𝑽𝑬𝑵𝑻𝑰𝑺𝑬𝑻𝑻𝑬
𝑽𝑬𝑵𝑻𝑰𝑺𝑬𝑻𝑻𝑬
Stretta nella sua giacca di jeans chiaro, si voltò un'ultima volta verso l'edificio.
Lontano da quel cancello, alto diversi metri e di un bianco sporco, riusciva ancora a scorgere la mano di Helene muoversi in aria con l'intento di salutarli fino a quando non fossero usciti dal suo campo visivo.
Anneka sospirò profondamente, riportando poi lo sguardo verso la strada.
Alla guida dell'Alfa Romeo 6C del 1947 c'era Edgar, con i capelli perfettamente ordinati grazie alla cera lucida, la barba corta ma elegante e un paio di occhiali da sole Ray-Ban a coprirgli gli occhi azzurri. Accanto a lui e con uno stile totalmente diverso, molto più sportivo e giovanile, c'era Levi. Indossava anche lui un paio di occhiali da sole e osservava tranquillo il bosco che li circondava, mentre tra le mani stringeva una vecchia edizione dell'Iliade di Omero.
«Dovrò pur passare il tempo» aveva risposto quando suo padre gli aveva rivolto uno sguardo ricco di dubbi.
Entrambi, diversamente da lei, erano calmi e quasi emozionati per quel viaggio che avrebbero dovuto affrontare.
Anneka, invece, non faceva altro che rimuginare su ciò che aveva detto Cassian e, soprattutto, sulla discussione avuta con Theon durante la notte.
Non vi erano state urla e tanto meno pianti, ma le parole che si erano scambiati avevano ferito entrambi in modo irrimediabile.
Non vederlo quella mattina e, di conseguenza non averlo salutato per quella che sarebbe potuta essere l'ultima volta, l'aveva da una parte rabbuiata ma, d'altra, comprendeva la sua decisione di tagliare completamente i ponti, almeno per ora.
«Potevi almeno sistemare l'antenna» giudicò Levi, distraendola dai suoi pensieri, girando la piccola manopola alla ricerca della giusta stazione radio che non fosse un gracchio di voci incomprensibili.
Edgar scosse la testa e, tenendo gli occhi fissi sulla strada, afferrò alcune cassette dal vano presente sul cruscotto e le gettò piano sulle gambe del figlio, invitandolo a scegliere quella che più gli piaceva.
«L'importante è che non tocchi nulla» lo rimproverò, sistemando nuovamente la manopola della radio a zero.
Levi preferì non rispondere, concentrandosi sulla cassetta che avrebbe dovuto inserire.
Accompagnati da Beethoven, i tre imboccarono l'autostrada verso l'aeroporto di San Francisco con un grosso peso nel cuore e tante emozioni ad agitare lo stomaco.
Alcune ore prima, Accademia di Lostwinter
Oggi, giorno della Luna mezzana, Insperia è stata attaccata dal demone Caym.
Numerose sono state le vittime e numerosi i feriti.
La famiglia reale è salva.
-Ray
Cassian aveva letto ad alta voce quel messaggio mandatogli dalla sua guardia personale, così che tutti fossero a conoscenza della verità.
Caym era più vicino di quanto si pensasse; si muoveva in maniere repentina e con una spietatezza mai vista prima d'ora.
Se non si fossero dati una mossa, sarebbero dovuti star pronti a piangere diverse morti, incluse le loro. E questo Cassian lo sapeva bene.
Inevitabilmente, la voce di sua madre, distaccata e sottile come la lingua di un serpente, si insinuò nella sua mente, accompagnata con un uno dai tanti rimproveri che gli avrebbe elargito solo per farlo sentire ancora più inadatto a quel ruolo da sovrano.
"Hai preferito organizzare una festa, piuttosto che occuparti del tuo regno"
Lo avrebbe guardato con quei pozzi neri, privi di qualsiasi affetto, terminando il tutto con "È in momenti come questi che mi manca tuo padre. Nonostante fosse il peggiore dei mariti, sapeva regnare".
Non aveva mai avuto un buon rapporto con lei, nemmeno dopo la morte di suo padre.
Non avevano mai trascorso un giorno insieme da quando Cassian era stato in grado di immagazzinare i ricordi e, da quello che aveva sentito nei corridoi, dalle voci pettegole della servitù del palazzo, non aveva nemmeno osato allattarlo una volta nato: si era voltata dall'altro lato del letto, rifiutando di vederlo per giorni.
Cassian era a conoscenza del fatto che i suoi genitori non si amassero, di quanto il loro fosse stato un semplice matrimonio di convenienza per risanare la reputazione di Alexander, accusato di aver copulato con gente inadatta. Lui non era altro che il frutto di una costrizione, pesante come il regno che gli era stato lasciato sulle spalle.
Eppure, ciò non impediva a Cassian di chiedersi cosa c'entrasse lui in tutto questo e
per quale motivo una madre doveva far ricadere tutte le colpe sul suo unico figlio.
Lo spettro di questo affetto mai ricevuto lo perseguitava ovunque andasse, incluso quel momento.
Lo faceva sentire insicuro e incapace di prendere decisioni adeguate.
Per questo era sempre alla ricerca di una continua adulazione e conferma da parte degli altri.
Per questo, nonostante fosse un uomo estremamente intelligente e attento in ogni sua singola azione, era afflitto da due dei più grandi difetti che solo un essere con un'anima pura come la sua poteva possedere: la speranza e la fiducia.
Cassian era in grado di dare fiducia anche a un leone affamato, perché nutriva sempre una speranza riguardo a una possibile benevolenza contenuta nel cuore di ogni essere vivente.
Ma, proprio in quel momento, si era reso conto di quanto fosse stupido e di quanto, ancora, fosse infantile.
«Mia madre?»
Fu Helene a rompere quel silenzio, distraendo Cassian da quei pensieri di autocommiserazione.
Edgar notò ancora una volta lo sguardo perso del regnate, e decise di prendere la parola, attirando l'attenzione dei presenti su di sé.
«Ho provveduto a informarmi io stesso e sì, Kate è al sicuro. Al di fuori dell'esercito a protezione del nostro regno, non ci sono stati morti o feriti» si apprestò a rassicurare.
«Quindi qual è il piano?» proruppe Levi dal fondo della stanza.
Con le braccia incrociate e la schiena appoggiata alla parete dell'ufficio di suo padre, era rimasto in silenzio, giocherellando con una piccola lama lucente, facendola scorrere abilmente tra le dita della mano sinistra.
«Partiamo» disse Cassian, schiarendosi la voce e ringraziando con uno sguardo Edgar.
«Io tornerò a Insperia, mentre Edgar, Levi e Anneka andranno in Repubblica Ceca: esattamente vi recherete a Hrensko, un piccolo paesino a nord di Praga. Lì, troverete alcuni abitati del nostro regno disposti ad aiutarvi» iniziò, delineando la prima fase del piano.
Nessuno osò interromperlo, nemmeno Anneka, i cui occhi vagavano preoccupati lungo la cartina posta sull'enorme scrivania.
«Helene e Theon rimarranno qui, in Accademia. Ho bisogno di persone fidate che difendano questo luogo da qualsiasi tipo di attacco: è qui che tutto ebbe inizio ed è per questo che uno degli ultimi portali che collega Insperia alla Terra si trova proprio sotto i nostri piedi. Una volta che me ne sarà andato, Helene provvederà a chiuderlo momentaneamente»
«E se Caym dovesse attaccarci? Non abbiamo un esercito ed io e Helene non bastiamo per difendere l'Accademia» disse Theon, incrociando le braccia.
«Se dovesse accadere manderò l'esercito e, solo quando la minaccia sarà scampata, vi attenderò a Insperia»
«Sostanzialmente ci lasci qui a morire, mentre tu ti rifugi tre le mura»
«Non permetterò mai una cosa del genere. Se solo dovreste essere in pericolo, vi aiuterò»
«Così come hai fatto con i tuoi soldati?»
«Theon!» lo riprese la sorella.
«No, Helene» l'ammonì il Principe, posando una mano sulla sua spalla. «Ha ragione, io ho permesso alla morte di incombere nella vita di quelle persone a causa della mia negligenza. Ma, non permetterò che una cosa del genere accada una seconda volta, specialmente a voi» allungò la mano verso Theon e con sguardo serio continuò. «Te lo giuro sulla mia stessa vita»
Un giuramento, per la popolazione di Insperia, era la cosa più sacra che potesse esistere.
Secondo una credenza, ogni parola pronunciata durante un patto era trascritta dagli stessi Primordiali nella vita delle persone che lo enunciavano e se solo non fosse stato rispettato, le conseguenze sarebbero state l'oblio assoluto.
Infatti, quando Cassian pronunciò quelle parole tutti rimasero sconvolti, incluso lo stesso Theon, il quale esitò prima di stringere la mano adornata di anelli.
«Mantengo sempre le mie promesse» continuò il regnante, attirandolo a sé quel tanto che bastò per far sfiorare le sue labbra con l'orecchio dell'amico. «Impara a fidarti di chi ti promette la sua vita, non di chi te ne concede una migliore» gli sussurrò e quelle parole, a Theon, suonarono più come un avvertimento piuttosto che un giuramento.
Gli occhi azzurri si scontrarono con quelli verde muschio del suo sovrano, provocandogli un brivido di ansia e terrore lungo la schiena: Cassian era a conoscenza dei suoi misfatti e gli stava dando una seconda possibilità, senza esplicitare alcuna parola.
Gli stava concedendo la via della redenzione, toccava a Theon decidere se percorrerla o meno.
A nessuno, però, parve che i due si stessero scambiando tali messaggi, anzi sembrò più un abbraccio fraterno prima di una possibile guerra.
Per tutto il resto del discorso di Cassian, Theon non disse una parola e questo silenzio fu notato da Anneka, la quale se ne stava seduta al lato opposto rispetto al suo. I loro occhi si erano incrociati poco e non avevano ancora avuto occasione di parlare di ciò che era successo in quelle ore passate fuori dall'Accademia.
In cuor suo, Anneka sapeva di dovergli delle spiegazioni e, soprattutto, di dover chiarire il loro rapporto prima della partenza: non conosceva ancora i pericoli a cui sarebbe andata incontro durante quel viaggio e, per questo, non aveva intenzione di lasciare nulla in sospeso.
Una volta che Cassian terminò il suo discorso e diede il permesso di riposare in vista dei prossimi avvenimenti, la ragazza non ci pensò due volte a seguire Theon, guadagnandosi sguardi interrogatori da parte di Helene e Levi.
Quest'ultimo, per quanto avesse voluto seguirli, decise di rimanere fermo, in compagnia dello stesso coltello con cui Caym lo aveva pugnalato.
Lo stesso che aveva maledetto Theon.
Si era già esposto troppo ultimamente e doveva dare un freno ai suoi istinti dettati dal Legame.
O almeno così credeva.
Così, mentre Levi, Edgar e Cassian concordavano sui dettagli del piano da seguire, Anneka venne trascinata all'interno della biblioteca.
Il suo corpo fu scaraventato contro la parete e il tonfo fu talmente forte che fece oscillare il quadro di Napoleone posto sopra la sua testa.
Le sue labbra erano premute contro quelle di Theon che, famelico, si era fiondato sul suo corpo, sollevandola da terra e lasciando che lei allacciasse le gambe attorno ai suoi fianchi.
Urgenza era la parola perfetta per descrivere quel gesto.
Anneka si staccò a fatica da lui, a causa della forza di Theon che era nettamente superiore alla sua, riprendendo fiato.
Il ragazzo non riusciva a guardarla negli occhi nonostante lei li cercasse.
«Guardami» sussurrò lei, spostandogli il viso che si era incastrato sul suo incavo.
Un orologio, al lato opposto, scandiva il tempo.
Il loro tempo.
«Theon-»
«Io non ti basto vero?» chiese con tono urgente, s0llevando di poco la testa, quel tanto per farla scontrare con la fronte di lei.
Anneka decise che era arrivato il momento di essere sincera.
Di evitare continui giri di parole solo per cercare di proteggere qualcosa che in realtà non esisteva.
Doveva essere diretta, dire la verità senza paura del dolore che questa avrebbe causato.
«No», disse secca «non nel modo in cui tu vorresti»
Theon scosse la testa, allontanandosi dal suo corpo e facendole perdere l'equilibrio.
«Allora non sono stato altro che un oggetto per te, un posto dove rifugiarsi quando ne avevi bisogno?»
«Assolutamente no!», si affrettò a rispondere «Io ci ho provato! Ho provato a pensare a noi, a ciò che avremmo potuto avere! Ed era un futuro meraviglioso-»
«Ma?»
«Ma non è ciò che voglio e, forse, non è neanche ciò che vuoi tu. Ci illudiamo che cambiando gli avvenimenti, possiamo riscrivere la fine. Ma la verità è che il destino è già scritto! È una realtà impossibile da combattere»
Anneka afferrò il viso del ragazzo tra le mani, accarezzando gli zigomi leggermente ruvidi.
«Non voglio perderti, sei stato importante per me e sono sicuro che lo sarai in futuro»
«Non sono una seconda scelta Anneka»
«Lo so, e non ti chiedo di esserlo»
Theon inspirò, chiudendo gli occhi e poggiano una mano su quella della ragazza, adagiata ancora sulla sua guancia.
Quando le sue iridi le vennero mostrate, il loro colore era un cielo plumbeo, ricco di nuvole e fulmini veloci.
«Non aspetterò. Dovrai prendere una decisione adesso... Prendere o lasciare» le disse.
In quell'attesa che sembrò interminabile, la speranza nei cuori di entrambi si spense gradualmente.
Ricordi sbiaditi di quell'emozioni piacevoli provate grazie a lui, abbandonarono Anneka insieme alla sua risposta.
«Lascio» trattenne le lacrime come mai aveva fatto fino a quel momento. «Odiami se vuoi, si indifferente ma non amarmi e non chiedermi di farlo. Non potrei ricambiare i tuoi sentimenti, né ora né mai»
Theon la osservò, rivedendo la stessa donna di cui si era innamorato decenni prima, la stessa che aveva donato la sua vita, il suo destino e la sua essenza a uomo che non era lui.
Quella spavalderia, quel coraggio e quella forza d'animo erano tornati e solo in quel momento capì quanto azzeccata fosse per lui la metafora di Icaro.
Anche lui si era spinto fino a tanto, anche lui si era bruciato con il fuoco del desiderio e aveva perduto per sempre quelle ali che gli avrebbero permesso la libertà.
Ormai non gli restava più nulla.
Neppure lei.
Avrebbe voluto confessarle i suoi peccati, dirle quello che aveva commesso solo per creare la possibilità di poter essere amato da lei, ma preferì tacere per non provocarle ulteriore dolore.
Avrebbe portato con lui quel segreto, in un tacito silenzio, come pena da scontare per l'eternità.
«È meglio che vada adesso»
Anneka accettò comunque quella risposta, nonostante ne avrebbe preferite mille altre.
Si staccò da lui, lasciando le mani cadere pesanti lungo i fianchi.
Non disse una parola e neppure lui si voltò per pronunciarne alcuna.
Theon camminò fino a raggiungete l'esterno dell'edificio e lasciò che le urla di disperazione si mischiassero con la scroscio della pioggia battente.
Davanti i suoi occhi, si palesò una figura coperta da un lungo mantello nero e un ampio cappuccio del medesimo colore a coprirle il viso. Una mano, dal pallore di un corpo mummificato, fuoriuscì dal tessuto e si allungò verso di lui.
-Vieni-
Gli disse e, in trance, la seguì.
San Francisco International Airport, CA
-Anneka, svegliati-
La voce di Edgar le arrivò dritta alle orecchie, distogliendola dal sonno che l'aveva accompagnata durante il viaggio.
Nonostante fossero partiti da poco più di due ore, era riuscita,in parte, a recuperare la stanchezza causata dall'insonnia della notte precedente.
«Cenerentola, non abbiamo tutta la cazzo di giornata! Scendi da quell'auto!»
Le urlò Levi dal finestrino.
Inspirò profondamente, reprimendo tutte le cattiverie che avrebbe potuto scaricargli addosso e decise di scendere dalla macchina, afferrando la sua valigia nera.
Con la coda dell'occhio vide Edgar allungare una banconota da cento dollari al taxista e ciò insospettì Anneka, la quale si voltò verso di Levi chiedendogli che fine avesse fatto l'Alfa con la quale erano partiti.
«Non era un'auto normale. Edgar la usa solo per uscire fuori dall'Accademia poiché possiede una sorta di sensore per demoni. Nell'attimo in cui si esce dal perimetro di casa, si trasforma automaticamente in un taxi»
«E il taxista?»
«Entro un paio d'ore avrà dimenticato tutto» si intromise Edgar, sistemando la giacca del suo completo. «Questi sono i vostri documenti, con tanto di passaporti e biglietti aerei»
Anneka afferrò il suo, notando come il nome e il cognome fossero cambiati.
«Berenice Dubois?»
«Eugene?!» sbraitò Levi, guardando sconcertato il padre. «Ti sembra abbia la faccia di uno che si chiama Eugene?!»
«Onestamente preferirei non rispondere a questa tua provocazione poiché potrei essere molto cattivo» rispose il padre, facendo ridere la ragazza accanto a lui. «Reciteremo la parte di una famiglia francese venuta in vacanza in America e che, dopo un bel giro per le spiagge californiane, se ne torna in Europa» spiegò velocemente l'uomo, entrando in aeroporto. «E comunque Berenice e Eugene erano i miei genitori, nonché i tuoi nonni» sottolineò, continuando a camminare.
«Non smetti mai di fare lo stronzo Eugene?» cantilenò Anneka, guadagnandosi uno sguardo truce da parte del ragazzo.
Non ci volle molto prima di raggiungere i controlli e di mettersi in fila.
«Perché c'è tutta questa confusione?» chiese insospettito Levi, aggrottando le sopracciglia.
«Da quando non vai in aeroporto?»
Levi tentennò un po' prima di commentare con un "Non ci sono mai stato prima d'ora" che sconcertò la ragazza che gli stava accanto.
«Non scherzo, non ho mai avuto la necessità di spostarmi in aereo. Ho sempre usato i portali» sussurrò, cercando di non farsi sentire.
Anneka non fece in tempo a commentare quell'affermazione perché arrivò il loro turno di mostrare i documenti e i biglietti aerei.
Tutti e tre posero i loro bagagli nei rulli automatici che li avrebbero scannerizzati, assicurandosi che non ci fossero oggetti pericolosi al loro interno.
Successivamente, Anneka passò sotto il metal detector, seguito da Edgar e poi Levi, il quale osservò meravigliato quell'apparecchio tecnologico, guadagnandosi uno sguardo stranito da parte della guardia dietro il computer.
Una volta recuperati i propri bagagli si avviarono verso il Gate 11, volo 9828 in direzione New York.
La partenza era prevista per le 12:30 e, avendo ancora due ore a disposizione, Anneka decise di farsi un giro per i negozi presenti, lasciando Levi ed Edgar a guardia della sua valigia.
Entrò anche in una libreria e solo allora si rese conto di quante nuove uscite aveva da recuperare e subito l'avvolse la nostalgia della sua vecchia vita.
"Se mai tutto questo avrà una fine, prometto che non mi lamenterò mai più" si disse, comprando una rivista con qualche cruciverba e altri giochi che l'avrebbero tenuta impegnata durante il viaggio.
Dopo aver accettato un caffè offerto da Edgar ed essere passata dalla toilette per darsi una rinfrescata, arrivò il momento di imbarcarsi e di lasciare le valige nell'apposito pulmino che le avrebbe poi caricate nella stiva dell'aereo.
Mostrati i biglietti alla hostess in cima alle scale, si sedettero ai loro posti.
Anneka si trovava tra i due: Levi dalla parte del finestrino ed Edgar nel lato esterno.
«Mi chiedo come faccia un oggetto così grande a volare» constatò Levi, sistemandosi al meglio sul suo sedile imbottito.
Le hostess presero a spiegare le eventuali misure di sicurezza in caso di ammaraggio e poi augurarono un buon viaggio a tutti i passeggeri.
«Ci vediamo tra cinque ore ragazzi e, mi raccomando, evitate di litigare» li pregò Edgar, afferrando una piccola boccetta contenente del liquido trasparente e lasciando che delle gocce gli si posassero sulla lingua. «Sono calmanti, odio volare» spiegò, prima di abbassare la mascherina nera sugli occhi.
Anneka si voltò dall'altra parte ma Levi era già immerso nella lettura del suo piccolo tomo greco.
Per quanto odiasse ammetterlo, volare non le era mai piaciuto.
Era a conoscenza del fatto che l'aereo fosse il mezzo più sicuro su cui viaggiare, ma sapere di essere a centinaia di chilometri dalla terra, di non poter appoggiare i piedi su un terreno fisso e di non poter aprire il finestrino per respirare aria fresca, le metteva ansia a tal punto da renderla irrequieta.
Infatti, passò la prima mezz'ora del volo alla ricerca di una posizione adatta che le avrebbe permesso di rilassarsi, per poi abbassare il piccolo tavolino presente nel sedile difronte al suo, sperando di concentrarsi sul disegno che avrebbe dovuto creare unendo i puntini con i numeri.
Se solo avesse avuto un paio di cuffie e la sua playlist, tutto ciò non sarebbe accaduto.
Non riuscendo a concentrarsi neanche su quello, decise di provare a leggere il classico che Levi teneva appoggiato sulle gambe e dalla quale sembrava molto preso.
Lentamente si avvicinò a lui e, sperando non se ne accorgesse, fece scorrere gli occhi lungo quelle pagine ingiallite, ricche di avvenimenti avvincenti e particolarmente profondi.
Si immerse in quelle parole, in quelle piccole dichiarazioni d'amore tra Elena e Paride, nell'odio che Achille provava nei confronti di Agamennone e nell'affetto per Patroclo, amante più che cugino. Miti, leggende e mostri di diversa fattezza iniziarono a danzare davanti ai suoi occhi, udendo quasi lo scroscio del mare colpire la nave dei greci.
Nel momento in cui venne dichiarata guerra a Priamo, re di Troia, Levi stava per voltare pagina me istintivamente Anneka lo bloccò, leggendo le ultime parole.
Il ragazzo si voltò stranito, sfiorando con le sue labbra la fronte di lei.
Gli occhi, circondati da lunghe ciglia castane, lo fissavano e dalle labbra fuoriuscì una piccola scusa, sovrastata dal rumore del motore del mezzo su cui viaggiavano.
Gli venne in mente il loro primo incontro, immersi nel verde primaverile del regno di Insperia.
Levi, all'età di otto anni, aveva abbandonato il suo diario contenente tutti i suoi appunti e spartiti donati da Atlas su un telo colorato, sotto un albero di pesche, solo per andare a fare un bagno nel laghetto poco distante. Quando era tornato, aveva trovato Anneka distesa a pancia in giù e con le mani a sorreggerle la testa, circondata da riccioli color miele e grano, mentre gli occhi castani scorrevano quelle pagine senza capirne il contenuto.
Aveva poco più di cinque anni quando la vide per la prima volta.
Sebbene l'avesse più volte allontanata, da quel giorno se l'era ritrovata lì, ad attendere che qualcosa di nuovo le venisse raccontato.
Iniziò così la loro storia e, a distanza di millenni, si ripeteva.
Levi scosse la testa come a scacciare via quei ricordi che ancora erano in grado di addolcirgli il cuore, ormai, di pietra.
Schiarì la voce e ciò che disse successivamente stupì lei tanto quanto lui.
«Puoi... Puoi restare»
Se qualcuno glielo avesse chiesto, Anneka avrebbe detto che le guance del ragazzo seduto accanto a lei si erano colorate di rosso, anche solo per un attimo.
Poteva giurare di averlo visto arrossire per l'imbarazzo.
Sorrise e senza farselo ripetere una seconda volta, si accoccolò accanto a lui, stando attenta a non sfiorarlo.
Ma ciò non successe.
Dopo neanche cento pagine lette in modo condiviso, i due si addormentarono.
Anneka aveva la testa appoggiata sulla sua spalla, mentre Levi tra i suoi capelli: lei recuperò la notte insonne, lui invece i millenni.
****
Il Rockfeller Center si ergeva imponente davanti ai suoi occhi, illuminando con le sue luci la stanza in cui si trovava.
L'aereo era atterrato all'aeroporto di New York City alle ore 17:30 e, una volta recuperate le valige e chiamato un taxi per raggiungere il cuore della città, Anneka era riuscita a mettere piede nella sua singola solo alle ore 19.
Nonostante avesse riposato per quasi tutta la durata del volo, una volta toccate le morbide coperte bianche dal profumo di talco, si era assopita ignorando di conseguenza Edgar che la invitava a cenare con loro al ristorante dell'hotel.
Adesso, seduta per terra difronte a quell'enorme vetrata, ammirava quel panorama di grattaceli che tanto le era mancato, mentre un sorriso le si formava sulle labbra.
Finalmente era a casa.
Finalmente aveva rimesso piede nella sua città.
Seppur a conoscenza del fatto della sua minima permanenza, dato che il prossimo volo per l'Europa era previsto per il giorno successivo, non riusciva a contenere l'entusiasmo, trovando sfogo nel tremolio della gamba sinistra.
Avrebbe voluto girare lungo quelle vie, perdersi tra i suoni di quella città e divorare con gli occhi ogni cosa, così da portarne per sempre i ricordi nella sua memoria.
La sua paura più grande era quella di non riuscire più a tornare indietro, di restare intrappolata in un'epoca che non fosse la sua o, peggio ancora, di morire all'interno di essa.
Se qualcosa fosse andato storto, se solo il legame tra lei e Levi si fosse perso nel momento del fatidico salto, per entrambi sarebbe stata la fine.
Non si erano mai allentati né potevano vantare di avere un rapporto di complicità, se non degli sporadici momenti che entrambi sembravano dimenticare l'attimo seguente del loro avvenimento.
«Non ho mai visto niente di più affascinante in quest'epoca»
La voce di Levi le arrivò chiara alle orecchie, facendola sussultare.
Il ragazzo se ne stava seduto accanto a lei, con le braccia cerulee attorno alle ginocchia e con gli occhi ambra puntati verso l'esterno.
«Non ti ho sentito entrare» costatò Anneka, voltandosi anche lei verso il panorama.
«Edgar mi ha mandato a controllare che stessi bene prima di rifugiarsi all'interno del casinò. Mi ha anche costretto a portarti del cibo dal ristorante. Molto buono devo dire, anche se troppo grasso per i miei gusti»
«Come sei raffinato»
«Cibo raffinato, per gente raffinata»
Anneka scosse la testa, ridendo per quell'affermazione, per poi afferrare la busta di carta e sedersi nuovamente accanto a lui.
Una volta aperta, un hamburger con patatine fritte le si palesarono davanti; i suoi occhi si illuminarono, voltandosi poi verso di lui.
«Non ci posso credere! È ... uno dei miei cibi preferiti!» disse, addentando il panino e gustandosi il sapore della carne di manzo, avvolta dalla salsa barbecue e cheddar. «Quanto mi era mancato» disse, con la bocca piena.
Levi sorrise, allungando istintivamente il pollice verso il suo labbro inferire, pulendola dalla salsa che le colava sull'angolo. «Non sei mai riuscita a non sporcarti» sussurrò senza rendersene conto.
Anneka, masticando ormai più lentamente, si perse in quel gesto così genuino ma allo stesso tempo intimo.
Si perse nel modo in cui lui la sfiorò, nel modo in cui i suoi occhi cambiarono colore e nel modo in cui si unirono ai suoi.
Levi, forse mosso dalla nostalgia, spostò le dita tra i suoi capelli, sistemandole alcune ciocche dietro l'orecchio. Anneka preferì non muoversi e tanto meno parlare, per evitare che quel momento potesse infrangersi come vetro sul pavimento.
In quell'attimo sentì, dentro il suo petto, ciò che entrambi provavano e lo stesso fu per Levi.
E queste sensazioni, forti e inarrestabili, spaventarono Levi a tal punto da costringerlo ad allontanarsi da lei come se avesse preso la scossa, avvicinandosi verso l'enorme vetrata.
«Mi piacerebbe visitare New York» disse di punto in bianco. «Non ci sono mai stato» continuò, osservando il panorama sotto i suoi piedi.
Per quanto il suo cuore avesse smesso di battere ormai da tempo, sentiva nelle orecchie il classico ronzio che si percepisce quando si è avvolti da sensazioni piacevoli e terrificanti.
Improvvisamente erano emerse, liberandosi dalle catene in cui lui stesso le aveva avvolte, chiudendole all'interno di una cassaforte e gettandola nei meandri più oscuri della sua anima.
Non capiva perché proprio in quel momento era emerso un irrefrenabile desiderio di toccarla, di starle accanto e di osservarla nelle sue minime movenze.
Aveva pure dovuto inventarsi quella scusa su Edgar perché, improvvisamente, aveva avuto voglia di sapere se stesse bene.
«Che ne diresti di... fare un giro?»
Era questo ciò che non comprendeva.
Era questo ciò che lo lasciava senza parole: il modo in cui Anneka aveva di cavalcare l'onda, di cogliere l'attimo, senza il terrore di ciò che potesse accadere.
Quando l'aveva vista per la prima volta, in quel mondo, aveva subito pensato che fosse cambiata, diventando una persona totalmente diversa: che dentro di lei, di quella Anneka di millenni prima, non c'era più nulla.
E invece si sbagliava, e anche di tanto.
Levi la osservò indossare velocemente le scarpe e dirigersi poi verso lui, allungando un berretto nero sopra la sua testa, nascondendo alcune ciocche dietro le orecchie
«Edgar non si muoverà dal tavolo da poker per un bel po', staremo via solo qualche oretta»
«Non credo sia una buona idea. Caym potrebbe averci seguito»
«Per una sera, ti chiedo di fidarti di me, come io ho fatto con te» lo aveva interrotto, dirigendosi verso la porta della stanza, aprendola e appurando che non ci fosse nessuno. «Allora vieni?»
Dopo quelli che sembrarono minuti interminabili, Levi afferrò la mano che Anneka tendeva verso di lui, facendosi trascinare in quel vortice di incertezze e possibilità, di rischio misto a follia.
Proprio come i vecchi tempi.
SPAZIO AUTRICE!
Buon pomeriggio! Come state? ✨
Lo so, è passato più di un mese dall'ultimo aggiornamento e, per chi non mi seguisse su Instagram, le motivazioni sono state esami e quarantena! Ma adesso sono libera da tutto e pronta, nuovamente, a scrivere!
Dal prossimo capitolo si entrerà nell'arco narrativo finale della storia ma non preoccupatevi, il secondo volume è già in via di elaborazione 😏
Comunque!
Parlando di questo capitolo: finalmente si esce ufficialmente dall'Accademia, dopo aver assistito a un altro piccolo pezzo della vita di Cassian e alla fine di questa breve storia tra Anneka e Theon che, a proposito, cosa ne pensate? Vi piacevano come coppia? 🙈
E si approda alla meravigliosa New York, la città che non dorme mai!
Anneka e Levi si avvicinano sempre di più e chissà cosa succederà durante questa loro piccola gita notturna!
Ma per scoprirlo bisognerà aspettare il prossimo capitolo! 😏
Se vi è piaciuto questo capitolo, lasciate pure una stellina ❤️
Grazie mille per aver letto la mia storia e grazie per il supporto che mi date in continuazione! ❤️
Alla prossima!
-imsarah_98
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