Prova 3 || Tema: Libero (sociopatia/omicidio).

"Il disturbo antisociale di personalità è un disturbo di personalità caratterizzato dal disprezzo patologico del soggetto per le regole e le leggi della società, da comportamento impulsivo, dall'incapacità di assumersi responsabilità e dall'indifferenza nei confronti dei sentimenti altrui. Il dato psicodinamico fondamentale è la mancanza del senso di colpa o del rimorso, con la mancanza di rispetto delle regole sociali e dei sentimenti altrui [...]
Spesso chi soffre di questo disturbo è detto sociopatico."

Jefferson scagliò lontano il cellulare, con le parole di Wikipedia che ancora gli rimbombavano in testa.
Sociopatico, sociopatico, sociopatico.
Non aveva mai avuto il coraggio di definirsi tale.
Tutto quello che faceva, lo faceva per disperazione, una disperazione che mascherava da coraggio.
Gli "amici", o meglio quei quattro deficienti che gli ruotavano intorno, lo definivano affascinante, intraprendente e "un botto forte", in quanto per lui le regole non esistevano.
O, meglio ancora, esistevano per essere infrante.
Jefferson aveva anche un obiettivo, anche se non riusciva ancora a definirlo. Semplicemente lo aveva e intendeva raggiungerlo. Non gli importava di quante vite avrebbe distrutto per riuscirci.
A lui degli altri non fregava proprio niente.
Esistevano solo lui e il suo mare di guai, nel quale amava nuotare e, delle volte, anche lasciarsi annegare, tornando a galla solo all'ultimo istante, quando l'ossigeno era ormai diventato solo un vago ricordo e il suo corpo iniziava a non rispondere più.
Guardò il telefono, finito in un buio angolo della stanza.
Si avvicinò e lo prese tra le mani.
Lo schermo era rotto e, passandoci l'indice sopra, si procuró un taglietto.
Si portó il dito alla bocca e succhiò quella bolla di sangue che andava creandosi.
G

ettó un'altro sguardo al telefono. Ormai era inutilizzabile, ma in quei mille vetri si riusciva ancora a leggere una parola.
Sociopatico.

The world is wrong.

Era uscito di casa con l'intenzione di andare a comprare un nuovo telefono, ma presto si rese conto che ciò non rientrava nelle sue capacità.
"Chi cazzo spenderebbe 800€ per uno schifo del genere?", pensò passando davanti ad un enorme telefono curvo dal colore rosa pastello.
Realizzò che anche il più infimo apparecchio andava al di sopra del suo portafoglio e sospiró.
"Ok, lo farò a modo mio", si disse.
Sorrise alla ragazzetta dietro al bancone e finse interesse per alcuni telefoni.
Una bruna con occhi penetranti gli si affiancó e lui le fece l'occhiolino.
La commessa, adocchiandolo, gli si avvicinó velocemente e con tono mellifluo gli disse:
- Desidera osservarne uno da più vicino?
Si sporse verso di lui, quasi a mettere in mostra il décolleté.
Lui gli gettò una rapida occhiata, quindi puntó i suoi occhi di ghiaccio in quelli della ragazza e sussurrò:
- Mi farebbe molto piacere.
Lei ridacchió e inizió ad elencare le caratteristiche di questo e quel telefono.
Ne prese tre, "i migliori che abbiamo qua in negozio", e li pose sul bancone.
Lui annuiva e fingeva di pendere dalle sue labbra, mentre nella sua mente ideava il modo di uscire da quel posto nel minor tempo possibile.
All'improvviso le fece cenno di avvicinarsi e le si affiancó all'orecchio, sussurrandole:
- Posso vedere questo da vicino?
Lei arrossì e mormoró ridacchiando:
- Ok, però in fretta, che se mi vede il capo son fritta.
Velocemente scartó quello che lui le aveva indicato e sorrise soddisfatta.
- Mmh, non saprei. Ora che lo vedo da vicino... - gli angoli della bocca di lei si abbassarono di colpo - Mi piaceva anche quello lì dietro, come si chiama?
- Uh - lei riprese a sorridere - Huawei P8, siamo di gusti particolari.
Lui rispose al sorriso, mettendoci tutta la sensualitá di cui era dotato.
- Oh, decisamente. Posso vedere anche quello o...? - domandó lentamente, scandendo ogni sillaba.
Per incentivare il tutto, pose il portafoglio sul bancone, le prese una mano e la strinse tra le sue.

- C-certo - rispose imbambolata la ragazza - Vado a prenderlo.

Non appena si girò, Jefferson allungó la mano, prese il telefono posato sul bancone, lo fece scivolare in tasca e inizió a camminare verso l'uscita.
"Tre secondi prima che se ne accorgano... Due... Uno..."
- Ehy tu! Fermo! - urlò una guardia.
Prese a correre, uscì dal negozio e si riversó in strada senza mai fermarsi.
Sentiva dietro di sè i passi di coloro che lo seguivano. Di coloro che seguivano la legge. E lui la legge la fotteva ogni volta.
Si infiló in uno svincolo laterale molto buio -che utilizzava spesso per cavarsela dai guai-, salto due o tre ostacoli e si ritrovó davanti alla solita rete di recinzione zincata.
Pose i piedi nel solito modo e si ritrovó velocemente dall'altro lato. Dietro di sé i poliziotti giunti sul posto si interrogavano sul da farsi e alcuni tentavano la scalata.
"Illusi", pensò Jefferson.
Non smise di correre finché non si ritrovó nel buco che gli faceva da casa.
- Che vitaccia - sospiró stiracchiandosi.
Anche per quel giorno era fatta.
- Giá, che vitaccia - replicó una voce nell'ombra.
Jefferson sentí il sangue gelarsi nelle vene, ma il tutto duró solo pochi secondi. Ripreso il controllo domandó con voce piatta:
- Chi c'è?
La misteriosa figura non si fece attendere e venne fuori.
- Tu...?

All monsters are human.

- Come hai fatto a trovarmi? - domandó Jefferson all'inusuale e inaspettata ospite.
- Hai dimenticato questo - sussurró lei, facendo scivolare verso di lui il portafoglio - Sono abile in queste cose.
Puntó i suoi occhi bruni in quelli del ragazzo, con aria di sfida.
Lui alzò un angolo della bocca.
- Sei del mestiere? - la provocó.
- Non tutti possono permettersi telefoni così belli - gli rispose, indicando la sua tasca.
Jefferson sorrise beffamente.
La tipa non era affatto male. All'improvviso desideró possederla e farle del male, come in fondo faceva a tutti.
Il male altrui gli procurava un piacere senza eguali.
Le si avvicinó e la prese per i fianchi.
- Allora c'è qualcosa di umano dietro quegli occhi famelici da mostro - sussurró lei, mentre si lasciava spogliare.
Lui non rispose.

Normal people scared me.

Erano ormai avvinghiati da quasi mezz'ora.
Lui le aveva lasciato credere che fosse un ragazzo normale. Che rubava telefoni e viveva in un buco, ma comunque normale.
Lei ci aveva creduto.
- Cosa sai di me? - le domandó, mentre esplorava senza ritegno il suo corpo.
- So che sei solo. Che non vai allo stesso negozio per più di tre giorni. Che preferisci il vino rosso al bianco. Che non sopporti i bambini. Che su questo letto ogni sera c'è una persona diversa...
- Sai tante cose di me - replicó lui lentamente.
- Te l'ho detto, son brava con queste cose.
"Non sempre è un bene" riflettè lui.
- Sai qualcos'altro? - le chiese.
- Oh sì. Nessuna che entra qua dentro è mai uscita.
Jefferson si arrestó di botto.
Lei sapeva cosa la aspettava, dunque. Ma aveva scelto di entrare comunque.
- Se vuoi andartene...
- Non me lo lascerai fare.
- Da quanto mi spii?
- Da un po'.
Sentì improvvisamente il sangue ribollirgli nelle vene.
- Da quanto? - domandó con tono più alto e minaccioso.
- Giorni, settimane, anni, che importanza ha?
In risposta lui si spinse violentemente in lei.
"Sai troppe cose", pensó fra sé e sé, "Peccato, dovró ucciderti. Come tutte le altre."
- Nessuna importanza - le disse, posando poi le labbra su quelle di lei - Nessuna.

I kill people I like.

Jefferson si alzó in piedi.
Lei si era addormentata. Con tutto che sapeva che non avrebbe rivisto il mattino, si era addormentata.
Forse sperava di cambiarlo.
Forse sperava di poterlo salvare e, di conseguenza, di potersi salvare anche lei.

"Illusa", pensó.
Era una bella ragazza, sveglia, coraggiosa e in gamba. E le piaceva... Ma non era abbastanza.
Non era il suo obiettivo.
Niente poteva superare il suo obiettivo. 
E

lui non voleva ostacoli.
Jefferson rifletté che non sapeva neanche il suo nome. Era semplicemente una "Lei".
Poteva avere qualsiasi nome e al tempo stesso nessuno.
- Ti chiameró Ella - sussurrò.
Sapeva tutti i nomi delle sue vittime. Lei non sarebbe stata da meno.
Ella non sarebbe stata da meno.
Prese da un vecchio scaffale un coltello dal manico elaborato e dalla punta brillante: il suo preferito. Se lo rigirò tra le mani e soffió sulla lama, sorridendo soddisfatto.
- Tranquilla, Ella, sarò veloce e indolore - mormoró.
Ma era una bugia. Non voleva che fosse nè veloce nè indolore.
Doveva fare male, tanto male, come quello che lui provava ogni giorno.
Inizió dall'addome. Posizionó il coltello nel mezzo del seno e premette sull'ambrata pelle della ragazza.
Lei sussultò, spalancando di colpo gli occhi.
Seguí poi un urlo e l'abituale -almeno per Jefferson- tentativo di dimenarsi.
La ragazza dovette presto arrendersi, dato che lui l'aveva ammanettata e legata e ogni movimento portava il coltello a penetrare più in profonditá.
Finito l'addome, passó alle braccia e alle gambe.
Il sangue colava, andando a colorare il pavimento di rosso. Un rosso mortale.
Ella acquistava man mano pallore, che la rendeva sempre più un fantasma, mentre le sue lacrime si andavano a mischiare ai rivoli di sangue.
Jefferson sghignazzava sotto i baffi alla vista del corpo nudo e martoriato della donna.
Le pose un bacio sulle labbra ormai viola, a cui lei tentó di opporsi con scarsi risultati.
Alla fine il coltello arrivó nel punto più debole, quello decisivo: la gola.
Jefferson socchiuse gli occhi, sentendo salire l'eccitazione.
Adorava quel momento.
Adorava uccidere.
- S-Sei un mostro - balbettó lei.
- Oh, no. Sono sociopatico.

I'm a psychopath.

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