti bacerò Eva. Sarai tu a farlo, quando sarai pronta. Sai dove trovarmi» le disse Alena prima di lasciarla in quello spogliatoio, da sola.


«Eva Landini?»

«Sì.»

«Chiamiamo dall'ospedale, dovrebbe raggiungerci appena possibile. È per sua madre...»

Così era finita per Angela, la madre di Eva.

Non riusciva a pensare ad altro Eva, se non al vuoto che sentiva, mentre Marzio la trascinava via dalla tomba di sua madre. Sentiva che la pace aveva abbandonato la sua strada, il buio l'avrebbe trascinata con sé.

Era ritornata a casa di sua madre quel pomeriggio, dopo i funerali. Ovunque in quel posto c'era la sua essenza, la sua assenza. I panni sporchi, una tazzina di caffè nel lavandino, una forcina per capelli a terra in bagno. Tra i suoi denti qualche mosso capello ambrato. La prese.

Non dormiva, non riusciva più a farlo, e non mangiava. Aveva smesso anche di piangere. Non serviva Marzio. Non serviva il bere. Non serviva il Lexotan.


«Basta! Devi reagire! Cosa pensi di ottenere facendo così, cosa pensi di risolvere? Cosa penserebbe tua madre vedendoti in questo stato?»

«Non nominarla e lasciami perdere, ok?»

«Eva, così ti ucciderai.»

«Hai mai pensato che forse è proprio quello che voglio fare?»

«Ma ti ascolti? Pensi che Angela sarebbe fiera di aver cresciuto una figlia che alla prima difficoltà pensa di farla finita? Tua madre ti ha cresciuta da sola si è fatta il culo nella vita per darti un futuro decente e tu la ripaghi così? Sei un'ingrata del cazzo.»

«Smettila! Basta, hai capito, basta! Non mi interessa nulla! Nulla!»

«Eva, tua madre è morta. È morta, cazzo, e niente la riporterà in vita, ma tu, tu devi vivere. Lo devi fare anche per lei e...»

Con un urlo gli lanciò addosso la prima cosa che si trovò a tiro.

Marzio riuscì a schivare l'oggetto che finì fuori dalla finestra, per strada. Si girò per urlarle contro e la vide rannicchiata per terra. Piangeva. Finalmente.

«Aiutami, ti prego Marzio, aiutami» tremava.

Si inginocchiò accanto a lei e la prese tra le braccia.

«Andrà tutto bene, passerà, Eva. Passerà, ci sono io con te.»


Tre piani più sotto, per strada, il destino stava tessendo la sua tela.


to be continued...

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