Burn Again

Fiati spezzati. Trattenuti. Risucchiati.

Foga. Piacere. Dolore.

Le unghie graffiano, i denti mordono, le parole si sciolgono in gemiti soffocati.

Non posso che perdermi tra le sue mani. Il mio desiderio è oro fuso nella sua bocca. Evito il suo sguardo, violento la mia coscienza, soddisfo la mia fame.

In un ammasso di gambe e nuvole di seta riemergiamo dalla nostra lotta.

Stanchezza.

Soddisfazione.

L'estasi lascia il posto alla consapevolezza, all'odore di sesso attaccato addosso. Quello sbagliato.

Ci guardiamo, nelle nostre orbite le stesse domande.

«Tra noi finirà prima o poi, vero?»

Mi stringo a lui, affondando il naso nella sua pelle.

«Ti mancherò?»

«Come l'aria.»

Ride, mi piace quando succede. Ma è una risata amara.

«Troverai qualcun altro con cui scopare.»

«Non dire così. Sai che non mi piace.»

«È la verità.»

«Stefano, ma che ti prende?»

Fa scorrere tra le dita una mia ciocca di capelli e inizia a giocarci. Mi stacco da lui e mi siedo poggiandomi alla spalliera del letto.

Sospira.

«Se lasciassimo...»

«Dici sul serio?»

«Potrebbe funzionare, Elena.»

«Non essere ridicolo» cerco di uscire dal letto, ma mi trattiene per un polso.

«Come fai a sapere che sbaglio?»

«Davvero credi a una cosa simile? Andiamo Stefano, noi sappiamo di cosa siamo capaci.»

Attimi di silenzio rimbombano tra le mura della stanza, la stessa che è stata complice discreta negli ultimi mesi.

Dal primo momento che ho visto Stefano ho desiderato di perdermi tra quelle braccia. Intelligente, attraente, simpatico. E anche sposato. Con Alessia, una collega. Una mezza amica, che ignora che mi scopo suo marito.

Ci siamo conosciuti a una delle noiose cene che organizza l'azienda per cui io e sua moglie lavoriamo. Ho capito nell'istante stesso in cui gli ha stretto la mano, che a mio marito Federico, Stefano non piaceva.

Ci siamo scambiati diverse occhiate per tutta la serata. Fino a che, stanca di quei giochetti, non mi sono avvicinata al bar, seguendolo.

«Del Barolo, per favore.»

«Lo stesso per me.»

«Bella serata» disse porgendomi il mio bicchiere, che feci scontrare con il suo in un brindisi muto.

«Non saremmo qui al bar a rimediare con del vino se lo fosse.»

«Mi hanno parlato di lei.»

«Non creda a niente di quello che le hanno detto. È tutto vero.»

Rise.

«È qui per sfuggire alla noia, quindi?»

«Sì, diciamo. Non solo. Durante queste cene vengo al bar per due motivi. Uno è il buon vino e l'altro è perché di solito ci trovo gente interessante.»

Quasi finì il suo calice in un sorso. Poi iniziò a rigirarlo tra le dita, lasciandoci in silenzio per lunghi momenti.

«Ma la fortuna non sempre ci sceglie» aggiunsi sussurrando, allontanandomi dal bancone del bar.

«La pazienza non deve essere il tuo forte, Elena.»

Mi ero fermata senza voltarmi. Un accenno di vittoria sulle mie labbra, che lui non avrebbe mai visto.

«Non ti dispiace che ti dia del tu, vero?»

Girandomi intorno me l'ero ritrovato davanti, poi mi aveva tolto il bicchiere dalle mani, bevendone il suo contenuto.

«Altri due calici, per favore» chiese al cameriere.

Gli sorrisi.

Lì è iniziato tutto.

Ed è nella stanza di questo albergo che continua da sei mesi, ogni martedì e giovedì sera dopo il lavoro. E pure qualche sabato pomeriggio.

Sappiamo bene entrambi che non potremmo mai stare insieme. Che sarebbe una follia. Noi siamo il nostro diversivo. Siamo ciò che mantiene in vita il nostro matrimonio. Siamo ciò che alimenta le nostre piatte vite.

Qualunque terapista di coppia dovrebbe prescriverlo, farsi l'amante.

Dopo passa tutto. Crisi di matrimonio compresa.

Per questo non può sfuggirmi.

«Allora dobbiamo finirla!»

Si alza dal letto con uno scatto, se ne va in bagno e mi scaglia la porta in faccia. Passa qualche minuto e sento lo scrosciare dell'acqua nella doccia. Mi alzo, lo raggiungo e lo trovo intento a passarsi furiosamente la spugna sul corpo. Il vetro è appannato.

«Stefano, lo sai...»

«Va' al diavolo, Elena!»

Apre di colpo la doccia, mi scansa e inizia a camminare verso la camera. Io lo seguo con lo sguardo, prendo un accappatoio e lo raggiungo. È seduto ai piedi del letto, il capo chino. Mi avvicino cauta, lui resta immobile e ne approfitto per appoggiargli l'accappatoio sulle spalle. Non mi guarda, ma non si ritrae, allora mi siedo a cavalcioni sulle sue gambe e gli prendo il viso tra le mani mentre cerco di incrociare i suoi occhi.

«Lo vuoi davvero, vuoi davvero che finisca tra noi?»

«Non è proprio contemplata l'altra ipotesi, vero?»

«No, lo sai anche tu.»

Sospira rassegnato e abbassa il volto. Le labbra e il suo respiro mi sfiorano.

Siamo uguali, io e Stefano. Ci siamo trovati per riuscire a mantenerci a galla, per non affogare nella routine.

Siamo dei codardi. Io più di lui. Perché in questa gabbia dorata l'ho rinchiuso io.

E ora lui crede nell'illusione che abbiamo costruito e crede di volere tutto il resto, senza considerare che fuori non reggerebbe un solo istante.

Vedo che inizia a intuirlo anche lui da come il suo modo di guardarmi cambia. Sorride appena. La consapevolezza gli ha attraversato testa e cuore, affacciandosi nei suoi occhi che ora parlano ai miei.

In un attimo si fa scivolare l'accappatoio dalle spalle, mi sposta sul letto e si dirige verso il bagno. Sulla soglia della porta si gira e mi indica di raggiungerlo. Quasi tremo quando gli sono di fronte.

Si scotta la mia pelle quando si scontra con la sua. È caldo, di quel calore che ti riempie. Arriva dove non vorresti, dove non dovrebbe. Dove non credi sia possibile.

Mi prende la mano e stavolta mi trascina con sé nella doccia. Apre l'acqua e gocce gelide iniziano il loro vorticoso viaggio su di noi, mentre accompagnano le sue mani su di me.

Inizia a baciarmi e in un attimo sono di nuovo fiati spezzati, trattenuti, risucchiati.

Foga. Piacere. Dolore.

Piacere.

Dolore. 

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