9. Ritorni.
Non so perché ho questo senso di protezione nei suoi confronti, sto facendo il compito che in realtà qualcun altro dovrebbe fare con me...ma mi sono sentita così in colpa quando mio fratello ha urlato come un pazzo contro Ander al cellulare che l'unica cosa che mi è venuta in mente è difenderlo. In fin dei conti, anche lui l'ha fatto con me: ha sparato a Taylor per salvarmi dal fatto che mi stava facendo del male. Non smetterò mai di dire che la situazione poteva ripararsi diversamente, ma ormai è andata.
Immagini che riguardano ciò offuscano ancora la mia mente, di nuovo e, per un attimo, mi sento come se fossi in un'altra stanza, con la voce ovattata di Kyle che sta continuando ad urlare come un pazzo attraverso il cellulare e gli occhi di Ander mi guardano spalancati e sorpresi. Noto le sue pupille dilatarsi, mentre il cellulare continua ad emettere le imprecazioni di mio fratello. Un silenzio tombale rimbomba nella stanza del bungalow in cui ci troviamo.
«Cosa cazzo stai dicendo, Breanna?» la sua voce è lieve e incredula e me lo immagino mentre si passa una mano nei suoi capelli ricci. Quanto mi manca. Infondo, anche lui sa che non potrebbe essere vero...voglio dire, chiunque mi conosce sa che non farei del male ad una mosca, figuriamoci se potrei sparare una persona con cui sono stata insieme così tanto tempo. Un senso di colpa mi invade, sentendo la sua voce: probabilmente se non avessi aperto la porta a quel pazzo malato, non sarebbe successo tutto ciò. Io non mi sarei sentita così sporca e Ander non si sarebbe messo nei guai per colpa mia. Ma perché penso sempre troppo agli altri? È questa la mia natura: preferisco pensare a salvare e proteggere gli altri, per evitare di salvare me stessa, sapendo comunque che mi sto perdendo un po' anche io.
«S-si, l'ho fatto io. Mi ha fatto del male Kyle, io...» inizio a balbettare, non sapendo come continuare. Leila mi guarda con sguardo compassionevole ed è l'ultima cosa che voglio. Ne ho visti già tanti di sguardi così nella mia vita: la separazione dei miei genitori, l'inizio del giro di papà, ora Kyle che è andato via... questi sguardi mi distruggono e mi fanno sentire come se non potessi farcela da sola, ad andare avanti. Distolgo lo sguardo, posando gli occhi su quelli color cioccolato del ragazzo al mio fianco. Scuote la testa, stringendo gli occhi e serrando i pugni, poi prende il mio telefono e toglie il vivavoce.
«Non è così, Kyle, sono stato io e me ne assumo la piena responsabilità. Sistemerò tutto.» lo guardo duramente, senza parlare. Perché non lascia che qualcuno possa proteggerlo? Se glielo chiedessi, probabilmente direbbe che non ha bisogno di protezione...ma sembra così fragile ed impanicato in questo momento che mi provoca un tuffo al cuore. Si morde il labbro inferiore, mentre le sue spalle sono tese come una corda di violino. Si intravedono da sotto la maglia bianca, quasi trasparente, che indossa. Sento mio fratello sospirare, mentre impreca sotto voce, poi il suo tono diventa freddo come quello di un sergente che segue gli ordini del comandante.
«Invierò qualcuno a controllare Bree, poi vedremo cosa fare con te.» gli stacca il telefono in faccia. Tipico di mio fratello quando è incazzato e, onestamente, non ha tutti i torti. È partito lasciandomi in custodia ad Ander che in realtà mi ha messo solo nei guai. Chissà perché gli aveva già fatto il discorso di non immischiarmi nelle sue cazzate. Che c'è dietro a questo misterioso ragazzo? Scruto il ragazzo che ormai sta attraversando la porta per andare in cucina. Quanto vorrei sapere il suo passato e cosa l'ha reso così.
Lo seguo, lasciando Leila sul divano mentre fissa la televisione dallo schermo spento, assorta nei suoi pensieri. Ander è girato di spalle, con i palmi delle mani appoggiati sul legno invecchiato della cucina classica. È di un legno scuro, composta da diversi cassetti dello stesso materiale, sarà lunga circa due metri, non di più. È attaccata alla parete e al di sopra di essa, proprio sul lavabo marrone. Al di fuori di essa c'è un lago immenso e una serie di alberi si susseguono in fila attorno al lago. Solo ora mi rendo conto che in realtà non so nemmeno dove siamo in questo momento.
«Ander...» gira la testa verso di me, senza girarsi, mostrandomi il suo profilo perfetto. Deglutisco, non sapendo bene cosa dire, mentre lui aspetta che io parli. Prendo un respiro: «Ti prometto che non lascerò che tu perda il lavoro. Risolverò tutto.» si gira verso di me e la luce del sole ormai tramontato gli attraversa gli occhi castani, facendoli sembrare più chiari. L'angolo destro delle sue labbra si alza verso l'alto, facendogli spuntare una piccola fossetta. Mi si blocca il respiro nel notarla. Si avvicina a me, piano piano. Ci troviamo a pochi centimetri di distanza, quando mi accarezza il viso con i polpastrelli ruvidi costringendomi a guardarlo dall'alto del suo metro e ottanta. Continua a mantenere quel piccolo sorriso, mentre mi fissa negli occhi.
«Non me ne frega un cazzo del lavoro, Breanna. Non sopporto il fatto di averti messo in questa situazione, tutto qui...Forse avrei dovuto rinunciare all'incarico che mi ha dato tuo fratello.» abbassa lo sguardo verso il pavimento, allontanandosi e facendo una smorfia. Prende un po' d'acqua, ponendola in un bicchiere che si porta alle labbra. «Forse avrei dovuto rinunciare all'incarico che mi ha dato tuo fratello.» Mi fa male come sale sulle ferite aperte. Non posso dire che Ander non mi protegga. Ha fatto qualche cazzata, senza dubbio, ma non posso dire che non sa adempiere ai suoi compiti.
Istintivamente, lo abbraccio e gli cade il bicchiere di vetro dalle mani, frantumandosi in mille pezzi. Mi fa spostare velocemente, prima che cada a terra, per evitare che non possa farmi male, mentre una piccola scheggia di vetro gli graffia la pelle del ginocchio, provocandogli un piccolo taglio sul jeans proprio in quel punto. Volete ancora dirmi che non è adatto a questo compito? Sorrido lievemente, notando il suo enorme istinto di protezione nei miei confronti.
«Non è colpa tua.» sussurro, cingendogli il bacino con entrambe la braccia, mentre lui non ricambia l'abbraccio. Non sono convinta al cento per cento di ciò che gli ho appena detto, ma non voglio fargli pesare ciò che penso. Mi sento al sicuro quando sono con Ander, anche se questo significa andare nei casini. Preferisco andare nei casini con lui, anziché con qualcun altro.
«Sei una ragazza speciale, B. Spero tu possa trovare qualcuno che ti ami per ciò che sei.» quella frase mi distrugge e mi ripara. Mi distrugge perché ciò significa che quel legame che io avverto tra tutti e due, non è lo stesso che sente lui. Mi ripara, perché in fin dei conti ha detto che sono speciale. Anche se, in questo momento, quella a prevalere è la parte che mi distrugge. Ma, in fondo, che mi aspettavo? Sarebbe mai potuto succedere che un ragazzo figo come Ander, sentisse la stessa connessione che sento io nei suoi confronti? Ovviamente no. Mi allontano in fretta, come se avessi preso la scossa. Non so cosa traspariscono i miei occhi, ma noto che la sua espressione è scostante mentre digrigna i denti mostrando un'espressione irata.
«Lo sei anche tu Ander, spero che possa accadere la stessa cosa a te.» dico con voce così debole che sembra possa spezzarsi da un momento all'altro, prima di girare i tacchi ed uscire dalla stanza.
Va bene così. Le cose sono andate in questo modo, ma non saprei come avrei reagito se non mi avesse salvato stamattina. Averlo vicino mi fa sentire più tranquilla e allo stesso tempo vulnerabile e non lo sopporto. Odio farmi vedere così fragile dagli altri, soprattutto se uno degli altri è una persona che a malapena conosco. È la cosa più strana che mi sia accaduta e credevo succedesse anche a lui, prima che pronunciasse quella frase, perché più volte ho notato che le pupille dei suoi occhi castani dilatate ed altre volte mi ha fissato in un modo così dolce e protettivo... come se volesse spogliarsi delle sue paure, come se non riuscisse a farlo. A volte penso che ci sentiamo allo stesso modo, due anime fragili incastrate nello stesso modo, allo stesso tempo, nello stesso luogo, e non riescono a sciogliersi...ma a questo punto, non so se sia effettivamente così o è solo una mia impressione.
***
Sono ormai due settimane che stiamo rintanati in questo bungalow in riva al Lake Thaoe, in Nevada, città a cinque ore di distanza da Scottsdale. Ho costretto Ander a dirmelo, mentre c'era in atto una lotta con i cuscini sul divano del salone. Siamo entrambi caduti a terra ed io ero addirittura a cavalcioni su di lui, con un cuscino tra le mani, costringendogli a dire dov'eravamo tra le risa a crepapelle di entrambi. Lui, mi ha poi guardato in un modo strano, facendomi sentire a disagio e, rendendomi conto della situazione, sono subito scesa arrossendo come un peperone. Lui ha continuato a ridere di me, e poi mi ha detto dove eravamo. Il rapporto tra me e Ander è altalenante: ci sono giorni in cui non ci guardiamo nemmeno in faccia e altri in cui ridiamo e scherziamo come vecchi amici del liceo, come se ci conoscessimo da una vita.
Ormai le voci si sono affievolite su Taylor e il telegiornale non ha dato altri aggiornamenti sul caso da parte della polizia, o almeno non so se ce ne siano, perché Ander controlla anche cosa guardo. È da una settimana che il ragazzo con cui ho una ''convivenza forzata'' va via la mattina e torna la sera, non so esattamente cosa sta succedendo. Sento Kyle tutti i giorni e, dopo la sfuriata che ha fatto ad Ander, le cose sono tornate normali tra loro. Inizialmente erano molto fredde. Ieri mi ha detto che le cose stanno andando a gonfie vele lì e che sono quasi arrivati al loro scopo.
Il naso si è quasi assestato, grazie all'aiuto di Leila che ha passato interi pomeriggi con me, non lasciandomi mai sola se non quando Ander è tornato la sera. Ora, è tornata a casa della madre che si è preoccupata tantissimo, sentendo la notizia di Tay al telegiornale, per cui è dovuta tornare a Scottsdale. L'ho rassicurata di non preoccuparsi e che sarei stata bene, inoltre Kyle mi ha detto che sarebbe tornato tra circa due settimane, se tutto sarebbe andato a gonfie vele. Per ora, sembra sia così.
Quindi, da qualche giorno a questa parte siamo solo io e Ander in casa. La cosa mi fa venire una morsa allo stomaco per la contentezza e nello stesso tempo mi mette un po' d'ansia. In tutte queste settimane avrei voluto ringraziarlo per ogni cosa, ma in un momento di sconforto e, soprattutto, all'insaputa di Ander non nego che ho mandato un messaggio a Taylor chiedendogli come stesse. L'ho fatto in modo istintivo e col senno di poi, so di essere stata stupida ad averlo fatto:
BREE: Ciao Taylor, come va? Ho sentito la notizia in tv.
Ho fatto la finta tonta e per qualche strano motivo mi ha assecondato.
TAYLOR: Tutto bene, grazie.
TAYLOR: Mi dispiace per ciò che è successo le settimane precedenti. Ti chiamo presto, ok? T.
Ho guardato stranita il messaggio, notando che si sia comportato come se qualcuno gli avesse detto di scrivere così. Non ne ho proferito parola con Ander e so che probabilmente dovrei dirglielo...avevo in programma di farlo stasera.
Quello che mi è successo, grazie ad Ander e Leila, l'ho sentito in modo meno pesante. Ci sono stati dei momenti in cui mi sono chiusa in me stessa, ma dopo poco mi raggiungeva uno di loro con qualche idea in programma per distrarmi. Una volta abbiamo addirittura dipinto fuori al bungalow, nel bel mezzo della natura. Non posso dire di essere guarita o che non ci pensi nemmeno un secondo a ciò che è successo poche settimane fa, ma sicuramente il pensiero è meno nitido. E, soprattutto, fa un po' meno male. All'inizio non riuscivo nemmeno a dormire la notte, nonostante la mia migliore amica dormisse nella mia stessa camera. Passavo notti insonne, e la maggior parte delle volte Ander le passava con me. Ci sedevamo fuori al fresco a parlare di tutto tranne che di noi e alcune volte è riuscito anche a farmi addormentare, facendomi posare la testa sul suo petto muscoloso. Ma, oltre questo, non c'è stato altro tra noi.
La porta d'ingresso si chiude, lasciando spazio alla figura muscolosa di Ander che ha delle birre in mano. Mi sorride con un sorriso che non ho mai visto da due settimane a questa parte, mentre chiude la porta col piede sinistro.
«Hey.» gli sorrido. «Ora ti preparo qualcosa da mangiare.» lo aiuto a portare la busta con le birre in cucina, dove ho preparato la cena per stasera. Il suo sorriso si allarga a trentadue denti: ho preparato il pollo con le patate al forno e, non sapendo se gli piacessero, ho preparato anche le carote. L'ansia inizia a salirmi al solo pensiero di ciò che dovrò dirgli.
«Noto che mi hai preceduto.» rido e sembra che l'ansia che ho si affievolisca un po' con lui. Non riesco a capire che effetto mi fa.
«Sì, volevo fare qualcosa per ringraziarti.» mi sposta i capelli castani dietro l'orecchio destro, mettendo in mostra il mio helix, e mi guarda con occhi penetranti. Qualche giorno fa è tornato a casa con un piercing sul sopracciglio destro. Devo dire che gli sta molto bene. Lo rende più sexy e più minaccioso.
«Non devi ringraziarmi di nulla, già l'ho detto.» Non sono d'accordo, ma lui lo sa bene. Scuoto la testa ed è in questo momento che il suo sorriso si allarga ancora di più, facendomi perdere un battito. Mi allontano, cambiando velocemente discorso prima che possa sentire l'imbarazzo nella mia voce e il battito del mio cuore che accelera sempre di più.
«Allora, quale occasione festeggiamo?» dico prendendo due birre dalla busta di plastica che prima aveva in mano. Mi porge le mani, facendo segno di dargliele, ma scuoto la testa, rifiutando.
«La libertà.» mi giro con aria interrogativa, poi mi rigiro per preparare i piatti da portare in tavola che, fortunatamente, ho già apparecchiato prima che arrivasse, coprendola con una tovaglia bianca che ho trovato in un cassetto della cucina. Ci sediamo a tavola, mentre lui stappa le birre.
«Cosa intendevi con ''la libertà''?» chiedo tagliando col coltello un pezzo di pollo e portandolo alle labbra. È squisito.
«Non siamo più costretti a stare qui, Bree. Sono riuscito ad aggiustare tutto.» mi guarda come un bambino che ha appena comprato le caramelle e questa cosa mi rende molto felice, anche se mi piaceva la tranquillità di questo posto, in fin dei conti. Mi ha fatto sentire al sicuro e protetta quando più ne avevo bisogno e un po' mi dispiace abbandonare il bungalow. La nostra conversazione viene interrotta dal suono del campanello.
«Vado io.» mi alzo e mi dirigo verso la porta, ma il ragazzo di fronte a me mi sovrasta e mi tocca il braccio per fermarmi. Ecco che torna l'Ander attento in azione. Si guarda intorno, probabilmente verificando che le finestre siano chiuse, poi rivolge lo sguardo verso la porta e mi fa segno di indietreggiare.
«Stai qui.» mi dice, prendendo la pistola dal lato posteriore dei pantaloni, coperta dalla maglietta nera a mezze maniche. Non so quante volte ho visto e rivisto questa scena nell'arco di queste tre settimane, ma ogni volta che la vedo mi sembra sempre più sexy. Guarda dallo spioncino, poi guarda me con un'aria strana e deglutisce posando la pistola dov'era prima.
«Chi è?» chiedo inclinando la testa a destra. Ander apre la porta mostrandomi chi è ed io rimango completamente scioccata. Ormai la rabbia mi ribolle nel sangue e stringo i pugni nel vedere chi è. Digrigno i denti pronunciando l'unica parola che pensavo non avrei pronunciato per parecchio tempo o forse mai più: «Mamma?»
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