One

La piccola cittadina era tranquilla quella sera. Troppo tranquilla per i suoi gusti. Continuava a camminare, il suono leggero dei suoi tacchetti sul cemento che davano, in contrasto col silenzio assordante, una sensazione di inquietudine. Il negozio di musica non era troppo lontano, riusciva già ad intravedere l'enorme insegna di neon rosa che lampeggiava indisturbata, in contrasto con la luce fioca e bassa dei lampioni. Un giorno avrebbero dovuto spegnere quella cosa. Insomma, le palazzine a meno di cento metri di distanza erano completamente fatte di vetro e non si riusciva a dormire in quei posti. Un neon rosa di sicuro non concilia il sonno.
Le sue mani tremavano, le sentiva da sotto i guanti di pelle. Ma no, non aveva freddo. Sapeva che quel tremolio non era dovuto alla neve che le ricadeva sulle spalle del cappotto. Aveva paura. Tanta paura. Ma non doveva mostrarlo. Neanche a se stessa. Così continuava a camminare con un'andatura lenta ma decisa, le braccia che penzolavano stanche e la testa alta.
Il negozio di musica era di fronte a lei. Avrebbe riconosciuto quel posto ad occhi chiusi: tre gradini di marmo, due piccoli baobab vicino i lati della porta di mogano e la classica saracinesca abbassata ad indicare la chiusura del negozio. Peccato che non avrebbe aperto mai più. Era fallito, come dicevano i suoi genitori. Troppi debiti, troppi clienti sbagliati. Troppi ladri.
Ma lei non era lì per rapinare un negozio fallito da mesi. Era lì per ben altri motivi. Accarezzò per un'ultima volta la triste saracinesca di freddo metallo, sperando di poter rivedere quel negozio aperto un giorno. Forse non lì, forse non adesso, ma avrebbe voluto vederlo. Solo per dar di nuovo fuoco al commesso. Solo un'altra volta, non di più.
Svoltò l'angolo senza guardarsi indietro. Sapeva che sarebbe scoppiata a piangere se l'avesse fatto. E lei non poteva piangere. L'eyeliner avrebbe iniziato a colare e Markus odiava quando si dovevano incontrare e lei era così mal ridotta. Lui non era il tipo da offrirle una fazzoletto e farla calmare, rassicurandola. Lui non era il tipo da una chiacchiera davanti ad un bicchiere di vino ed ad un bignè. Lui era il tipo da schiaffeggiarti se col rossetto ti fossi riuscita a sporcare anche i denti. Lui era il tipo da infilarti a forza la testa nell'acqua quando cercavi di negare. Quindi era meglio non piangere e continuare a camminare.
Markus era seduto sul muretto del parco, come sempre. Ormai lei era abituata a trovarlo lì. Sempre con la stessa sigaretta tra le labbra, la stessa espressione dura e fredda e  lo stesso giubbotto di pelle sulle spalle, anche quando faceva così caldo da non riuscire a respirare. Quando la vide, però, si alzò senza dire una parola. Tutte le altre volte, quando arrivava in ritardo, lui le tirava uno schiaffo tanto forte da farle uscire un livido il giorno dopo. Perchè lui non poteva sprecare il suo tempo prezioso per lei, lui le aveva prefissato un orario e doveva assolutamente rispettarlo, non era di certo al suo servizio. E lei avrebbe dovuto far di tutto per far sparire il livido per l'incontro successivo, perchè non poteva mostrarsi con quel viso di merda ancora più rovinato.
Markus era già lontano, quando lei si accorse che avesse iniziato a camminare. Camminava molto velocemente e questo lei l'odiava con tutto il suo cuore. Quando, dopo troppi spintoni, troppi schiaffi, troppi calci e troppi pugni lei provava a correre via lui riusciva sempre a prenderla prima che si allontanasse troppo. Come se ci fosse una barriera che faceva rallentare lei e faceva accelerare lui. Che facesse avvicinare il decesso della ragazza, prolungando il divertimento di lui. Come quando il gatto gioca col topo prima di ucciderlo. Una lenta danza, in cui la fine di ognuno è già prefissata ed è tutto per far divertire l'assassino.
Markus si era finalmente fermato quando lei lo raggiunse. Davanti a loro vi era  una ghigliottina. La danza era finita, era il momento di far fermare la musica e di far fermare per sempre la vittima dal suo ballo. Il carnefice, invece, avrebbe continuato a ballare da solo, per poi farlo sempre con altri che, inevitabilmente, avrebbero fatto quella fine. Adesso doveva solo aspettare la lama. L'aveva fatta accomodare in fretta. Sapeva di non essere la prima e, molto probabilmente, neanche l'ultima, ma lo accettava. Sapeva da quando i musicisti avevano intonato le prime note la sua fine. Aveva cercato di restare attaccata con le unghie e con i denti ad una realtà che non le apparteneva cercando di scappare, ed adesso la fine faceva più male. Se fosse riuscita a spegnere quel maledetto cervello, adesso forse l'esecuzione non avrebbe fatto neanche male, come se si stesse togliendo una pellicina. All'inizio era stato fastidioso, ma adesso era finito.
Adesso era finito tutto. Chiuse gli occhi e la lama cadde, elegante e precisa. La luce di un lampione rifletteva su di essa, facendola sembrare ancora più leggera. Crack. Addio collo, le sarebbe mancato. Come le sarebbe mancato il negozio di  musica. Però era felice, per quanto si possano provare emozioni quando si muore. Era felice perchè era riuscita a spegnere il cervello. Adesso la sua testa sarebbe stata un altro dei trofei di Markus. Un altro perfetto trofeo di bellezza unica.

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