10. Domande senza risposta.

Di fronte a me c'è la persona che mai mi sarei aspettata di rivedere dopo due infiniti anni, quella che mi ha fatto nascere e morire insieme. Colei che mi ha portata in grembo per nove mesi ventuno anni fa; colei che ho visto piena di lividi violacei sulle gote e con le lacrime agli occhi per la sofferenza di ciò che stavamo vivendo io e mio fratello a causa di mio padre, ma che, col passare degli anni, non ha mai deciso di dire basta a tutto ciò. È lei che mi ha dato la spinta finale in questo periodo, facendomi cambiare totalmente, perché, in fin dei conti, quando ne avevo bisogno, lei non c'era. Non ci è mai stata.

Quando avevo bisogno di protezione, c'era Kyle; quando avevo bisogno di un consiglio, c'era sempre Kyle; quando avevo bisogno di qualcuno che mi sorreggesse perché stavo per crollare per il troppo dolore, c'era ancora una volta Kyle che cercava di prelevare un po' del mio dolore per unirlo al suo e portarlo sulle spalle come un fardello pesante quanto il mondo intero. C'eravamo noi, ci siamo sempre stati. Io e mio fratello.

Le rughe le contornano gli occhi verdi diventati ormai scuri come il bosco che circonda il luogo in cui ci troviamo, facendola sembrare più vecchia di quanto sia in realtà. I segni delle sofferenze si notano dalle sue occhiaie scure e dal volto stanco; le sue iridi sono ormai spente, non più come quelle di una volta, non trasmettono nemmeno la forza di un tempo. Sono solo stanchi e sofferenti. Ha delle rughe anche intorno alle sottili labbra pallide, mentre i suoi capelli castani sono diventati più corti dall'ultima volta che li ho visti. Alcuni capelli bianchi le spuntano dalla radice. Deglutisco nel vederla, senza fiato.

Indossa una maglia celeste polvere e dei jeans scuri. Sembra vestita di tutto punto, e, nonostante le sue occhiaie, ammetto che mi fa una certa rabbia vederla. Ci ha abbandonato al nostro destino circa due anni fa, pur sapendo cosa stesse combinando mio padre nel quartiere. Se non ci fosse stato mio fratello, io che fine avrei fatto? Probabilmente sarei entrata nel giro di papà, diventando qualche sua fattorina o addirittura la sua assistente personale. Mi viene un senso di vomito al solo pensiero. Vorrei urlarle contro tutto il male che mi ha provocato, ma non riesco nemmeno a parlare ora. Provo solo delusione.

«Tesoro...» cerca di abbracciarmi, spalancando le braccia e dirigendomi verso di me. Mi scosto, indietreggiando, ignorando il fatto che possa ferirla. Non mi importa. Lei lo ha fatto con me, senza pensarci neanche un secondo. Ha lasciato che mio padre facesse quello che voleva di noi. La rabbia mi ribolle fino alla cima dei capelli. Serro i pugni. Se fossi in un cartone animato, in questo momento sarei raffigurata come un personaggio dal volto rosso e dal fumo che le esce per le orecchie.

«Non ti sei fatta vedere per due anni...» serro la mascella, iniziando a sentire il ronzio delle orecchie. Le mie labbra carnose si piegano in una linea dritta, per trattenermi dal piangere davanti a lei. Non se lo merita. Io non mi merito tutto ciò. Purtroppo, le emozioni mi tradiscono, facendo sì che una lacrima solitaria percorra il mio viso profumato di crema al cocco che ho applicato prima che Ander tornasse. Con un gesto di stizza, la rimuovo velocemente per evitare che nessuno se ne accorga, ma non credo abbia funzionato. Mi giro di spalle, evitando che mia madre veda che sto per crollare e tiro su col naso. Ancora non riesco a crederci che sia qui.

«Ma...»  la sento avanzare di due passi, mentre il cigolare della porta che si chiude è l'unico rumore presente nella stanza. Mia madre s'interrompe, non sapendo come continuare. E ci credo. Come si fa a giustificare tutto il male che ha fatto? Sento le mani di Ander posarsi delicatamente sulle mie spalle, mentre la interrompe.

«Mi scusi se mi intrometto, signora Handerson, ma forse Breanna ha bisogno di metabolizzare quanto successo...» lo ringrazio mentalmente per questo intervento. Non può nemmeno immaginare quanto ne avevo bisogno. Si avvicina al mio orecchio, provocandomi dei brividi quando le sue labbra sfiorano il lobo del mio orecchio: «Vuoi riposare?» mi chiede dolcemente ed io annuisco, con le lacrime che continuano a contornare il mio viso. Lui non si sporge per asciugarle. Capisce che è un mio momento e quindi sta in silenzio e, onestamente, preferisco che sia così. Toglie le sue grandi mani dalle mie spalle, lasciandomi libera di andare in camera o dovunque io voglia. La donna dietro di me, invece, non proferisce parola e, con la coda dell'occhio, noto che ha lo sguardo basso e che si sta guardando le unghie rosse.

Pochi secondi dopo mi ritrovo in quella che ormai è diventata camera mia. È un po' cambiata dall'ultima volta: Ander mi ha portato a comprare degli oggetti per «renderla più mia», così aveva detto. Ho comprato un comodino di legno con su un abat-jour color panna, un tappeto pieno di piume dello stesso colore ed uno specchio lungo circa centocinquanta cm a forma rettangolare progettato per essere appoggiato a terra. Non cambia molto, lo so, ma dà un aria più accogliente.

Mi butto sul letto dalle lenzuola stropicciate, noncurante di come appare per chiunque entri da quella porta. Mi chiedo il perché lei sia qui, perché non si sia fatta vedere né sentire, perché ci ha abbandonato. Ma soprattutto, come ha fatto a trovarmi e perché è tornata? Sbuffo, portandomi le mani agli occhi per coprirli. Sono così stanca di tutti questi misteri che circondano la mia vita e la mia famiglia. Vorrei solo sapere la verità, nient'altro che la verità. Istintivamente, scrivo un messaggio a Kyle per informarlo della notizia:

BREE: È tornata la mamma.

Aspetto una sua risposta, che arriva dopo un'oretta, mentre sto per guardare un film che ho trovato dopo minuti di ricerca su Netflix:

KYLE: Lo so. L'ho fatta venire io.

Leggo più volte il messaggio, sperando di aver sbagliato a leggere, ma inutile dire che purtroppo non è così. In che senso l'ha fatta venire lui? Sapeva dov'era? E, soprattutto, l'ha incontrata? Quando? Non capisco cosa diamine sta succedendo e perché ne sia tagliata sempre fuori. Non sono più una bambina. Diavolo, ho ventuno anni, perché mi trattano sempre come tale? Digito velocemente i messaggi di risposta a mio fratello, come se fossi una forsennata. La rabbia mi sta divorando.

BREE: Sapevi dov'era tutti questi anni e non me l'hai detto?

BREE: E io scema che ti ho assecondato nella sua ricerca.

BREE: Sono stufa di non sapere nulla.

BREE: Perché mi tratti come una bambina?

BREE: Che diavolo ho fatto per non essere partecipe di ciò che accade nella mia famiglia?

Butto il telefono al mio fianco mentre mi alzo strattonandomi i capelli castani. Me li lego velocemente in uno chignon basso e poso le mani sui fianchi. Mi rifletto nello specchio che ho comprato pochi giorni fa: il mio viso è solcato di lacrime che contornano i miei occhi amareggiati. Mi sento esclusa dal mondo. Le mie enormi braccia sono poste sui miei fianchi coperti da una maglia grande tre volte la mia taglia, al di sotto della quale indosso un pantaloncino bianco di Kyle di quando giocava nella squadra di football. Continuo a squadrarmi e, ancora una volta nella mia vita, la vista del mio corpo non mi piace per niente. Vorrei solo sparire. Il cellulare vibra sul mio letto e distolgo lo sguardo da me per rivolgerlo all'aggeggio illuminato. Mi dirigo verso di lui, prendendolo e resto impietrita dalla risposta di mio fratello.

KYLE: Bree, non andare in escandescenza, ti prego. Te ne parlerò presto. Anche Ander sa tutto, ma voglio dirtelo io di persona.

«Ander sa tutto». Rileggo quella frase più volte. Che cosa cazzo mi stanno nascondendo e perché Ander sa gli affari della mia famiglia ed io no? Ormai sono più arrabbiata che mai e, istintivamente, mi dirigo fuori dalla porta camminando come una forsennata per tutta la casa alla ricerca del ragazzo in questione. Il telefono continua a vibrare tra le mie mani e mi fermo improvvisamente nel corridoio che porta alla stanza del mio protettore per leggere le parole di mio fratello:

KYLE: Non prendertela con lui, sono io che gli ho detto di tenere la bocca chiusa.

KYLE: Ci vediamo tra due settimane. Resta con mamma ed Ander. Buonanotte.

Blocco lo schermo dell'affare che ho tra le mani, senza rispondere. Apro senza bussare la porta del ragazzo che sto cercando, restando sbalordita: lo trovo con un asciugamano che gli copre la vita lasciando intravedere il suo inguine, mentre con l'altra si scuote i capelli per liberarli dall'acqua. Alcune gocce gli cadono sui pettorali e sugli addomi ben definiti, formatisi grazie ad anni di palestra. Non credo mi abbia visto, perciò sbatto la porta chiudendola con rabbia. Ci troviamo solo io e lui, in una situazione alquanto bizzarra che, se fosse successo in un altro momento probabilmente si sarebbe svolta in un altro momento. Si gira verso di me, perplesso e aggrottando le sopracciglia.

«Allora? Non si bussa neanche?» continua a toccarsi i capelli bagnati con l'asciugamano e alcune goccioline cadono sul pavimento in legno, lo stesso materiale di cui è composto la maggior parte del bungalow. La luce fioca della stanza sembra illuminare solo lui e il suo viso perfettamente squadrato. Inarca un sopracciglio, attendendo una mia risposta. Cerco di guardarlo negli occhi, evitando di puntare lo sguardo sull'asciugamano che porta in vita e incrocio le braccia.

«Puoi vestirti? Dobbiamo parlare.» aggrotta nuovamente le sopracciglia, facendomi infuriare. Sbatto un piede per terra, cosa che lo diverte in quanto alza un angolo delle sue labbra formando una piccola fossetta a destra. Alzo gli occhi al cielo, poi lo fulmino con lo sguardo. Solo ora noto che ci sono due ciocche di capelli che mi ricadono di fronte agli occhi. Sbuffo, fissandole.

«Che succede?» mi chiede, come se non avesse ascoltato cosa gli ho detto. Deposita la spina del phon in quella della corrente, continuando ad ignorarmi e lancia l'asciugamano che stava usando poco fa per i capelli nel lavandino del bagno che ha nella sua camera. Lo squadro da capo a piedi e solo ora mi accorgo che il tatuaggio che ha sulle gamba destra è un disegno astratto che gli occupa metà gamba. Mi chiedo se abbia un senso, ma poi torno subito in me.

«Puoi vestirti, per favore?» gli ripeto ancora. Stavolta lo trovo a fissarmi, mentre mi ascolta. Finalmente. Alza gli occhi al cielo, poi si dirige verso la cassettiera prendendo uno slip nero, un pantaloncino bianco e sparisce nel bagno che si trova nella sua stanza, tornando circa due minuti dopo. Ha i capelli ancora bagnati che gli ricadono sulla fronte abbronzata.

«Che succede?» ripete di nuovo, scostandosi i capelli dal viso. Gli faccio cenno di sedersi e gli butto il mio telefono sul letto con la chat di Kyle aperta. Lui, dopo aver letto i messaggi, mi guarda senza espressione. «Sì, e quindi?» chiede con nonchalance e ciò mi fa imbestialire ancora di più. Come si permette? Gli vorrei fare così tante domande, ma la sua risposta mi innervosisce.

«E quindi?» ripeto scioccata sedendomi di fronte a lui, mettendo con forza le mie mani sulle cosce, senza rendermi conto di averle schiaffeggiate. Si arrossano leggermente nel punto su cui avevo deposto le mani pochi secondi fa. «È tutto ciò che sai dire?» stringo i pugni, mentre lui non fa altro che fare spallucce. Serro la mascella, notando la sua strafottenza. È questa la cosa che non sopporto di Ander: il suo bipolarismo. Più di un'ora e mezzo fa eravamo felici e contenti, finché il ritorno di mia madre mi ha sconvolto. Mi ha ''salvato'' dalla chiacchierata con mia madre ed ora mi risponde con fare freddo e scostante, nonostante abbia notato che nell'arco di queste due settimane, sia stata così male per la mia situazione familiare, per Taylor e per la mancanza di Kyle.

Il suo sguardo muta, diventando compassionevole e credo sia peggio di quello strafottente.

«Mi dispiace, Breanna, ma sono dell'idea che non sia io a doverti raccontare cosa succede nella tua famiglia, in quanto non ne faccio minimamente parte.» faccio una smorfia, ferita. D'altronde ha ragione, ma non so perché mi sta ferendo così tanto sentirmelo dire da lui. Una risata amara fuoriesce dalle mie labbra carnose, simili a quelle di uno degli uomini che più odio in questo momento.

«Lavorate tutti per lui, vero?» sbotto, ma lui non risponde. Si limita solo a fissarmi. Il suo sguardo diventa così insistente sulla mia pelle, che non lo sopporto neanche più. Faccio una smorfia disgustata. «Lo sapevo!» gli punto l'indice contro e mi alzo, dirigendomi verso la porta. Sbuffo, passandomi una mano tra i capelli, rovinando il mio chignon fatto precedentemente. Pensavo che sarebbe stato diverso, che Ander sia diverso. Pensavo che ''lavorasse'' per mio fratello...non per mio padre.

Improvvisamente cambia espressione, diventando deluso, mentre ha tra le mani il mio cellulare bagnando lo schermo illuminato. Fissa lo schermo per secondi che sembrano interminabili. I suoi occhi castani sembrano diventati ardenti quanto il fuoco. Il suo viso si tinge di rosso e la vena sul collo inizia a pulsargli costantemente. Mi sporgo per vedere cosa sta guardando sul mio cellulare e mi si secca la gola; in quello stesso momento si gira verso di me e mi guarda, spalancando gli occhi, furioso. Il suono che riecheggia nella stanza, in questo momento, è il battito del mio cuore che continua ad aumentare sempre di più, finché non pronuncia quella domanda:

«Perché cazzo hai mandato un messaggio a quello stronzo psicopatico del tuo ex?»

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