15. Amore.
Credo che non ci sia un momento preciso in cui si può decretare di provare qualcosa per qualcuno. Avviene tutto così, all'improvviso. Le emozioni ti travolgono facendoti perdere la lucidità. Il cuore sembra battere così forte che, all'inizio, hai quasi paura possa scoppiare all'interno del petto. Anche le minime cose vengono viste da un'altra angolazione.
Non so il momento preciso in cui ho iniziato a provare ciò che provo nei suoi confronti, ma so che ora non potrei più farne a meno, nonostante il suo passato, nonostante il suo carattere. Non so se questo possa definirsi amore.
L'amore, per me, è sempre stato un qualcosa di grande, forse troppo. La distruzione del legame che avevo con Taylor, mi ha fatto diventare più cinica, più fredda, più realista...così tanto che mai avrei potuto pensare di ritrovarmi nuovamente in questa situazione: con la testa tra le nuvole e il cuore che batte come un forsennato alla vista dei suoi piccoli occhi castani. Non hanno nulla di speciale, in fondo. Non sono blu come il mare o grigi come le nuvole in pieno temporale, ma hanno un non so che di speciale. Forse semplicemente perché sono suoi. Al loro interno, non mi vedo come sono in realtà. Mi vedo migliore, mi vedo più bella e quasi mi piaccio anche io.
Continua ad osservarmi le labbra, per paura che potessero sfuggirgli. Non andranno mai via, vorrei dirgli. Sono qui per te, continuerei, ma il suo sguardo su di me mi fa venire i brividi, anche senza sfiorarmi o toccarmi. Brucia come fuoco sulla pelle e, anche se non ho mai sopportato il caldo, questa sensazione mi piace parecchio.
Quel bacio ha scatenato in entrambi, ma soprattutto nei suoi occhi, un uragano di emozioni indecifrabili. So solo che mi guarda come non ha mai fatto, che mi sento così nuda ora che ce l'ho davanti che mi copro il petto con le braccia. Ander mi accarezza il viso cercando di rassicurarmi, ma la situazione continua a peggiorare, anziché migliorare. Siamo ancora sull'amaca, con i respiri corti dai baci che ci stanno consumando le labbra.
Si alza, all'improvviso, cercando una porta nel retro della casa in cui viveva anni fa. Tolgo le braccia dal petto e mi alzo anche io, seguendolo. Quando lo vedo è lì, con le mani sporche di terreno mentre scava in un punto al di sotto il centro del tappeto posto ai piedi della porta sul retro di fronte alla quale ci troviamo.
«Avevamo sempre una chiave di scorta seppellita nel prato sotto al tappeto.» abbassa lo sguardo sul terriccio che gli copre le dita lunghe. «Lo sapevamo solo noi tre.» sussurra, poi, fermandosi per un secondo, con occhi smarriti nel vuoto. Mi accovaccio anche io, per aiutarlo. Lui mi osserva attentamente mentre mi accovaccio sul suo stesso punto. In questo momento, abbiamo entrambi le nostre mani sporche di terriccio alla ricerca di una chiave. Ander mi guarda intensamente e il mio cuore inizia a scalpitare nel petto. Abbasso lo sguardo verso il punto in cui stava scavando Ander, continuando a fare ciò che stava facendo pochi secondi fa, anche se mi sento gli occhi addosso. I suoi.
Il ragazzo al mio fianco, riprende con la ricerca e, pochi minuti dopo, con le mani sporche e il suo sorriso luminoso, ci accorgiamo che l'abbiamo trovata. Si alza velocemente, smanettando vicino la porta per poter entrare in casa. Sembra uno di quei film in cui gli adolescenti cercano di entrare in case altrui per trovare delle prove compromettenti contro qualcuno. Dopo vari tentativi ed io che sto in silenzio con la testa inclinata verso destra, Ander riesce ad aprirla. Si gira verso di me. Mi sorride, con un sorriso così grande quanto tutta la casa, quando, alla fine, riesce a farcela. Un sorriso così caldo e dolce, così raro che spunti su quel viso da finto duro.
«Ti va di entrare con me?» mi chiede, dolcemente. Non so bene cosa dire. Dovrebbe essere un passo che dovrebbe fare da solo. È stata una parte importante della sua vita, questa casa. È giusto che si prenda un tempo per sé stesso.
«Credo sia meglio che tu lo faccia da solo.» con ancora la chiave tra le mani, si dirige verso di me.
«Vorrei che venissi anche tu.» mi prende la mano destra, intrecciandola con la sua.
«Sicuro?» di tutta risposta si avvicina a me, con i suoi occhi ancora incastrati nei miei. Posa delicatamente le sue labbra sulla mia fronte.
«Sicurissimo.» pronuncia, in quella posizione. La tenerezza nella sua voce, nel suo sguardo e nei suoi occhi mi fa svolazzare centinaia di farfalle nello stomaco, che sto cercando, con scarsi risultati, di tenere a bada. Ma è molto difficile, avendolo qui davanti a me.
Mi prende per mano, allontanandosi e dirigendomi verso la porta bianca della casa. Sospira, profondamente, mentre io vorrei dirgli semplicemente che sono qui per qualsiasi cosa, anche se tutto gli sembrerà troppo pesante.
Gira il capo nella mia direzione, come se volesse trovare nelle mie iridi il coraggio di farlo, il coraggio di riaprire una porta rimasta chiusa per un bel po', come se volesse tornare, in qualche modo, a quando era bambino, nonostante abbia il cuore pesante per tutto ciò che ha combinato. A volte, vorremmo ritornarci un po' tutti a quei tempi e viverci l'ingenuità di quel momento; ma, per Ander, in quel periodo non c'era ingenuità, solo forza e solitudine. Il fatto che lui, in questa casa, possa rifugiarsi in quel povero bambino di più di dieci anni fa, è una scelta molto forte e piena di dolore, a parer mio.
Gira, nuovamente, la chiave all'interno della serratura e quest'ultima riesce finalmente a sbloccarsi. Prende un respiro profondo e spalanca la porta dell'entrata posteriore. Ciò che si presenta davanti a noi mi fa rimanere a bocca aperta: la sala da pranzo, caratterizzata da un tavolo nero al centro della stanza su cui è riposto un foglio di carta piegato in quattro. Chissà cosa sarà. È contornata da sei sedie dello stesso materiale della porta che abbiamo aperto poco fa, verniciato di nero, e la cucina, perfettamente intatta e lucidata come se ci vivesse tutt'ora qualcuno al suo interno, dello stesso colore del tavolo e delle sedie, risaltano a causa delle pareti bianche e grigie che le contornano. Dall'altra parte della stanza, invece, vi è un enorme televisore di fronte al quale vi è un divano di pelle bianco a forma di U. La libreria, posta ai lati della scala che porta alle camere da letto e al bagno, è anch'essa bianca e nera, come tutto il resto in quest'ambiente openspace, d'altronde.
La casa, stranamente, è perfettamente in ordine. Anche Ander ne è sorpreso, perché spalanca gli occhi così tanto che sembra gli possano uscire dalle orbite. Evidentemente, quando l'aveva lasciata non era proprio così.
«I-io...non ho parole.» entra al suo interno con le mani che gli scendono lungo i fianchi coperti dal jeans nero che indossa. Guarda, in silenzio, ogni singolo dettaglio ed io faccio lo stesso, restando a bocca aperta per quanto sia bella. La casa sarà si e no grande almeno novanta metri quadrati, se non di più. Entrambi gli ambienti sono enormi, così tanto che sembra che la voce rimbombi.
«C'è qualcuno?» urla il mio compagno, non ricevendo risposta mentre io continuo ad osservare la bellezza della cucina. Con la coda dell'occhio noto che Ander sta leggendo qualcosa; sarà sicuramente il biglietto che si trovava sul tavolo.
«È di zia Mery.» mi avvicino a lui che, ora ha gli occhi lucidi per l'emozione. Ripone il foglio sulla tavola, sporco a causa dei suoi polpastrelli ricoperti di terriccio, facendomelo leggere.
"Ciao Ander,
Spero che tu stia bene. So il perché non sei tornato più da me, facendomi preoccupare infinitamente. So che non avresti mai fatto del male ad Ethan. Kyle mi ha raccontato tutta la verità. Ti ho perdonato, anche Ethan l'avrà sicuramente fatto, e sappi che aspetto un tuo ritorno a braccia aperte per raccontarci tutto, come una volta.
Credo tu abbia cambiato numero, perché ho provato a chiamarti più volte senza successo. L'ultima sponda è questa. Ho pulito la casa, sperando tu possa ritornarci a vivere più sereno di quanto lo eri quando l'hai abbandonata. Vorrei venissi da me, nel caso in cui tornassi in questa dimora. Abbiamo tanto di cui parlare. Mi manchi tanto. Ti voglio bene.
Tua, Zia Mery."
Le lacrime mi scorrono sul viso alla vista di quello splendido messaggio che zia Mery gli ha lasciato. Chissà da quanto tempo è qui. Chissà se zia Mery viene a controllare la casa.
«Dovrò andarci, in questi giorni.» annuisco, con vigore.
«Dovresti.» mi sorride, piegando e sistemando il foglio nella tasca dei suoi pantaloni. Poi, si sciacqua le mani all'interno del lavandino in acciaio ed io copio il suo gesto, strofinando le mani su uno strofinaccio che mi porge quando ha terminato di asciugarsele.
«Vieni, ti porto a vedere la mia camera.» mi prende per mano e corre verso le scale, col rischio che possiamo farci male. L'adrenalina e la corsa sfrenata di Ander mi fa ridere a crepapelle, facendo sì che mi spuntino delle lacrime agli occhi. Gli urlo più volte di lasciarmi andare, in preda alle risate, ma lui non lo fa. Una volta salite le scale, un lungo corridoio si presenta dinanzi a noi. A sinistra c'è un'enorme camera chiusa a chiave. Ander si ferma dinanzi ad essa, deglutendo.
«Non sono ancora pronto per questa stanza.» arrivo, quindi, alla conclusione che questa sia la camera dei suoi genitori. È già un enorme passo essere qui, e sforzarlo di farne uno altrettanto grande è una cosa impensabile. Ciò che sta facendo e la volontà che ci sta mettendo nel farlo è impressionante.
«Non devi farlo ora. Lo farai quando sei pronto.» gli appoggio le mani sulle spalle, lui annuisce, mantenendo il capo basso e fissandosi le scarpe che indossa.
«Grazie per esserci.» mi ripete, nuovamente, come qualche ora fa. Prendo finalmente coraggio e glielo dico:
«Ci sarò sempre per te.» mi fissa le labbra e si avventa su di esse, come un leone che sta osservando la sua preda e trova il momento giusto per attaccarla.
Le anime e i nostri corpi bollenti propagano fiamme per tutto il corridoio, così tanto che, se si potesse, si brucerebbe anche il pavimento. Ander inizia a toccarmi i capelli, stringendomi più forte a sé. Mi alza di peso, prendendomi tra le braccia a mo' di principessa. Se fosse stato un'altra persona, mi sarei fatta mille paranoie a causa del fatto di essere più in carne: gli avrei detto di mettermi giù e che sono pesante. Ma, per la prima volta in ventidue anni di età, non mi succede. Non so se è perché è lui, ma le mille paranoie che di solito mi faccio, scompaiono come fa la neve al sole, sciogliendosi.
Mi stende su un letto dal materasso morbido e solo ora mi accorgo di essere in una stanza dalle pareti blu e dai mobili bianchi. Sicuramente è la sua. Ha foto di lui da piccolo sparse un po' dappertutto. Tra queste ce n'è addirittura una in cui mangia la nutella con le mani; avrà almeno un annetto in questa foto. Non riesco a vedere tanto quanto vorrei della sua stanza, perché, all'improvviso, credo di trovarmi davanti la scena più bella che abbia mai visto: Ander mette in mostra i suoi muscoli perfetti, sfilandosi la maglia. Lì, capisco che non mi interessa di cosa ci sia all'interno della sua camera. Per un attimo, mi sento completamente paonazza e credo che lui se ne sia accorto, perché ride, dandomi un bacio sulla fronte. Si fa cadere al mio fianco, mentre io mi stranisco da questo suo comportamento.
Decido, quindi, di avventarmi io sulle sue labbra. Mi posiziona su di sé, facendomi mettere a cavalcioni. Si stacca da me, ansimante.
«Sei sicura?» mi chiede titubante, con il suo amichetto premuto contro le mie parti intime. Ridacchio per la situazione e, per la prima volta da quando lo conosco, mi sembra di aver visto Ander arrossire. Di tutta risposta, gli bacio il collo e mi sfilo la maglia. Dopo pochi minuti, prende un preservativo dal portafoglio e scivola dentro di me, ribadendo, ancora una volta da quando siamo insieme, quanto sia bella.
Non so qual è stato il momento in cui mi sia sentita così felice e bellissima agli occhi di qualcuno, forse non è mai successo. Ora, invece, sento milioni di scariche elettriche nell'aria mentre il suo corpo è dentro il mio. Milioni di scosse indecifrabili createsi grazie alla forte passione che c'è tra noi, milioni di scosse che mi portano a pensare che effettivamente tra noi due c'è qualcosa, qualcosa che può definirsi amore.
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