5. L'inizio del declino.

«Allora, Leila, obbligo o verità?» chiede Luke. Lei ride.

«Verità.» annuncia, mentre io mantengo gli occhi fissi sul mio ex, Taylor, seduto alla mia destra. Ha gli occhi azzurri ghiaccio tendenti al grigio, i capelli ricci e castani. Non è particolarmente muscoloso, anzi. Noto che da sei mesi a questa parte è addirittura dimagrito. Le sue grandi iridi sono circondati da occhiali neri che si sistema continuamente. Il suo sorriso mi ha sempre affascinato, perché sembra il sorriso innocuo di un ragazzo buono. La sua bocca è poco carnosa rispetto alla mia.

Se ve lo state chiedendo... sì. È un nerd. Ma è anche l'unico ragazzo con cui mi sono riuscita a confidare di tutto, di mamma, di papà... e ora, vederlo qui di fronte a me mi fa così tanto male. Forse ora non era il momento adatto per incontrarlo dopo ciò che è successo. Non mi sono ripresa del tutto dalla rottura con lui e, vederlo, fa così male che è come se avessi buttato il sale sulle ferite ancora non rimarginate. Indossa una polo blu e un jeans strappato ed è un po' più alto di me.

Taylor ed io siamo stati insieme per quattro anni in cui lui a volte mi gridava addosso parole poco consone. Lo faceva così tante volte e soprattutto quando non voleva ammettere di aver sbagliato o quando insinuava che io lo tradissi. Ad un certo punto, ho pensato che lo fossi davvero. Anche senza alzare nemmeno un dito, anche senza guardare nemmeno per sbaglio un ragazzo. Ovviamente, non l'ho mai tradito. Come avrei potuto farlo? Amavo Tay alla follia, così tanto che se mi fossi dovuta gettare nel fuoco ardente per salvarlo lo avrei fatto senza pensarci due volte. Ma, purtroppo, chi ha qualcuno che prova un amore così grande al proprio fianco, non sempre ne sa capire il valore. Avevo occhi solo per lui, anche nonostante i continui litigi con mio fratello a causa sua. Kyle mi ha sempre detto di lasciar perdere quella cosa tossica che non poteva nemmeno definirsi relazione, ma purtroppo non riuscivo ad uscirne, perché io che c'ero dentro non mi accorgevo quanto fosse tossica. Una volta esserne uscita, invece, me ne sono resa conto.

Era un rapporto malato tra me e lui: a partire dalla gelosia, fino a finire alle parole che mi diceva quando litigavamo. Per la maggior parte delle volte, quella ad essere gelosa ero io. Era un bel ragazzo, con un carattere senza dubbio particolare. Ciò che lo rendevano più strano, erano i suoi atteggiamenti: anche quando io e Leila eravamo in gruppo per parlare insieme ai ragazzi della classe, evitava di raggiungerci. Il problema, però, era che lo conoscevo bene: non ci raggiungeva, ma guardava da lontano qualora compissi un passo falso o, per sbaglio, sfiorassi uno dei nostri amici. Quando succedeva, lui restava in silenzio finché non era il momento di riaccompagnarmi a casa. In quel momento, poi, mi urlava contro cose così schifose da farmi piangere, come, ad esempio, che ero un peso per lui. Da quel momento in poi, ho deciso di allontanarmi anche io dalle chiacchierate che facevamo in gruppo.

Leila mi diceva che dovevo reagire, senza farmi mettere i piedi in testa perché in fondo non stavo facendo nulla di male, se non scambiare due chiacchiere. Mi diceva che avrei dovuto lasciarlo e ricordo che per un periodo sono stata distante anche da lei. Non parlavamo nemmeno più, a causa sua. Oggi, col senno di poi, lei cercava solo di farmi aprire gli occhi. Magari l'avessi ascoltata.

Non nego che a volte avevo paura di lui perché nel bel mezzo di un litigio era capace di rovesciare a terra qualsiasi cosa si trovava davanti. Per questo, quando è successo più di una volta, soprattutto negli ultimi momenti della nostra relazione, ho deciso di allontanarmi e di andare a Phoenix da mio padre per una settimana.

Nonostante, la distanza non fosse insormontabile (eravamo distanti solo venti minuti), decisi di tornare dopo quattro giorni per dirgli che mi mancava e non ce la facevo a stare senza di lui. Stetti malissimo. Lui non mi aveva inviato neanche un messaggio, nulla. Probabilmente perché sapeva avesse sbagliato. Faceva sempre così quando era nel torto. Il primo giorno era come se non esistesse, mentre negli altri a seguire si faceva perdonare prendendomi regali e fiori. Allora, però, erano passati quattro giorni e la cosa iniziò a preoccuparmi.

Quando arrivai fuori casa sua, vidi la moto di Cassie. Anche con lei avevo rotto i rapporti per un progetto inerente al liceo che, ad un certo punto volevo presentare da sola. Ero in coppia con lei, ma avevo fatto tutto io, mentre lei se la spassava alle feste delle discoteche del paese e diventava, man mano, una tossicodipendente. Le consigliai più volte di smettere, perché non andava bene per la sua salute, ma lei non ha voluto farlo mai. E quella fu la goccia, per lei, che fece traboccare il vaso. Chiudemmo i rapporti in modo così brutto per due come noi che si conoscevano da anni e anni che, inizialmente, ci rimasi malissimo. Lei partì, dopo che successe ciò che sto per raccontarvi con Taylor. E da lì non l'ho più vista e non ne ho voglia.

La porta di casa di Taylor era aperta e mi intrufolai per fargli una sorpresa. Il piano inferiore composto dal salone e dalla cucina era vuoto, mentre tra le scale si sentivano dei rumori strani. Così, quando spalancai la porta della sua camera: lei a cavalcioni su di lui, con la schiena rivolta verso la porta. Lui aveva le mani che stringevano il sedere di quella che ritenevo mia amica, mentre l'altra mano era posata sui seni. Si muoveva dentro di lei. Stavano facendo sesso. Il mio cuore si è infranto in diecimila pezzi, se non di più. Piansi fino a singhiozzare, quando si girarono nella mia direzione. Cassie aveva un'aria di sfida, Taylor un'aria a dir poco sconvolta. Il respiro mi si bloccò in gola così tanto che non riuscivo neanche a spiaccicare parola, le lacrime appannarono così tanto i miei occhi che quando uscì dalla porta di quella casa quasi stavo per essere investita da un'auto. Lui non mi ha nemmeno rincorso per darmi spiegazioni, né si è fatto più sentire. È da qui che ho capito che era finita tra noi.

Purtroppo le cose non chiuse da vicino, ti lasciano sempre un rimorso, a volte grande come un vortice che ti risucchia, altre volte facilmente sormontabile, da riuscire ad uscirne.

Taylor si gira a guardarmi e per un momento sembra ci siamo solo noi. «Dopo possiamo parlare?» mi chiede. Sto per rispondere quando un ragazzo si siede vicino a me posandomi il braccio sulle spalle.

«Mi unisco.» annuncia e poi mi guarda. «Ciao baby.» ruoto gli occhi al cielo e Taylor si allontana bruscamente da me con una faccia di disappunto. Non potrei essergli più grato in questo momento.

«Ander, smettila.» gli dico, sibilando i denti e togliendogli il braccio dalla mia spalla, ma sembra così saldo che non ci riesco. Non mi stringe, semplicemente resta appoggiato finché non iniziamo a giocare di nuovo. Inutile dire che tutte, Leila compresa, lo guardano sbalordite. Leila mi fa un occhiolino di approvazione e il ragazzo dalla bocca piccola e i capelli castani al mio fianco ridacchia facendo sì che si formino piccole rughe vicino ai suoi occhi, ma torna subito serio.

«Smettila tu di dirmi stronzate. Sto facendo il mio lavoro, non sono fatti miei se ti sta bene o no.» mi guarda negli occhi e ci troviamo quasi ad un palmo di distanza.

«Hey, voi due, dovete giocare o no?» Brandon chiede scocciato ed annuisco allontanandomi da Ander e ricomponendomi. La serata continua tranquillamente, fin quando non è il mio turno.

«Bree, obbligo o verità?» mi chiede Taylor. Deglutisco. Non poteva chiedermelo qualcun altro?

«Verità.»

«Mi hai già dimenticato?» chiede di punto in bianco davanti a tutti. Impallidisco e lancio un'occhiata a Leila dall'altra parte del tavolo che spalanca gli occhi per la sorpresa. Ander ha ancora il braccio sulle mie spalle e guarda Taylor con la più totale indifferenza del mondo, quasi scocciato. Trattiene uno sbadiglio. Se fossimo stati in un'altra situazione, probabilmente avrei riso, ma questa...fa tutt'altro che ridere.

«Non penso sia un argomento di cui parlare davanti a tutti.» rispondo tranquilla, ma Taylor, alla mia destra, si sporge verso di me cingendomi il polso con le sue enormi dita, stringendolo. Mi irrigidisco. Alla mia mente ritornano tutte quelle parole che mi diceva: «Puttana.», «Sei un peso.», «Non meriti nulla.», «Resterai sola.».

«Devo saperlo.» serra i denti. Anche Ander si irrigidisce, togliendo immediatamente il suo braccio dalle mie spalle e stringendo i pugni.

«Mi fai male, Tay.» dico quasi con le lacrime agli occhi. Era questo quello che succedeva con Taylor, la maggior parte delle volte, davanti a tutti.

«Non è un argomento di cui parlare dinanzi ad un gruppo di persone, mentre stiamo facendo un gioco.» Ander pronuncia queste parole con la sua voce tranquilla, ma lo sguardo trapela tutt'altro. Lo guarda con aria di sfida. Quasi vorrei non si fosse messo in mezzo. Non voglio se la prenda con lui, non c'entra nulla.

«Ah davvero?» si alza. «Chi cazzo sei tu?» guarda ormai Ander in cagnesco, che si alza a sua volta. Gli poso la mano sul braccio sul quale è raffigurato un serpente, inutilmente.

«Non sono cose che ti riguardano.» risponde avvicinandosi a lui. Come non detto. Nemmeno tutto il mare del mondo può spegnere il fuoco di queste due anime.

«Ah no?» Taylor si avvicina sempre di più alla faccia di Ander, pericolosamente. Se avessi saputo che la serata avrebbe preso questa piega, sarei stata volentieri nel mio appartamento a vedere un horror. Faccio per mettermi in mezzo, alzandomi, e all'improvviso sento un dolore allucinante. L'odore metallico e il dolore lancinante è tutto ciò che sento. Il sangue mi esce dal naso mentre le orecchie iniziano a fischiarmi. Due braccia che mi sorreggono, ma non so bene di chi siano.

«Cosa cazzo fai?» ho sentito la voce di Ander amplificata. I ragazzi sono andati incontro a Taylor ed Ander per dividerli e Luke mi tiene tra le braccia, mentre Leila continua a chiedermi come sto e a sussurrare parole come «Stronzo.», «Menomale che c'era Ander.», «Se lo meritava.».

«S-Sto bene, ho bisogno di un bagno.» ho detto debolmente con un dolore lancinante, ma Leila ha insistito per accompagnarmi. Attraversiamo l'infinita folla di gente dai vestiti fradici di sudore, che puzzano di alcool e fumo come non mai. Quasi mi viene da vomitare.

«Un bel tipetto Ander.» mi dice cercando di farmi ridere, ma non ci riesco. L'unica cosa a cui riesco a pensare è la patetica scenetta che hanno creato quei due. Vorrei che la terra mi inghiottisse per la vergona che provo. «Tieni la testa in giù.» mi suggerisce la mia migliore amica mantenendomi il capo, finché non arriviamo al bagno. Sospiro, lasciandomi cadere ai piedi della porta.

«Questa situazione inizia già a stufarmi.» dichiaro alla mia migliore amica che mi accarezza i capelli castano chiaro e mi guarda preoccupata. Riconosco che sto parlando come se avessi il raffreddore, ma...no. È il mio naso. A questo punto avrei fortemente voluto avere il raffreddore.

«So che è difficile per te questo periodo, perché sono successe troppe cose insieme, ma devi credermi che sarà tutto in salita. E poi, Taylor se li meritava un paio di pugni.» quindi Ander è riuscito a colpirlo? Non ho mai sopportato questi drama adolescenziali ed non riesco a sostenere il peso che ora ne sia addirittura la protagonista: sarà il nuovo argomento di cui parleranno al college a settembre quando mi vedranno tra i corridoi. Già immagino i commenti: «Oh, hai capito chi è quella?», «Quella è la ragazze di Taylor Baker», «Ti ricordi la rissa che scatenarono per lei a luglio?». Già sono stufa prima di iniziare. Basta. Questa situazione deve finire.

Mi guardo allo specchio e direi che la situazione è tutt'altro facilmente superabile: dal mio naso continua a fuoriuscire del sangue che Leila cerca di pulire con un kit del pronto soccorso che non so da dove sia spuntato. Fortunatamente, siccome sta studiando per diventare un'infermiera, sa bene come farmi sentire meno dolore. È una fortuna averla incontrata.

«Andiamo.» fa per aprire la porta e ci troviamo Ander davanti a noi. Abbasso lo sguardo. Non voglio vedere nessuno dei due ora.

«Non era necessario.» gli dico, cercando di passare e allontanarmi da lui, ma lui me lo impedisce e, inaspettatamente, mi abbraccia sussurrandomi all'orecchio: «Mi dispiace così tanto.» Non ricambio l'abbraccio, sia perché sono stupita, sia perché l'ho conosciuto solo oggi, sia perché non c'era davvero bisogno che lo colpisse né che si mettesse in mezzo in un discorso tra me e il mio ex.

«Ti porto a casa.» mi dichiara prendendomi la mano per portarmi via da quel caos.

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