2. Il viaggio.

I raggi del sole penetrano dalla finestra piombandomi sugli ancora occhi chiusi, che cerco di coprire tirando le lenzuola bianche di lino fin sopra la testa, inutilmente.

Il telefono sta continuando a suonare da un po', impedendomi di dormire serenamente. Sbuffo, stiracchiandomi. Mi strofino gli occhi e mi guardo intorno. Sono nell'appartamento mio e della mia migliore amica, ma non so come ci sia arrivata. Provo ad alzarmi dal letto, ma il mal di testa causato dall'alcol della sera prima mi lacera, costringendomi a restare a letto.

«Leila?» chiamo la mia migliore amica con la voce impastata di sonno. Dopo vari tentativi per alzarmi dal letto, ci riesco e girovago per il piccolo appartamento, ma di lei non c'è traccia. Decido, quindi, di andare in bagno, nonostante sia in stato confusionale tale da farmi perdere leggermente l'equilibrio per qualche secondo, per lavare il mio viso con acqua gelida con la speranza che possa riprendermi.

Mi guardo allo specchio e il riflesso di me stessa mi fa quasi ribrezzo: le occhiaie nere incorniciano il mio viso impallidito più del solito; il mascara sporca le mie guance, come se avessi pianto. I miei capelli color castano scuro sono diventati arruffati e gonfi, come se avessi preso la scossa; addirittura, sembra che puzzino di fumo ed alcool. Sono davvero ripugnante, per cui prendo la decisione di darmi una bella sistemata, intrufolandomi nella doccia e prendendo lo shampoo per lavare i capelli. Resto un po' lì cercando di collegare tutto ciò che è successo ieri sera... poi ricordo che stasera ho la famosa cena con mio padre e mio fratello. Schiaccio la fronte sulla mattonella bianca della doccia, stringendo i pugni e mugugnando.

Io e mio padre non abbiamo mai avuto un bel legame, anzi. È una situazione un po' complicata: lui picchiava mia madre, quando io e mio fratello eravamo bambini. A volte Kyle mi portava in camera sua facendomi indossare delle cuffie alle orecchie con la scusa di volermi far ascoltare della musica che aveva trovato su Internet per evitare che io potessi ascoltare le urla furiose di papà e i pianti isterici di mamma; altre volte è capitato succedesse anche davanti a noi e lì, purtroppo, mio fratello non poteva fare nulla per salvarmi.

Ricordo che la riempiva di lividi, tanto che a volte è capitato si trovasse con un sopracciglio o il labbro inferiore spaccato. Lei ha sempre tentato di giustificare l'ingiustificabile, purtroppo. Non so esattamente per quale motivo... Ma se fosse per amore, come si fa a continuare ad amare persona che ti picchia, senza motivo? Come si fa ad essere così accondiscendenti e non controbattere dinanzi ad una persona che ti fa così tanto male?

Quando mia madre, poi, ha deciso di andare in un centro antiviolenza, io e mio fratello non l'abbiamo più sentita: né una chiamata, né un messaggio, né una lettera. Niente. Non ci ha mai cercato. Noi, invece, l'abbiamo fatto. Papà sapeva dove si trovava la mamma, ma non ce l'ha mai detto nel corso di questi due anni. Una volta avevamo trovato un possibile centro antiviolenza mentre papà era in Australia a svolgere delle mansioni: stranamente, nessuno sorvegliava la camera di colui che doveva essere la mia figura maschile di riferimento, perciò mi sono subito intrufolata. Tra le scartoffie che aveva nel suo cassetto di legno scuro a destra della scrivania dello stesso materiale, avevamo trovato un biglietto da visita con il nome di questo centro. Così, ci siamo recati lì: abbiamo chiesto alla receptionist se lei fosse lì e la signora, sulla sessantina, con uno sguardo impaurito ci ha detto che non sapeva nemmeno chi fosse nostra madre e ci ha quasi cacciato.

Papà, invece, da almeno un anno prima che la mamma andasse via ha iniziato a trovarsi in un brutto giro: in particolare, vendeva droghe e man mano, al posto di uscirsene, è diventato uno dei capi del quartiere di Phoenix. Da quel momento in poi, soprattutto dopo che mamma è andata via, io ho cercato di allontanarmi da lui, mentre mio fratello va a fargli ancora visita ogni tanto, nonostante io non ne sia pienamente d'accordo. Sì, è vero che è nostro padre, ma ha sbagliato a farci vivere quelle violenze che imprimeva su mamma attraverso l'uso delle mani, è stato lui a rovinarci l'infanzia ed è per colpa sua che la famiglia è andata in frantumi.

Inoltre, il fatto che mio fratello e mio padre si vedano, anche se di rado, mi fa destare dei sospetti che spero siano sbagliati. Ho la sensazione che anche mio fratello sia in questo giro... se così fosse, probabilmente proverei ancora più disgusto nei confronti dell''uomo' che mi ha messo al mondo, perché un padre, un vero padre, in realtà, dovrebbe indirizzarti verso una strada pulita ed onesta. Spero vivamente che mio fratello non sia coinvolto in questo giro, perché ciò significherebbe diventare come lui e ciò significherebbe morti innocenti e montagne di crimini sulle spalle.

Sento dei pugni battere sulla porta d'ingresso, così passo per l'ultima volta il manico della doccia sul mio corpo, risciacquandolo, ed esco coprendolo con un asciugamano bianco che prendo dal cassetto bianco.

«Chi è?» chiedo. In risposta, i pugni si fanno sempre più forti e tremo per la paura. Guardo attraverso lo spioncino, mantenendomi l'asciugamano stretto al petto, col cuore che batte all'impazzata e deglutendo a fatica, come se un groppo mi sia rimasto in gola. Tiro un sospiro di sollievo, vedendo i capelli neri di Leila legati in una coda scompigliata. I suoi vestiti sono sgualciti ed il suo viso è coperto dal mascara sciolto intorno agli occhi. Mi abbraccia forte.

«Finalmente ti ho trovata.» la guardo, aggrottando le sopracciglia. Potrei dire che il suo viso è teso come una corda di violino.

«Sono sempre stata qui.» ridacchio, mentre sul suo viso scompare pian piano la tensione. I suoi occhi sembrano stanchi, come quelli di chi non ha dormito per tutta la notte. Le sue occhiaie nere le contornano gli occhi color cioccolato stanchi che sembra siano diventati un po' più scuri, dello stesso colore del cioccolato fondente. Mi vesto velocemente, lasciando i capelli castani bagnati cadermi sulle spalle. Si siede su una sedia posta vicino al tavolo in legno al centro dell'appartamento, mentre io le preparo un caffè.

«Notte insonne?» la prendo in giro, ma lei mi fulmina con lo sguardo come se potesse incenerirmi, mentre prende la tazza bianca che le porgo tra le mani.

«Io, Luke e tuo fratello ti abbiamo cercato tutta la notte.» mio fratello?

Mi irrigidisco, non pensavo che la cosa potesse essere così seria. Perché mi hanno cercato? Poi mi ricordo. Sono stata presa in braccio alla festa da un ragazzo dai piccoli occhi castano chiaro e dai capelli all'apparenza soffici. Ricordo che il suo odore, quando mi ha preso in braccio, ha invaso le mie narici facendomi stringere di più a lui. Poi ricordo che mi ha portata in macchina e...fine. Non ricordo nient'altro, tranne l'essermi svegliata qui stamattina.

«Che fine avevi fatto?» mi chiede la ragazza dagli occhi cioccolato di fronte a me.

Sospiro e le racconto di quel ragazzo misterioso che mi ha accompagnato qui ieri sera... Forse è vero che avrei dovuto avvisare Leila o Luke, ma penso di essermi trovata praticamente priva di sensi dal momento in cui sono salita in macchina. Infatti, non ricordo nulla. Non sono abituata a bere, siccome sono astemia, e ieri penso di aver bevuto il bicchiere che mi ha dato Luke con la vodka e se non sbaglio qualche altro bicchiere al bancone, perciò il miscuglio dei drink mi avrà fatto perdere i sensi ad un certo punto. Leila si alza di scatto puntandomi il dito contro.

«Sei impazzita? Sei andata in auto con un ragazzo che non conosci, che ti ha portato fin qui senza che tu gli indicassi nemmeno la strada.» Mi prendo la testa tra le mani. Forse gliel'ho anche indicata prima di salire in auto. Non lo so...ma ha ragione.

«Lo so, hai ragione. Non so che mi sia preso, ho provato a divincolarmi, ma non mi ha lasciato andare.» la testa mi pulsa come mi pulsa il cuore al pensiero del bel ragazzo che mi ha portato qui. Ma come faceva a conoscere dove abitavo?

«E... se fosse successo qualcosa? Come avremmo potuto fare? Probabilmente ora sarebbe troppo tardi e non conosciamo questo ragazzo, non avremmo potuto...» la blocco. Il solo pensiero che davvero sarebbe potuto accadere qualcosa, mi fa venire i brividi.

«Ley, stai tranquilla. Va tutto bene.»

«T-ti.. cioè voglio dire.. ha.. ha provato a violentarti?» mi chiede quasi sull'orlo del pianto.

«Cosa? No. Non credo. Penso che avrei dei dolori lì giù.» indico la mia parte intima sorridendo divertita, per smorzare la tensione che provoca i nervi a fior di pelle alla ragazza di fronte a me. La mia migliore amica mi abbraccia forte e all'improvviso la porta del nostro appartamento si spalanca.

«Che diavolo è successo?» ecco a voi mio fratello, Kyle: pelle abbronzata dal sole, occhi azzurri color cielo e capelli biondi con un ciuffo che gli ricade sugli occhi. In pratica, completamente il mio opposto. Indossa una giacca di pelle nera, con un pantalone dello stesso colore e una canotta bianca sotto la giacca. Poi ha i suoi amati anfibi neri; anche i suoi occhi sono spaventati, spalancati e stanchi. Le sue braccia muscolose e abbronzate dal sole mi cingono la vita, stringendomi forte. La sua bocca carnosa simile alla mia mi dà un bacio sulla fronte.

«Ti prego, non farlo mai più.» la voce gli trema tantissimo e, sentendolo così impaurito, inizio a piangere, sentendomi in colpa. Non sopporto il fatto di averli fatti preoccupare... se anche io mi fossi trovata nella loro situazione sarei impazzita, probabilmente sarei andata dalla polizia. Mi chiedo perché non l'abbiano fatto loro.

«Va tutto bene.» ripeto a mio fratello. Fortunatamente è davvero così, io non mi sono fatta male, lui non mi ha fatto del male. Lui. È vero che sono stata stupida ad andarci, ma non so perché ci sia andata senza nemmeno insistere tanto per farmi lasciar andare. E se fosse successo davvero qualcosa? Cosa avrei fatto? Se mi avesse rapito e non avrei potuto avvisare nessuno? Se mi avesse violentata? A chi avrei potuto chiedere aiuto? E soprattutto, la domanda che più mi preoccupa è come conosce dove abito? Mi sta spiando?

***

Entro in macchina di mio fratello, mentre lui si accende una sigaretta. Il fumo invade l'abitacolo della macchina in pelle nera.

«Sei pronta?» mi chiede trepidante. Sa che queste cose non mi piacciono e non sopporto proprio mio padre per il male che ha fatto a me e alla mia famiglia. Annuisco, ma non è così. Non lo sono affatto. Non ho voglia di fingere vada tutto bene e passare la cena con una persona che mi ha reso più introversa, stronza e, soprattutto, diffidente verso il sesso maschile.

Ci troviamo davanti alla porta di papà, venti minuti dopo. Siamo a Phoenix, nel quartiere di Ahwatukee: la porta in legno è coperta da un uomo con occhiali da sole e un completo di tutto punto nero. Sembra una specie di buttafuori che, appena vede mio fratello, fa spazio per farlo passare e ci apre la porta. Lo ignoro mentre sorpasso la porta e proprio lì c'è un altro uomo sulla cinquantina ad aspettarci. Kyle si avvicina allargando le braccia, mentre l'uomo lo perquisisce per evitare che possa portare qualche arma credo. Poi tocca a me.

«Non sapevo che nostro padre fosse il Presidente degli Stati Uniti.» borbotto alzando gli occhi al cielo, mentre l'uomo mi perquisisce e mi fa segno di andare lanciandomi un'occhiataccia appena ha terminato. Mi aggiusto la camicia nera che indosso, in contrasto con il pantaloncino bianco che ho, e mi dirigo verso l'entrata della sala da pranzo. Mio padre è seduto a capotavola con le braccia incrociate e due uomini come quelli precedenti gli sono al fianco. Si alza e cerca di abbracciarmi, ma mi allontano, stringendogli la mano.

«Un pranzo normale non si può avere? O dobbiamo avere sempre la compagnia di..?» inizio a parlare, ma quasi alla fine della frase mio padre mi interrompe, precisando le sue condizioni.

«Josh e James e, si, avremo sempre la loro compagnia e così sarà sempre.» l'uomo che mi ha generato sospira e alza gli occhi al cielo, poi mi fa un sorriso forzato. Combattuta tra me e me, decido di stare in silenzio e lasciar perdere. Non ho voglia di discutere. Se sono qui è solo per Kyle.

Il pranzo continua senza intoppi, anche se mio padre evita di parlare dei suoi ''affari'' e non accenna nemmeno alla mamma, fin quando non glielo chiedo.

«Come sta la mamma?» interrompo mio fratello e mio padre dalla conversazione che stanno avendo e che io non sto ascoltando minimamente. Mio fratello lancia un'occhiata indecifrabile a papà che mi insospettisce parecchio.

«Bene. Tra un po' tornerà in città.» mio padre mi risponde con nonchalance, mentre io faccio una smorfia. Lo sta dicendo da anni.

«Come due anni fa?» sbotto, stringendo i pugni. Con questa domanda sarcastica, sa bene a cosa mi riferisco: quando due anni fa tornammo a casa da scuola, la mamma non era più lì. Tutte le sue cose erano scomparse e non aveva lasciato neanche un biglietto sul bancone nero della cucina, come faceva di solito quando usciva per delle commissioni. Provai a chiamarla, ma la voce robotica della segreteria interrompeva tutto ciò che avrei voluto dirle. Così papà disse a me e a mio fratello che era in un centro antiviolenza e che sarebbe tornata a casa nel giro di qualche giorno. Inutile dire che non lo ha fatto e a questo punto mi domando se sia vero.

«Bree...» lo interrompo.

«No, papà. Voglio sapere dov'è.» sbatto i pugni sul tavolo facendo traboccare la bottiglia di vino rosso che c'è sul tavolo che sgorga dalla bottiglia sporcando la tovaglia. Ora la rabbia mi ribolle dentro. Lui scuote la testa a qualcuno dietro di me, come se gli stesse facendo segno di non fare niente. Con un sospiro affranto si alza, ponendosi al mio fianco. Mi prende le mani e la nausea mi sale fino in gola quasi facendomi vomitare: quelle mani una volta venivano usate contro mamma e ci hanno fatto vivere un'infanzia terribile.

«Bree, vi ho invitato per un motivo. Ma prima, ti prometto che la mamma torna presto.» rido isterica, ma prima che potessi rispondere mi dice una cosa che mi fa rabbrividire e mi spezza il cuore in due. «Io e Kyle dobbiamo partire per un viaggio d'affari.» incredula con gli occhi spalancati e con il cuore in frantumi, guardo mio fratello che abbassa la testa evitando di guardarmi negli occhi.

E per 'affari' intende tutte quei compiti loschi sottocommissione che fa svolgere ai ragazzi del quartiere o queste specie di bodyguard che sono presenti in tutta la casa. Ecco che i miei sospetti sono confermati. Kyle è nel giro di papà. Mi sento disgustata e improvvisamente sento di non avere più aria nei polmoni. Sembra che la voce di papà sia improvvisamente ovattata. Non riesco a togliermi le parole appena pronunciate dalla voce intimidatoria di mio padre: «Io e Kyle dobbiamo partire per un viaggio d'affari.» Non solo ho perso mamma e papà, ora perderò anche lui. Perché non ha reagito come me, allontanandosi da tutto questo? Perché è entrato in questo giro? Mi alzo mettendo una mano sul petto. Mi sento distrutta completamente: Kyle diventerà come papà? La gola inizia a bruciarmi e mi sento come se gli occhi stessero iniziando a chiudersi, facendomi vacillare.  Quei sospetti che avevano erano giusti?
Mio fratello cerca di venirmi incontro, ma mi allontano.

Sospiro e guardo ferita entrambi, risvegliandomi dallo stato di trance in cui mi trovavo poco fa. Oggi non capisco Kyle... 'perché?' Vorrei chiedere, ma il respiro mi si blocca in gola e gli occhi gonfi iniziano a bruciarmi.

«Prima di andare...» mio fratello inizia a parlare con una voce debole quasi impercettibile, ma io non riesco nemmeno a rivolgergli uno sguardo. «...Ti dobbiamo raccomandare una cosa.» mio padre mi mostra la foto di un ragazzo. Un ragazzo che ho già visto. Un ragazzo che mi ha portato a casa ieri sera. Spalanco gli occhi e guardo Kyle che subito deglutisce, rivolgendomi uno sguardo sconvolto. Ha i capelli castani chiari con un ciuffo che gli ricopre la fronte, gli occhi piccoli e castani e una bocca sottile. Ha anche delle piccole fossette ai lati delle sue labbra. Lo conosco. È lui. È lui che mi ha portato a casa ieri sera.

«Lui è Ander Harris. Devi stare assolutamente lontana da lui.»

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