Kaos|soaK
Premessa:
Questo l'ho sognato stanotte, direi che è la fusione di due momenti di sonno diversi. Credo sia stata complice le serie tv "The New Look", che consiglio.
Sogno tra la notte del 24 e 25 aprile 2024
Un tonfo sordo mi ridesta. Allungo il braccio e tu non sei lì. Come ormai accade da tempo, ti addormenti sul divano e nessuno ti accompagna a letto. Ci abbiamo fatto l'abitudine.
Ma questo tonfo è insolito, non capisco cosa possa essere successo.
Esco dal letto intontita, abbiamo bevuto? Non mi pare. La casa è la nostra di sempre, ma più grande. Ed eccoti lì.
Avvolto nella copertina di micro-pile marrone sei per terra, caduto dal divano nel sonno. Come tutte le cadute accidentali, mi fa ridere. Mossa da compassione, cerco di aiutarti a svegliarti e a rimetterti sul divano, ma reagisci male.
Penso che potevo starmene a letto invece di provare a sollevarti mentre biascichi parole indistinguibili. Mentre osservo il tuo molle tentativo di tornare sul divano, avvolto in una coperta troppo piccola che ti lega come un salame, mi accorgo che il pavimento è cosparso di pezzi Lego di ogni colore e forma. Un po' sorrido, pensando a quanto tu ti possa essere divertito, un po' mi incazzo perché era tutto in ordine e ora regna il caos.
Mi devo sbrigare, come ogni mattina ho sempre molte cose da fare.
Torno in camera da letto e lì già mi aspettano diverse persone.
C'è il mio capo, nostra nipote e tutto l'armadio spalancato. Dobbiamo fare il cambio armadi e decidere i look per la prossima stagione, i miei look, prima che arrivino gli altri.
È una sfilata di spettri di abiti del passato che mi passa davanti agli occhi. Il cappotto con i revers grandi, quello sfiancato viola e quell'esperimento della scuola di sartoria. Mi passano lenti sotto gli occhi mentre tento di ricordare che fine gli abbia fatto fare e perché non lo indosso più. Penso anche che quest'anno ho comprato un cappotto nuovo e che forse non ne avevo bisogno.
Il mio capo, una donna con un timbro di voce distinguibile, brandisce un appendino a pinze che sostiene un paio di pantaloni slim di colore moro che adoravo. Li portavo con i tacchi e mi piacevo tantissimo. Vorrei tornare a metterli ma lei detesta il marrone e li lancia lontano, sul mucchio insieme ai cappotti.
Mia nipote nel frattempo ha disposto tutte le mie borse su piccole seggiole colorate. Alcune di loro le ricordo bene, altre non le ho mai viste e le vorrei tanto, altre ancora sono borse dallo stile "Birkin" in vernice nera con il logo di una scuola di danza. Sono orrende e puzzano di plastica: come rendere brutta una "Birkin".
Quella che attira la mia attenzione è una borsa in pelle sfoderata, gigante; ha la forma di un parallelepipedo senza la faccia superiore, solo due manici; adoro questa borsa e cammino in giro per casa provandola.
Giro l'angolo pavoneggiandomi. Entro in un altro salotto: la carta da parati chiara con miliardi di fiorellini disegnati sopra mi stordisce, mi chiedo perché mai io abbia scelto quella decorazione. Attorno al tavolo Art Nouveau, con le gambe dorate, c'è un team di stylist francesi.
Uno di loro mi sembra Stanley Tucci, altri sono assistenti minori. Stan mi fa cenno di avvicinarmi e così mi passa un foglietto dicendomi:
«C'est pour rigoler!» nel foglietto, che sembra una tabella excel, ci sono frasi sciocche che non riesco a decifrare ma rido ugualmente, vorrei chiedergli se gli piace la mia borsa, ma il team è tutto preso dal fare osservazioni sui look visti la sera prima da qualche parte non ben specificata:
«Tu l'a vue! C'était meravilleux!» Tucci è esaltato, il suo compare seduto accanto lo incoraggia. Lo trovo un po' comico l'amico di Stan: ha un pancione grande e tondo che gli rende faticoso respirare, la scelta delle bretelle sopra una camicia chiara a righe azzurre non aiuta a camuffare la sua linea. Tuttavia è a suo agio, ha una barba curata, le gote rosee e un ciuffo bianco che rimane composto nonostante le risate.
Mi siedo così accanto a Stanely, loro sorseggiano té, ma dall'euforia che ne scaturisce a ogni assaggio, capisco che non è solo té. Anche la pesantezza della donna seduta di fronte a me, mi fa capire quando poco té ci sia nella sua tazza e quanto gin lo possa aver sostituito.
Ma lei imperterrita continua a versare liquido in quelle tazze di fine porcellana decorata con fiori ed elementi botanici. Il suo cappellino a cloche nasconde un viso ordinario, una persona comune, come me. La conversazione è tutta un "Oui", "Oullalà", "C'est fantastique", "incroyable" e io mi aggiungo alla loro allegria. Vedo che la donna con il cappellino mi fa un cenno.
Ella, tenendo le tre dita centrali della mano ripiegate, con il pollice indica la tazza. Il classico gesto di chi chiede ancora da bere.
«Est ce que vous voulez? Du Limoncello? Je crois c'est la seule boisson il y a ici» le propongo guardandomi attorno come se le bottiglie dovessero apparire nel cielo.
«C'est bien, avec du café?» Mi chiede curiosa, ma il limoncello con caffè assolutamente no! Scuoto la testa, faccio un cenno alzando il braccio perché un cameriere le portasse ciò che ha chiesto e sorride quando sul tavolo si materializzano i suoi desideri liquidi.
Sono tutti concentrati sulle nuove proposte, così Stanley mi allunga del tessuto che gli ha porto l'assistente con il ciuffo.
«C'est magnifique! Regarde-le tu même! C'est meravilleux!» Stan è estasiato mentre srotola da una barchetta porta tessuto un popeline di cotone sottilissimo. Il primo strato largo venti centimetri circa è bianco e azzurro; un secondo strato, ripiegato su sé stesso e largo poco meno di dieci centimetri, è un oxford azzurro; un ultimo strato è un cotone bianco decorato con rose botaniche dalla fattura finissima e colori sopraffini.
L'entusiasmo di Tucci mi coinvolge. Prendo il tessuto con una mano e lo annuso: ha il profumo dei panni puliti, della primavera, del sole e del mare. Siamo tutti estasiati.
Brindiamo con le tazze per aver trovato una stoffa così bella.
Nota autrice:
In questo sogno c'è tanto del mio mondo, se non che non vesto mai colori chiari, né tantomeno a rose. Tuttavia ci sono degli abbinamenti che trovo piacevoli.
Le "barchette" non sono quelle del sushi, ma semplici lastre di legno o polistirolo, larghe circa venticinque centimetri e lunghe settantacinque. I tessuti di sartoria vengono piegati sulla lunghezza e arrotolati su questi supporti.
E sì: qualche volta sogno in un'altra lingua, a voi capita?
Perdonate il mio pessimo francese, lo pratico veramente poco.
A presto
OD
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