Insieme
Osservai con curiosità la figura che stavo creando sul foglio. Era quella di una ragazza sdraiata a pancia in giù sull'erba, che leggeva un libro.
Lanciai un'occhiata sopra al blocco da disegno per guardare la persona che stavo usando come modello a sua insaputa. Mi ricordavo che si chiamava Olivia, benché ci avessi parlato solo un paio di volte. Lei e una sua amica stavano leggendo fianco a fianco.
Tornai a guardare il mio bozzetto a matita. Non era male, le pieghe delle braccia erano naturali e l'erba mi sembrava più realistica del solito. Stavo giusto pensando a come sistemare i dettagli del volto, quando una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare.
- Jennifer! -
Mi voltai di scatto, per poi alzarmi precipitosamente in piedi quando vidi che davanti a me c'era la professoressa Sullivan.
- Buongiorno, prof. - le dissi, per poi chiedermi mentalmente se ormai non fosse arrivata l'ora del Buonasera.
Lei però replicò frettolosamente: - Scusa se ti disturbo, ma avrei bisogno di te. Ci sono due ragazzi nuovi, William ed Elizabeth, e avrei bisogno di qualcuno che mostri loro i dormitori. Ti va? -
Avrei voluto rispondere che no, non mi andava, ma pensai che non fosse il caso. Così mi limitai ad annuire educatamente e chiedere: - Dove posso trovare i due ragazzi? -
- Nell'atrio. - mi rispose lei.
- Okay. Vado subito. -
- Grazie, Jennifer. -
Mi allontanai con il blocco sottobraccio. Per quanto fossi curiosa di vedere i ragazzi nuovi, non avevo molta voglia di parlare con due sconosciuti.
Dovetti attraversare mezza Accademia, evitando con cura le altre persone, prima di arrivare nell'atrio principale. Lì notai subito due ragazzi dall'aria smarrita che si stringevano l'uno all'altra in un angolo.
Il ragazzo, William, era più alto e aveva i capelli rossi e arruffati, mentre Elizabeth aveva un caschetto scuro che le incorniciava il viso pallido. Avevano tutti e due gli occhi grandi e verdi, il naso piccolo e la faccia coperta di lentiggini. Nonostante i capelli così diversi, si assomigliavano. Probabilmente erano fratelli.
Mi avvicinai a loro con passo malfermo. Cos'avrei dovuto dire? Non ne avevo idea, ad essere onesta.
Mi decisi ad aprir bocca solo quando fui a mezzo metro da loro. Presi un bel respiro e dissi: - Ciao. -
Loro parvero notarmi solo allora. Entrambi sgranarono gli occhi, fissando qualcosa al di sopra delle mie spalle. Solo in quel momento mi ricordai di avere due grandi ali bianche e piumate, al contrario delle persone normali.
William però si riprese subito, mi rivolse un sorriso e rispose: - Ciao. Sei tu che devi mostrarci i dormitori? -
- Se voi siete William ed Elizabeth, sì. -
Al suono dei loro nomi entrambi fecero una smorfia.
- Ti prego, chiamaci Bill e Beth. - sbuffò la ragazza.
Battei le palpebre un paio di volte prima di riuscire a rispondere: - Oh, okay. Va bene. Vi... Vi accompagno su, allora. -
Girai sui tacchi e mi diressi verso la scala di marmo che portava al piano superiore, senza voltarmi per vedere se i due mi stessero seguendo. Mi bastò il rumore dei loro passi e delle valigie trascinate.
- Ehi. - fece Bill affiancandomi. - Non fare caso ai modi di Beth, è fatta così. Un po' scorbutica. -
- Non è vero! - esclamò la diretta interessata, che era appena dietro di noi.
Invece che rispondere qualcosa, mi venne da chiedere: - Siete fratelli? -
- Gemelli. - specificò Bill.
- Purtroppo. - aggiunse Beth.
Bill si girò a lancarle un'occhiataccia.
Mi venne istintivamente da sorridere.
- Ma tu come ti chiami? Non ce l'hai detto. - mi fece notare lui.
- Jennifer. Ma va bene anche solo Jenny. -
- E, Jenny, quanti scalini dobbiamo fare ancora? - brontolò Beth dopo qualche attimo di silenzio. - Per ora ne ho contati centoventiquattro. Manca molto? -
- Mh, un po'. - risposi facendo spallucce.
Salimmo scale e attraversammo corridoi ancora per un po', poi finalmente arrivammo a destinazione. Una grossa porta in legno con sopra scritto DORMITORI ci stava davanti. La aprii. Dava su una stanza circolare, sul cui perimetro erano distribuite altre dieci porte, ognuna con una macchia di colore sopra.
- Se volete ci sono delle camerate tutte maschili e tutte femminili. Se no, quelle miste. Tanto per cambiarci di solito andiamo nei bagni. Ogni camerata ne ha tre. E in ogni stanza ci sono dieci posti. - spiegai velocemente.
I gemelli si scambiarono un'occhiata.
- Tu dove stai? - chiese Bill.
Io indicai la porta con la macchia blu. - In quella. È mista e siamo solo in sei. -
- Va bene lì. - disse Beth senza tanti complimenti.
Ci avvicinammo alla porta e io la spalancai.
La stanza era sempre la stessa. Pareti blu, pavimento di legno, cinque letti a castello, due grandi finestre da cui entrava la delicata luce del sole e i tre bagni sul fondo.
- Benvenuti. Non credo sia difficile capire quali letti sono liberi. - dissi guardando per terra - Sistematevi pure. Io vado... -
- Tu non vai da nessuna parte. - mi interruppe Beth. - Mica mi ricordo la strada, io. So solo che abbiamo fatto più di duecento scalini. -
- Non volevo distur... -
- Non ci disturbi, Jenny. Tranquilla. - fece Bill trascinando la valigia vicino ad un letto libero. - Anzi, se dopo ci fai vedere da che parte si va per raggiungere gli altri posti ci farebbe piacere. Se per te non è un problema, chiaro. -
No, non era un problema, visto che non avevo niente da fare e i gemelli non mi infastidivano. Non capivo però perché sembrassero gradire la mia compagnia. Anche più tardi, mentre li accompagnavo per l'Accademia, continuarono a parlarmi (sopratutto Bill, perché Beth sembrava un po' meno incline alle conversazioni). Mi raccontarono di aver da poco scoperto di avere dei poteri: lui poteva controllare il fuoco, lei l'acqua. Poi chiesero qualcosa a me sulle mie ali, ed io spiegai brevemente che le avevo dalla nascita, e che probabilmente era a causa loro se ero stata abbandonata da piccolissima davanti alla porta dell'Accademia. Feci fare loro un salto nelle cucine, dove Margaret, una simpaticissima cuoca con le orecchie e la coda da volpe, mi salutò allegramente e ci lasciò prendere dei muffin ancora caldi.
All'ora del tramonto li trascinai in giardino a guardare il sole calare ed incendiare il cielo. Era uno spettacolo meraviglioso e da lì si vedeva benissimo.
Era la prima volta che passavo un'intero pomeriggio con qualcuno. Ero uno spirito solitario, ero timida, ero introversa. Non risultavo particolarmente interesse agli occhi degli altri, di solito. Eppure Bill mi aveva assillata con le sue chiacchiere per ore e Beth mi aveva sempre osservata con curiosità.
Forse, dopotutto, stare con gli altri non era così male. Bastava trovare le persone giuste.
Tre anni dopo
- BILL! - esclamai arrabbiata.
Il mio migliore amico mi aveva appena strappato di mano il blocco da disegno (facendomi tra l'altro fare una brutta riga in matita sulla carta bianca) e si era messo a correre per il giardino. Mi alzai per inseguirlo, ma avevo praticamente appena mangiato e mi sentivo davvero stanca. Nonostante ciò lo rincorsi per un tratto, prima di fermarmi scocciata. Incrociai severamente le braccia e guardai Bill saltellare con il mio blocco in mano, cinque metri più in là.
- E dai, già ti arrendi? - mi urlò sorridente.
- Fa bene. - gridò Beth, che era ancora seduta accanto a dov'ero io poco prima. - Tanto tra due minuti le ridarai quel coso, poco ma sicuro. -
- Il coso è il mio amato blocco da disegno. - ci tenni a sottolineare io.
- Sì, sì, fatto sta che Bill lo conosco. -
- Anche io. - ridacchiai in risposta.
Tornai quindi a sedermi accanto a Beth, all'ombra di un albero dalla corteccia scura e dalle foglie lucenti. Dopo poco, Bill ci raggiunse.
- Così però non è divertente. - si lamentò restituendomi il blocco.
Beth mi rivolse un'occhiata che diceva chiaramente: Che ti avevo detto?
Io tirai fuori una gomma dalla tasca e iniziai a cancellare la brutta riga di matita che avevo tracciato per errore. Con un po' di pazienza riuscii a sistemare tutto e ripresi a disegnare l'ala Ovest dell'Accademia.
Bill si sdraiò sull'erba, sospirando. - Ma non ti stanchi mai di disegnare? -
- No. - risposi candidamente. - Tu invece non ti stanchi ma di fare lo scemo? -
- Ehi! - esclamò lui. - Mi reputo offeso. -
Beth scoppiò a ridere.
Erano passati tre anni da quel pomeriggio soleggiato in cui li avevo conosciuti, in cui mi ero sentita per la prima volta un po' meno sola. Da allora ci eravamo avvicinati sempre di più e i gemelli erano diventati i miei migliori amici. Quei due significavano tutto per me. Erano la famiglia che non avevo mai avuto, erano la mia ancora e la mia casa. Mi avevano tirata fuori da un mondo di solitudine in cui mi limitavo ad osservare la vita. Ora la stavo vivendo davvero.
Così, quando Bill si unì alla risata della sorella, risi anch'io. Risi fino a sentir male alla pancia e ai muscoli facciali. Risi di cuore, perché con loro ero felice.
Angolino autrice
Sì, sono viva. Pazzesco. Scusate se questa raccolta è un po' morta, ma ultimamente non ho proprio idee. Infatti questo racconto l'ho scritto per la scuola, pensate un po'. Però boh, mi sembrava carino, quindi l'ho pubblicato per far resuscitare almeno per un momentino 'sta storia.
E niente, spero che vi sia piaciuta :3
~Sof
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