Deux

Odette guardava tutti con uno sguardo pieno di odio. Non voleva essere lì, ma ci sarebbero state conseguenze se avesse provato a scappare. Si sentiva fuori posto, ma era normale. Era la cameriera più povera al gran galà del principe. Odiava essere in presenza dell'aristocrazia. La facevano sentire a disagio tutti quei merletti, quelle stoffe pregiate e quei corpetti costosi. Per non parlare di come non la rispettassero, tirandole contro il cibo perfetto che definivano scotto, o quando versavano il vino a terra perchè sapeva di tappo. Avrebbe voluto spiegar loro che avrebbero dovuto prendersela con lo chef, perchè lei non c'entrava nulla e stava solo svolgendo il suo lavoro. Ma ai ricchi non si risponde. Gliel'aveva detto una sua collega e da quel giorno era diventato il suo motto. Potevano malmenarti, potevano abusare di te, ma non potevi lamentarti. Oppure la tua carriera sarebbe finita e ti saresti ritrovata buttata fuori dalla città, come facevano con tutti i barboni. All'inizio Odette aveva adorato il fatto che la città fosse libera dai mendicanti, ma la gioia era durata ben poco. Perchè, se per un piccolissimo errore tu avessi perso il lavoro, nessun altro negozio avrebbe voluto offrirti un posto. Neanche se fossi stata licenziata perchè l'azienda era fallita. Era una tradizione. E venivano mandati al rogo i negozianti che avessero trasgredito le regole. Insomma, quella città era il più grande incubo della ragazza. Ormai era aggrappata con le unghie e con i denti al suo posto di lavoro. Aveva fatto di tutto per poter essere assunta e avrebbe fatto di tutto per non essere licenziata.  
Odette uscì dal locale. Tutti quei profumi ricercati, quei dopobarba costosi, quegli abiti succinti e tutti quei gioielli le avevano dato la nausea. Aveva chiesto ad una sua collega di servire anche i suoi tavoli per qualche minuto ed era uscita in fretta e furia. Nessuno avrebbe scoperto quella piccola pausa: tutti i suoi colleghi erano impegnatissimi ed il principe stava discutendo di questioni importanti con persone del suo calibro. Era considerata eresia che un nobile parlasse con una come lei, se non per lamentarsi. Perché i ricchi devono stare con i ricchi, il popolo col popolo e la plebe fuori dalla città.
Frugò nella tasca della divisa e lo trovò. Il pacchetto enorme di sigarette che, come diceva sempre il suo ragazzo, le avrebbe fatto ottenere un bel cancro ai polmoni. Come se la sua vita in quel momento fosse perfetta.  E sapeva che quando sarebbe successo lui avrebbe lasciato che la sbattessero fuori dalla città. Perchè quando sei malata non lavori e quando non lavori diventi una barbona. Ma almeno lei avrebbe avuto modo di sfogarsi. Gli psicologi costavano caro e lei non aveva soldi da sprecare. Solo le sigarette valevano quei pochi spiccioli che aveva. Almeno esse non parlavano, credendosi chissà chi.
Così si mise la sigaretta tra le labbra e l'accese col suo fidato accendino, che ripose nella tasca. Sentì dei passi dietro di lei. Sapeva che non sarebbe  potuto essere un suo collega. Troppo lavoro per potersi permettere una pausa. Soprattutto con lei che già faceva andare a rotoli tutto per una stupida sigaretta.
Non sarebbe  potuto essere neanche uno di quei ricconi. Se fosse stato uno di loro non si sarebbe avvicinato ad una lurida cameriera stracciona.
Poteva essere solo una persona: il principe. Non aveva motivazioni per uscire, ma lui non doveva spiegare nulla a nessuno.

Il ragazzo camminava lentamente. L'andatura lenta ma decisa. La pistola stretta nella mano destra. La boccetta stretta nella mano sinistra. Si mise di fronte ad Odette.  I suoi occhi grigi esprimevano paura. Una paura incontrollata. Certo, una pistola puntata alla testa non ti faceva sentire al sicuro, era ovvio. Il fumo continuava ad uscire dalla sigaretta nelle sue labbra. Gliel'aveva ripetuto troppe volte. Niente sigarette al lavoro. Ma lei no, questa è l'ultima, lo giuro. E poi l'aveva scoperta altre nove volte. Non gli era mai piaciuto ripetere degli ordini. Ma con Odette l'aveva fatto. Le faceva pena. Una povera cameriera orfana, sul filo del rasoio. Così si era sforzato di ripeterlo. Ma la decima volta non l'avrebbe ripetuto. La decima volta avrebbe punito. 
Aprì la boccetta solo con la mano sinistra e gliela versò sull'uniforme. Lei urlava. Urlava insulti, lamentele, si permetteva anche di prenderlo in giro. Non aveva capito che doveva stare zitta. O, perlomeno, chiedere il perdono. No, era troppo vigliacca per rimanere viva.  
Le chiese l'accendino. Lei rifiutò, ma quando il principe le ricordò della pistola che aveva puntata alla testa lei glielo diede, riluttante.
Avrebbe dovuto correre, scappare, nascondersi. Avrebbe dovuto togliersi quel vestito. Ma non fece nulla. Rimase ferma, aspettando che le ridasse l'accendino.
Era troppo distratta per capire. Per vedere il simbolo infiammabile sulla boccetta. Per capire che l'odore di quel liquido fosse quello della benzina. Per ricordarsi che l'accendino gli era inutile, dato che lui non fumava. Ma ormai era troppo tardi.
Il principe accese l'accendino e lo buttò sulla ragazza. Non una lamentela, nè una critica,  che prese fuoco.
Solo le urla di dolore davano voce a quella scena macabra.
La ragazza si buttò tra l'erba, sperava di salvarsi.
Ma non sapeva che lì non piovesse da giorni e che l'erba era diventata secca ed infiammabile.
Il giardino del principe divenne l'Inferno. Fiamme ovunque. Urla inumane. Ed un cadavere.
Il ragazzo sorrise. Odette aveva fatto la stessa fine delle sue sigarette. Bruciata viva.

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