Ammirazione

Questa non è per scuola!!!
Questa è la oneshot arrivata seconda al contest della Spillatrice e di justlinaaaa! 🥈
Non sapevo dove pubblicarla ma ora che ho un 'libro' dove raccogliere le one-shot...
Buona lettura ❤️

Martedì.
Anche quella mattina, la pioggia scrosciava e io non potevo andare a correre.
Sì, correvo molto in quel periodo.
Mi piaceva. Mi faceva sentire libera.
La scuola era finita da un pezzo, eppure c'era sempre quel dolceamaro che mi rimaneva in testa, come a dire: abbiamo quasi finito.
Ma avevo 15 anni cavolo.
Non ho mai saputo come ci si comporta a quindici anni.
Fare la normale teenager non faceva per me.
Lola, il mio gatto, mi venne accanto facendo le fusa, e io la accarezzai.
E me ne stavo lì, in pace, a coccolare il mio gatto, finché il mio telefono, sul davanzale, squillò.
«Pronto?»
«Riesci a passare in biblioteca, che mi è arrivato un libro, quando vai in cartoleria?» disse una voce femminile, e fin troppo familiare.
«Ok» risposi. Buttai giù a mia madre e sbuffai.
Non mi piaceva uscire di casa, se non per correre.
E no, non era quella corsetta che si fanno i vecchi (gli adulti) per perdere peso, la mia era una corsa veloce piena di rabbia e rammarico.
Ero molto arrabbiata con il mondo, in quel periodo.
Mi stava proprio sulle scatole.
Ma cosa mi aveva fatto, questa povera Terra, per meritarsi tutto quell'odio?
Non lo sapevo, e non me ne fregava niente.
Volevo solo spaccare tutto. Far sentire la mia voce più alta degli altri.
In classe stavo in silenzio, mi facevo i fatti miei. Rispondevo alle domande, se mi venivano chieste, altrimenti no.
Scacciai malinconicamente Lola, e sbuffando mi misi le scarpe, imbracciai un ombrello e uscii di casa.

Camminando, ascoltavo il rumore della pioggia sul mio ombrello.
Mi venne da sorridere, per una volta.
La pioggia mi è sempre piaciuta.
Camminando sola, mi viene sempre in mente qualcosa, riflessioni o altro.
Quella volta, mentre andavo in biblioteca, mi venne in mente che non ci ero stata molte volte. C'ero andata qualche volta con la scuola, e forse una o due a prendere dei libri per mamma, ma...
La lettura non era il mio forte.
Io disegnavo, disegnavo mondi fatati, nei martedì di pioggia estivi come nelle domeniche fredde e desolate, appena avevo una matita (o una penna, o qualunque altra cosa in grado di tracciare qualche linea) e un pezzetto di carta, mi mettevo a scarabocchiare e abbozzare volti, occhi, animali fantastici, piante carnivore e chi più ne ha più ne metta.
In quello che sembrò un battibaleno, mi ritrovai nella piazzetta in centro.
Lì, in un edificio all'apparenza piuttosto piccolo e angusto, era situata la biblioteca comunale.
Niente di che, pensavo.
Un'artista come me non si sarebbe certo fatta intimorire da delle parole, scritte da altri artisti!
Così, pensando alla cartoleria che mi aspettava, varcai la soglia a gamba tesa.

Dentro, una donna dai capelli brizzolati e dai lineamenti vagamente orientali mi salutò con un sorriso.
La biblioteca era molto più grande di quanto mi aspettassi.
Mi addentrai tra gli scaffali, il libro di mamma l'avrei preso dopo.
Adoravo esplorare posti nuovi, e quella era una bella occasione per farlo. Solo, non ne avevo avuto voglia e occasione prima.

La struttura mi sembrava un labirinto gigantesco, pieno di generi e sottogeneri, carta su carta.
Pensai a cosa sarebbe successo se tutto quello avesse preso fuoco.

Ero così immersa nei miei pensieri, che andai a sbattere contro un ragazzo.

Lo guardai dall'alto in basso, doveva avere circa un anno in meno di me. Capelli neri e spettinati, occhi di un colore indefinito, quasi iridescenti.
Mi guardò di sottecchi, per poi continuare ad avanzare senza neanche uno "scusa".
«Ehm» lo richiamai io.
Non si girò.
Così decisi di seguirlo.

Passò una volta davanti all'entrata della biblioteca, senza fermarsi.
In mano aveva una cartelletta e un paio di astucci, che stringeva a sé mentre camminava veloce.
Stavo per svoltare l'angolo e riaddentrarmi tra gli scaffali quando una mano calda mi si posò sul braccio.
«Ehi ragazza» mi disse la bibliotecaria con tono gentile.
«Non starai cercando di parlare con Nico vero?» continuò con un sorriso comprensivo.
Io la guardai imbarazzata.
«Quel ragazzo è sordo, tesoro. Non ti ascolterà se fai così» finì.
Ah.
Bisbigliai un "grazie" e corsi-pardon, camminai velocemente (non si corre in biblioteca!) al tavolo dove si era seduto Nico.
Nico, Nico... Mi ricordava qualcosa, qualche personaggio.
Mi sedetti al suo tavolo.
Ricevetti da lui soltanto uno sguardo sorpreso.
Poi presi il telefono.
Aprii le note, e in un battibaleno gli scrissi uno "scusa".
Quando ebbe sotto gli occhi il mio telefono, sorrise.
"Fa niente" scrisse.
Poi prese il blocco di fogli che teneva nella cartelletta, e iniziò a disegnare.
Non me lo fece vedere fino alla fine, e aspettai.
E aspettai.
E aspettai ancora.
Finché tolse la mano dal foglio.
Era identico.
Identico.
Pari pari.
Esattamente
Il mio volto.
Sorrise. Ricambiai. Non me lo aspettavo.
Allora iniziammo a disegnare, uno dopo l'altro, riempiendo le pagine.
Iniziammo a scrivere.
"Mi chiamo Luna" scrissi.
"Io sono Nico"
Iniziammo a parlare di manga e di fumetti, da Zerocalcare a Toriyama, insomma.
E più "parlavamo", più mi stava simpatico.
Iniziammo a scrivere delle vignette.
Pescammo una parola a caso dalla nostra testa.
Uscì 'ammirazione'.
Non sapevo molto di quella parola.
Provare ammirazione.
Un mito da seguire.
Un obbiettivo da intraprendere.
Non avevo mai avuto obbiettivi, prima, e me ne meravigliai.
La mia adolescenza sembrava fin da subito un fallimento totale.
Così feci cenno a Nico di aspettare e volai a prendere un dizionario.
Sfogliando le pagine, arrivammo ad Am.
Amm.
Ammirazione.
Scoprimmo che proveniva dal latino.
Strana lingua, la studiavo al liceo.
Admirationis.
Admirari.
Meraviglia. Ammirazione.
Le parole danzavano leggiadre nella mia mente, rimbombando e saltellando in giro.
Meraviglia.
Era da molto, molto tempo che non provavo meraviglia.
Una sensazione strana per la mia esistenza spesso asettica e vuota.
Non mi sentivo realizzata, non mi sentivo pronta. Solo, non avevo voglia di cambiare.
Quindi tenevo le cose così com'erano e rimanevo praticamente ferma, al punto di partenza.
Eppure quel ragazzino era diverso... diverso come me, forse.
Lo ammiravo.
Lui a differenza mia sembrava abbastanza realizzato.
Sospirai, fissando gli scaffali.
Forse sarei davvero dovuta venire in biblioteca più spesso.
Se...
Ma Nico mi riportò alla realtà.
Mi aveva punzecchiato la mano con la punta appena fatta della matita, così guardai dove indicava.
Aveva iniziato a fare uno schizzo, racchiuso in una vignetta.
Mi passò la matita.
Continuo? Mimai con le labbra.
Lui per tutta risposta mi fece un sorriso d'incoraggiamento.
Presi un bel respiro e iniziai a disegnare.

«Oddio il libro per la mamma!»
Mi ricordai dopo un po'.
Quanto tempo era passato?
Per quanto tempo avevo disegnato vignette passando continuamente la matita al mio nuovo amico?
Corsi all'entrata, e tutta affannata ritirai il libro.
Poi corsi da Nico, che mi guardava con sguardo divertito.
Ridacchiai ironica e scribacchiai velocemente il mio numero di telefono su un bigliettino.
'scrivimi'
Lo salutai con un cenno e corsi fuori.
Di fronte alla biblioteca c'era la cartolibreria, così in un attimo entrai, comprai quello che mi serviva, uscii e corsi a casa.
Mamma non era ancora tornata, nessuno aveva cercato di contattarmi al telefono in quel tempo, niente. Per fortuna.
E chi glielo raccontava poi che avevo disegnato con un ragazzo sordo sconosciuto in biblioteca? Sembrava inverosimile perfino a me che l'avevo vissuta!
Arrivata in camera, mi buttai sul letto.
Poi cambiai idea e mi spostai alla scrivania. Buttai giù tutti i libri di scienze e di latino e presi carta e matita.
Era ora di creare un nuovo mondo.
Quel giorno in cui avevo trovato per la prima volta un amico, ma ancora non ne ero certa.
Quel giorno in cui avevo capito qual era il vero significato di ammirazione.
Quel giorno piovoso in cui avevo scoperto un posto che, negli anni a venire, sarebbe stata quasi la mia seconda casa.
Quel giorno in cui mi rimboccai le maniche e iniziai a fare sul serio.

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