𝑻𝑹𝑬𝑵𝑻𝑼𝑵𝑶
𝑻𝑹𝑬𝑵𝑻𝑼𝑵𝑶
La primavera era sbocciata nell'esatto momento in cui Shaedis era venuta al mondo.
Il sole si era spogliato delle nuvole spesse e brontolone, vestiti pesanti che utilizzava per proteggersi dal gelido inverno, avvolgendo le giornate in un ritmo più tranquillo e caloroso.
Aveva asciugato pian piano tutta la neve accumulatasi sull'enorme giardino che circondava l'abitazione, permettendo ad alcuni fili d'erba coraggiosi di emergere dalla terra scura.
Alcune margherite si erano svegliate in quei campi brulicati dai cavalli, appartenenti alla famiglia Wallace da diverse generazioni.
«La mamma sta bene?» continuava a ripetere Levi, saltellando da una parte all'altra della casa, seguendo Edgar come un'ombra insegue il proprio corpo.
Lo stregone, il cui sorriso non aveva abbandonato le labbra nemmeno per un attimo, aveva preso un borsone in pelle e, al suo interno, adagiato alcuni abiti comodi sia per sua moglie che per sua figlia.
Era diventato padre, per la seconda volta.
«Sì Levi, stai tranquillo» rispose in modo dolce.
«Ma quando posso vederla?» chiese ancora, arrampicandosi sul letto matrimoniale e sedendosi accanto a quel bagaglio. «Sono stato tutto il tempo al Castello ad allenarmi con Atlas, è da tanto che non la vedo e mi manca» disse, arrossendo di conseguenza per ciò che aveva detto, «però non tanto... Cioè sono grande ormai» continuò, incrociando le braccia al petto.
Edgar gli accarezzò il capo, scompigliandogli ulteriormente i capelli leggermente mossi.
«Lo so» disse, «ormai sei un ometto e come tale devi cambiare i tuoi vestiti. Non vorrai che la sorellina ti veda conciato in questo modo» si inginocchiò davanti a lui, indicando gli indumenti che usava per le sue lezioni di equitazione, sporchi di fango.
Levi scosse la testa deciso, scendendo dal materasso e fiondandosi verso il bagno.
Felicia, la donna che si occupava di gestire la tenuta di Edgar, gli aveva riempito di acqua calda la vasca in ottone, sfregato le unghie di mani e piedi, sciacquato i capelli con olio a base di miele e vestito con abiti puliti che il giorno prima aveva lavato e stirato.
Davanti allo specchio, Levi si lisciò addosso il completo che aveva scelto per quell'occasione: un pantalone e una casacca in cotone beige, con alcuni ricami lineari in bianco.
«Levi, sei pronto?»
Urlò Edgar dal piano di sotto, facendo scendere velocemente il bambino dalle scale.
«Quante volte ti ho detto di non correre?» lo rimproverò, afferrando il borsone.
«Tante!» rispose sorridendo beffardo, prima di voltarsi dalla parte opposta. «Devo prendere una cosa!»
«Ti aspetto in carrozza»
Uscì dalla porta presente in cucina, dalla quale erano soliti scaricare merci e altri beni per la casa, recandosi alla piccola serra che sua madre aveva da sempre curato.
Afferrò il piccolo coltellino regalatogli da Atlas, tagliando alcuni dei boccioli di tulipani più belli, preparando un mazzo colorato.
Inoltre, prese un piccolo giocattolo che aveva intagliato un po' di mesi prima, conservandolo per quel fatidico giorno: era un piccolo cervo, con tanto di corna e posa fiera.
Non era perfetto, ma era pur sempre un regalo per la sua sorellina.
Sentì nuovamente il suo nome in lontananza e si affrettò, stando attento a non sporcarsi con il fango.
Emozionato, si sedette sulle poltrone morbide di quel calesse, osservando casa sua farsi sempre più distante.
Il luogo dove sua madre era stata portata si trovava poco distante da Insperia, immersa nei meandri della Foresta Nera.
«La mamma andrà in un posto per un po' piccolo mio» gli aveva detto qualche settimana prima. «Fai il bravo e ascolta sempre quello che ti dice Edgar» lo aveva raccomandato e lui aveva seguito alla lettera ciò che gli aveva detto.
Non vedeva l'ora di rivederla e raccontargli le sue ultime avventure.
Il viaggio non durò molto, infatti non ebbero nemmeno il tempo di goderselo che il cocchiere batté piano sul tetto della carrozza, annunciando l'arrivo.
La dimora difronte la quale si fermarono era più piccola di ciò che Levi si era immaginato.
Un lungo viale in pietre portava all'ingresso leggermente rialzato, completamente ricoperto di muschio e piante rampicanti di gelsomino, i cui fiori erano per metà aperti, profumando tutta l'aria intorno.
Le finestre aperte e difese da tende sottili permettevano di udire una dolce melodia.
Caera cullava dolcemente la sua bambina, avvolgendola in una coperta di lana bianca, la stessa con cui aveva coperto Levi una volta nato.
Intonava una ninna nanna che da poco aveva calmato il pianto di quella nuova vita.
A farle compagnia la sua compagna di avventure Iona, che tesseva un abito per la sua piccola bambina, lasciata a casa assieme al padre Ejaz.
«Sono arrivati» disse la donna, osservando la porta che poco dopo si aprì, lasciando che l'energia dell'uragano Levi distruggesse quella quiete.
«Mamma!» urlò, abbracciando le cosce magre della donna, la quale gli accarezzò dolcemente i capelli. «Ti ho portato questi!» continuò, mostrandole i fiori.
«Sono bellissimi tesoro mio – li annusò, adagiandoli poi sul comodino – ma non urlare, la sorellina dorme» sussurrò, indicando di fare silenzio portandosi un dito sulle labbra.
Levi la imitò sorridendo, issandosi poi sulla punta dei piedi per poter vedere la nuova arrivata.
«Vieni qui» disse Edgar, prendendolo in braccio.
Si sorresse sulle spalle larghe dell'uomo, avvicinandosi piano alla bambina.
Il piccolo viso roseo, come il crepuscolo in estate dopo una giornata calda, era rilassato.
Una bocca della stessa grandezza di un petalo si schiuse, rivelando uno sbadiglio.
Gli occhi si aprirono leggermente, permettendo di notare il colore tra il giallo e il verde scuro delle sue iridi, prima di richiudersi infastiditi da quella luce ancora da scoprire.
Alcuni ciuffi di capelli rossi spuntavano da sotto la coperta, appurando una somiglianza incredibili con Caera.
«È bellissima mamma» disse Levi sussurrando.
E Edgar non poteva che confermare.
L'uomo adagiò un bacio sulla tempia di Caera, sorridendole dolcemente e congratulandosi con lei.
«Posso darle un bacio?» chiese timido il bambino, come se quel permesso dovesse essergli negato.
Caera trattenne le lacrime, prima di annuire e sedersi sul morbido materasso.
Levi la seguì, scrutando ogni suo movimento.
«Ti va di tenerla in braccio?» chiese, vedendo gli occhi del figlio illuminarsi di felicità. «Fa' piano» continuò, adagiandola sulle sue gambe.
La bambina si mosse leggermente, accovacciandosi inconsciamente sul petto del fratello.
Levi non disse nulla, limitandosi a guardare quel piccolo esserino dormire beata, ignara dell'amore che la circondava.
Ignara del fatto che si trovasse tra le braccia dell'uomo che l'avrebbe protetta al costo della vita.
Quello stesso uomo che adesso la osservava scendere leggiadra dalla sella di quel cavallo che avevano usato per fuggire dalla città.
La notte era ormai calata e il temporale aveva smesso di sfogare la sua rabbia su quella terra.
Avevano galoppato per diverse ore, giungendo in una delle tante locande di passaggio nella quale avrebbero passato la notte.
Si trovava a metà strada tra Parigi e la Provenza, dove erano diretti.
Le luci soffuse di quel luogo li accolsero calorosamente, distraendo alcuni uomini intendi a bere della birra annacquata seduti ai tavoli del locale.
Spostarono i loro sguardi dalle carte da gioco al corpo armonioso di Shaedis, una volta arrivati all'ingresso.
Levi si accorse del modo languido con la quale la osservavano e subito si mise in mezzo.
Shaedis, notato il gesto, permise a un sorriso di increspate le sue labbra, decidendo di non dire nulla e di lasciargli credere di averla difesa con così poco.
«Mademoiselle Gisèle» la chiamò la donna oltre al bancone, aprendo l'enorme libro della quale vi erano segnate diverse prenotazioni, tutte da una notte. «Non vi aspettavo questa sera» continuò, cercando velocemente il suo nome.
«Oh no Madame, non sono qui per quello» disse, lanciando uno sguardo al fratello che, fortunatamente, era ancora distratto. «Mio fratello è giunto oggi a Parigi e, purtroppo, tutte le locande che abbiamo visitato non hanno un posto disponibile. È possibile avere una stanza solo per questa notte?»
«Je suis désolé, ma chérie» disse, portando gli occhi su di lei. «Ho solo una suite, ma...»
«I soldi non sono un problema Madame» rispose repentina, posando sul suo bancone una piccola borsa con dentro diverse monete. «Tenga anche il resto per la colazione di domani mattina»
La donna sorrise alla vista di quei cerchi dorati e subito le diede le chiavi della stanza, chiedendo al ragazzo poco distante da loro di accompagnarli.
Nonostante Levi avesse fatto finta di non ascoltare, la situazione gli sembrava abbastanza sospetta e, infatti, una volta rimasti soli non perse tempo a chiederle spiegazioni.
«Ti chiami Gisèle adesso?» disse, osservando il luogo in cui si trovavano.
Un enorme letto a baldacchino regnava al centro della stanza, il cui materasso era coperto da un pesante tessuto rossastro, oltre che da lenzuola bianche in cotone.
Candele, sparse per l'ambiente, illuminavano la stanza, assieme al camino acceso.
Levi non capì se fosse il luogo o la situazione a renderlo particolarmente nervoso, tanto da fargli togliere quel mantello e da slacciare leggermente la camicia.
Non aveva mai sentito così tanto caldo in vita sua.
«È solo un nome che ho adottato per lavoro»
«C'è qualcuno che non dovrebbe riconoscerti? C'è qualcuno che ti cerca? Posso fare qualcosa per-»
«Levi» lo interruppe, incrociando le braccia al petto. «Non devi immischiarti, s'il te plaît»
Aveva ragione.
Non poteva immischiarsi perché non ne aveva il diritto.
E lo sapeva con tutto sé stesso, ma in quel momento qualcosa scattò in lui. Qualcosa che forse aveva tenuto a bada per tutto quel tempo.
«Si che mi importa Shay, sono tuo fratello e come tale devo proteggerti»
«Shay?» lo imitò, sorridendo ironicamente. «Che cosa sarebbe?»
«È... Il modo con cui ti chiamavo da piccola» si giustificò, lasciando che la voce gli tremasse un po'.
«Non mi ricordo» rispose secca. «Adesso devo andare, all'interno di quei cassetti troverai un cambio per la notte. Se lasci i vestiti fuori dalla porta, entro domani mattina saranno lavati e stirati» concluse velocemente, avviandosi verso la porta.
«Dove vai?»
La sorella inspirò profondamente, rimanendo voltata di spalle.
Non aveva mai avuto nessuno che le facesse tutte quelle domande.
Che la controllasse.
Lo aveva incontrato da solo due ore e già gli stava dando sui i nervi.
«Shay»
«Smettila di chiamarmi così!» urlò, facendo bloccare pure il rumore del fuoco che scoppiettava.
Un silenzio fermo calò in quella stanza.
Un silenzio che sapeva di tante paure, incertezze e dubbi che ebbero una risposta.
Una risposta che nessuno dei due avrebbe mai voluto sapere.
Shaedis rimase immobile, con la mano appoggiata sulla maniglia fredda, tremante.
Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, spiegare il perché di quella reazione, ma non ci riuscì.
Aprì quella porta, chiudendola velocemente alle spalle e lasciando suo fratello al suo interno, insieme a quella sua ultima immagine di sé.
Non ricordava più se fossero passati decenni o secoli dall'ultima volta in cui si erano visti e l'unica cosa che aveva fatto era stata urlargli in faccia.
L'unica cosa che aveva fatto era stata dargli sguardi freddi, frasi smezzate e gesti inespressivi.
Non era nemmeno riuscita a dirgli che le era mancato o che non vedeva l'ora di rivederlo, di saperlo vivo. Avrebbe voluto abbracciarlo, piangere sul suo petto e sentire ancora quell'odore che da piccola la calmava durante i temporali.
Avrebbe voluto ricordare qualcosa di lui, ma non ci riusciva.
Shaedis non ricordava quasi più nulla di suo fratello.
Salì in sella al suo cavallo e corse il più possibile lontano da quel luogo.
Era stata una delle sue clienti a dirle che un ragazzo, dalle sembianze stravaganti, era piombato dal cielo nel bel mezzo del giorno: se non fosse stato per lei, sicuramente non lo avrebbe mai ritrovato.
Forse, a distanza di giorni, lo avrebbe visto impiccato su quel patibolo, non riconoscendolo nemmeno.
E forse sarebbe stato meglio così.
O forse no.
Non sapeva nemmeno lei cosa pensare.
In quel momento, la sua unica certezza era di voler stare lontano da lui.
Chiuse gli occhi, lasciando che l'aria fredda dell'imbrunire le colpisse le gote fredde, mentre il cavallo percorreva una strada che conosceva a memoria.
Quella sera, ad aspettarla, c'erano le minute e soffici braccia di Madame Iphigénie, una giovane donna il cui marito era sempre in viaggio per lavoro e alla quale faceva davvero piacere avere delle compagnie abbastanza particolari.
Andò dritto alla stalla, lasciando che il mozzo si prendesse cura del suo cavallo.
Si avvicinò verso l'ingresso dell'abitazione, non prima di essersi specchiata su una pala appena lucidata, dando un senso ai suoi capelli voluminosi.
Abbassò leggermente il corsetto, mostrando in maniera evidente i suoi seni prosperosi.
Bussò piano, aspettando che qualcuno le aprisse.
«Mademoiselle Gisèle, accomodatevi» disse la giovane dama di compagnia, accogliendola con un sorriso.
Shaedis si pulì le scarpe infangate, assaporando l'odore piacevole di quella casa.
Il profumo di legno di ciliegio avvolgeva nel suo calore il salotto nella quale la ragazza la fece accomodare, offrendole del thè caldo importato dall'India.
Ne assaporò l'amarognolo e poi il retrogusto dolciastro che le lasciò sulla lingua, diramandosi poi su tutte le sue papille gustative.
Sperava che quella serata volgesse proprio come quella bevanda.
«Gisèle»
Sentì alle sue spalle.
Iphigénie, avvolta in una sottana di seta, l'aspettava sull'uscio di quell'arco in marmo bianco.
Gli occhi azzurri, accesi di desiderio, la osservano in ogni suo dettaglio, tenendo in mano un piccolo lume.
Attorno a lei, la luce divenne piano piano diffusa, illuminandola in penombra.
I lunghi capelli biondi erano sciolti, lasciati liberi su quel corpo longilineo e dalle curve appena accennate.
Shaedis si alzò, avvicinandosi alla ragazza.
Le prese la mano e delicatamente ne depositò un bacio, tenendo gli occhi fissi sui suoi.
«Siete meravigliosa stasera Madame» si complimentò sinceramente, incrociando le dita con le sue.
«Perché, solitamente non è così?»
«Avete ragione, mi devo correggere» si avvicinò al suo orecchio, mordendone appena il lobo e lasciando che la sua dama inspirasse profondamente.
In quegli anni aveva imparato come trattare le donne e come queste volessero essere trattate.
Una donna come Iphigénie era abituata ad avere tutto fin dal momento in cui si era ritrovata nel ventre di sua madre; ogni desiderio era sempre stato esaudito, per questo era molto probabile che si annoiasse facilmente.
Ed era lì che entrava in gioco Shaedis o, come era solita farsi chiamare in quelle situazioni, Gisèle.
Donava loro qualcosa che non avevano mai provato: la perdizione, il piacere, l'essere padroni di qualcosa di proibito, qualcosa sulla quale avrebbero dovuto mantenere il segreto, donandole il brivido di insicurezza che potesse essere scoperto.
«Voi siete sempre meravigliosa» soffiò sulle sue labbra, sfiorandole appena.
Iphigénie le schiuse, pronta ad accoglierla ma Shaedis non l'accontentò, allontanandosi.
«Oggi siete più audace del solito» le fece notare, camminando verso le scalinate che avrebbero portato al piano superiore e, di conseguenza, in camera da letto. «Cosa vi affligge?» continuò salendo, mentre la donna la seguì veloce, anticipandola.
«Mio marito tornerà prima del previsto e vuole che lo segua nel suo prossimo viaggio nelle Americhe. Sinceramente preferirei rimanere qui, con te»
Squittì quando Shaedis le strinse una natica con la sua mano, entrando poi all'interno della stanza e chiudendo le porte dietro le spalle.
L'appoggiò su di essa, schiacciandola con il suo corpo, mentre le sollevava lentamente l'abito dalle cosce nude.
«Devi andare Iphigénie» disse, baciandole il collo e scendendole verso il seno accaldato. «E poi, tornerai da me» continuò, arrivando alla sua intimità scoperta. «Lo sai, da me puoi venire quando vuoi»
Concluse, immergendosi all'interno di quelle gambe sode.
Si perse in quella notte di desiderio, allontanando i pensieri cupi che le avevano popolato la mente.
Perché, in fin dei conti, era stata abituata in quel modo.
Il luogo che l'aveva accolta viveva solo di una cosa e, come tale, cercava di insegnarla così che quell'arte non fosse persa.
L'arte del sesso era ciò attorno alla quale era ruotata la vita di Shaedis, fin da quando ne aveva memoria.
L'essere seduttrice, sia con le parole che con il corpo, era ormai parte del suo essere e non sarebbe mai riuscita a scinderla.
Levi era stato solo un inconveniente in quella sua quotidianità.
Sapeva che non c'era da sperare oltre quella semplice compagnia, perché era già successo che lo facesse, attendendo un suo ritorno a Insperia; osservando notte e giorno il bosco nella quale era stata trovata, sperando che lui arrivasse.
Aveva sperato fino a consumarsi il cuore, riducendolo in una poltiglia di cenere volata via verso una realtà dentro la quale non avrebbe mai, e poi mai, rimesso piede.
****
L'alba era sorta da un po' quando Levi sentì la porta della stanza aprirsi e sua sorella entrare piano.
Questa si accorse subito che non aveva chiuso occhio, poiché il letto era rimasto intatto, così come i vestiti che indossava.
«Avresti fatto meglio a dormire, non ti avevo chiesto di aspettarmi» disse, facendo cadere il mantello su una delle due poltrone, poste di fronte al fuoco spento. «Ci aspetta un lungo viaggio» continuò, meritandosi solo uno sguardo distratto dal fratello che, invece, era impegnato ad osservare come il Sole accarezzasse le case di Parigi in lontananza.
«Dove sei stata tutta la notte?» chiese, non guardandola nemmeno.
«Levi, ti ho già detto che-»
«So cosa mi hai già detto e non voglio che me lo ripeti di nuovo»
«Ho tutto il diritto di non dirti nulla» questa volta mantenne il tono calmo e deciso, mentre osservava le spalle di Levi ferme. «Non capisco questo tuo improvviso interesse nei miei confronti»
Finalmente si voltò, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
Prima di risponderle la osservò meglio, notando una innumerevole quantità di lentiggini abbellirle il volto. Le labbra erano più piene di quanto le aveva viste la sera prima, così come i capelli, ancora più voluminosi.
Levi avrebbe voluto mettere a tacere i suoi sospetti, notando come non indossasse il corsetto e come la sua camicia si trovasse fuori dai pantaloni.
Ma non ci riuscì.
La parte irrazionale prese nuovamente il sopravvento, appropriandosi dei suoi occhi ambra che presero ad osservarli accusatori.
Gli bastò il suo sguardo per comunicare ogni suo sospetto.
«Mi stai giudicando?»
Shaedis avrebbe voluto rimanere zitta perché sapeva, comprendeva che ciò che svolgeva non era un servzio di cui andare fieri.
Ma le aveva permesso di vivere, di divertirsi, di mettere qualche gruzzoletto da parte per sfuggire da quella città e rifugiarsi nell'angolo più nascosto del mondo.
Ma lui non lo comprendeva e questo non aveva fatto altro che alimentare l'odio che provava nei suoi confronti.
«Non lo sto facendo» rispose il ragazzo, mantenendo un tono freddo e quasi distaccato, per quel poco che riusciva a fare.
«Pensi che io abbia avuto scelta? Pensi che una bambina, completamente sola, catapultata in un mondo a lei estraneo, avrebbe potuto fare altro nella vita?»
Erano domande che, purtroppo, trovavano la risposta al loro interno.
«Mi preoccupo per te»
«E dov'era la tua preoccupazione quando sono sparita?»
Finalmente lo disse, distogliendo subito lo sguardo, per evitare di vedere come il cuore glaciale di Levi si spezzasse in mille e piccolissimi pezzi.
Aveva ragione, non poteva dire nulla in sua difesa.
«Ti credevo morta» disse, senza nascondere il vero motivo perché, alla fine, era meglio così.
Se dovevano distruggersi, era meglio farlo in fretta.
«Quindi hai pensato bene di mollarmi qui basandosi solo su una tua supposizione?»
«Non sapevo neanche dove fossi! Come avrei potuto cercarti?!»
«Ero qui Levi! Qui! Ad aspettarti!» urlò, battendo le mani al petto e ancorandosi a quella poca forza che le rimaneva per non piangere difronte a lui. «Ero qui!» ripeté.
«Non lo sapevo...» sussurrò, cercando di avvicinarsi.
Shaedis si allontanò, voltando il viso così che non potesse vedere quell'unica lacrima fuggita al suo controllo.
L'asciugò velocemente, prima di riprendere il discorso.
«Hai da sempre messo lei davanti a tutti. Davanti a me, davanti la mamma» sputò velenosa. «Le hai almeno dato una degna sepoltura? O hai preferito scappare, così da poterti godere la tua luna di miele?»
Levi si limitò ad osservala perché, ciò che sua sorella stava dicendo dettato dalla rabbia, era la pura verità.
«Immaginavo» annuì, infilando le mani in tasca. «E dimmi, ti è piaciuto? Hai passato delle belle vacanze con lei?»
«Smettila»
«Smettila di fare cosa? Di dire la verità? Perché ti fa così male sapere le cose così come stanno? Ti fa così male sapere che in realtà non hai fatto assolutamente nulla per la tua famiglia, e che sei solo e sempre stato un egoista? Rispondimi!» urlò ancora, spingendolo.
Non le rispose.
Alimentando sempre di più la sua rabbia, per quanto lui cercasse di scemarla.
Erano due uragani, diversi, incontrollabili, irrefrenabili.
Ma capitati sulla stessa rotta, creati dalla stessa tempesta.
«Sei sempre stato così... Un faible, inepte» continuò, cercando di allontanare quella nuvola nera che albeggiava attorno al suo cuore. «Se sei venuto qui per riportarmi indietro, puoi anche tornare a mani vuote. Non verrò con te» concluse, incrociando le braccia al petto.
«Perché mi hai salvato se mi odi così tanto?» le chiese con un tono talmente calmo che si stupì di sé stesso.
Avrebbe potuto scatenarsi come era solito fare e invece era rimasto impassibile a quegli insulti.
Pensò che dovesse per forza esserci sua madre a vegliare su di loro in quel momento.
Chissà, magari era stata lei a muovere gli assi per farli incontrare.
«Te lo dico io» disse, avvicinandosi di un passo. «Perché sono tuo fratello, la tua famiglia e lo sarò per sempre Shaedis. Anche con secoli, decenni o millenni a separarci» cercò il suo sguardo. «Ammetto i miei errori, ammetto di non aver fatto abbastanza per te, di aver pensato a un dopo che non c'è mai stato. Immaginarti morta era la miglior soluzione per andare avanti e trovare un modo per arrivare fino a qui e, hai visto? Ce l'ho fatta! Sono qui adesso e non ho intenzione di lasciarti di nuovo» questa volta gli permise di sfiorarle il viso con la mano e lei si adagiò su quel contatto che, improvvisamente, riconobbe famigliare. «Ti porto via con me, ovunque andrò»
E fu in quel momento che Shaedis si lasciò andare.
Si nascoste nell'incavo del suo collo, lasciando che le lacrime portassero via tutta quella solitudine che l'aveva alimentata fino a quel momento.
Si strinsero in un tenero abbraccio e Levi potè nuovamente chiudere gli occhi e alleggerire un po' il cuore.
Assaporò quel profumo dolciastro che emanavano i suoi capelli scarlatti, perdendosi nei ricordi di quando l'aveva incontrata per la prima volta.
Così, come tutto era iniziato.
Abbracciati e con la promessa di proteggersi per l'eternità.
«Mademoiselle, par ci!»
Anneka si voltò, notando in lontananza Madame Séline sventolare la mano.
Lasciò nella cesta in vimini i panni, andandole incontro.
Erano passate due settimane dal suo arrivo in Provenza e, da quando si era incamminata su quella strada erano successe parecchie cose.
Si era ritrovata ad essere un'addetta alle pulizie di una donna di alta borghesia, la quale utilizzava quell'abitazione solo per i balli dedicati ai compleanni di amici o parenti.
Infatti, era proprio ciò che stavano organizzando.
Per evitare di farsi scoprire, aveva deciso di fingersi una ragazza muta scappata dal proprio villaggio, nelle lande deserte dell'Inghilterra.
Aveva raccontato, mimando gesti e scrivendo qualche parola in inglese, una storia simile a Moby Dick, un romanzo che sicuramente la gente del posto non conosceva ancora.
Séline si era impietosita, chiedendole, in un inglese abbastanza arrangiato, di lavorare insieme a lei, oltre al fatto che si era proposta di farle da insegnante di francese.
«Sono arrivati i fleurs pour la cérémonie» disse, indicando un carretto pieno di lavanda.
Perché sì, il luogo in cui si trovava era la terra natia di uno dei suoi fiori preferiti.
Distese immense di lavanda si estendevano a perdita d'occhio, donando a quel luogo un profumo inebriante.
Annuì, andando incontro al ragazzo con la quale aveva stretto un rapporto di amicizia, puro e genuino.
Il suo aspetto pulito, i capelli raccolti di un biondo cenere e gli occhi di un blu oceano le ricordavano Theon.
L'unica differenza tra i due, oltre l'accento e qualche anno in meno, era il nome: Pierre.
«Anche oggi vi sta facendo correre, non è vero?»
Le disse in un inglese imperfetto, facendola sorridere.
Afferrò delicatamente quei mazzi appena raccolti, adagiandoli su una carriola in ferro per portarli nell'ala nella quale si sarebbe tenuta la festa.
«Non vi preoccupate, la mia proposta di fuggire insieme è sempre valida. Potrei riportarvi nella vostra patria in un batter d'occhio» sussurrò, ammiccando.
Quell'improvvisa vicinanza con il viso del ragazzo, le fece perdere l'equilibrio e di conseguenza scivolare su un accumulo di fango presente all'ingresso dell'abitazione.
Pierre sorrise, aiutandola ad alzarsi e a ripulirsi con uno straccio malconcio.
Odiava quei vestiti e la poca mobilità che essi le davano.
I corsetti erano troppo stretti, le sottane troppo spesse, per non parlare poi della gonna fin troppo ampia per un vestito appartenente alla servitù.
Avrebbe voluto imprecare, ma si morse la lingua per non far cedere la sua copertura.
«Cosa posso fare per convincervi a fuggire con me?»
Il modo che aveva di cercare di convincerla era molto dolce, ma allo stesso tempo pesante, perché le faceva credere che quella poteva essere un'ottima via di fuga da quel luogo dalla quale non era riuscita a scoprire nulla.
Non le era permesso di allontanarsi da sola, se non accompagnata, e questo non l'aiutava certo a capire se Caym fosse davvero lì e, di conseguenza, a portare a termine la sua missione.
«È molto probabile che lo incontrerete» disse Edgar, osservandoli attentamente. «Ma non temete, è il vecchio Caym, quello non ancora padrone dei suoi poteri»
Si era ormai rassegnata al fatto che Levi non fosse in quell'epoca insieme a lei.
Avrebbe dovuto cavarsela da sola, cercare ciò che le serviva e tornare nel luogo del tempo dalla quale proveniva.
«Annie, Pierre»
Madame Iphigénie richiamò la loro attenzione, sorridendo dolcemente.
«Che vi è successo Annie?» chiese, osservando il suo abito ormai lurido.
Fu Pierre a spiegarle tutto, prima di ritornare all'argomento per cui li aveva chiamati.
«Odio interrompere le vostre chiacchiere ma vorrei chiedere ad Annie di darmi un consiglio sull'abito da indossare stasera. Come ben sa, ci saranno molti ospiti speciali» disse, prendendola a braccetto.
Iphigénie era una ragazza poco più grande di lei, con una leggiadria nel linguaggio e nel modo di muoversi che poteva fare invidia all'erba mossa dal vento lento.
Era dolce, sorridente e tanto premurosa nei confronti di tutti, pure dei suoi dipendenti.
Si era affezionata a lei perché era l'unica persona di età inferiore ai cinquant'anni che aveva incontrato da quando era arrivata, e l'unica abbastanza fuori di testa da non preoccuparsi se avesse avuto intenzione di fuggire.
Anzi, si era pure proposta di procurarle dei documenti falsi.
«Sono indecisa se vestire con un abito cipria o indaco...» iniziò, mostrandole le due scelte indossate dai manichini. «Oppure ne possiedo altri, ma i colori mi smorzano alquanto» disse, indicando l'armadio alle sue spalle.
Anneka indicò quello indaco, facendole segno di provarlo.
Entusiasta, Iphigénie si nascoste dietro un paravento dipinto a mano aiutata da un'altra dama di compagnia, mentre lei si perse nell'ammirare i tessuti morbidi e setosi degli abiti appesi.
Uno attirò particolarmente la sua attenzione: era di un rosa cipria decorato con alcuni ricami brillanti lungo tutto lo strascico, mentre sul corsetto vi erano dei fiori dipinti a mano, sottili ed estremamente eleganti.
«Bellissimo» disse, accorgendosi subito dopo di aver parlato.
Si tappò la bocca, voltandosi per vedere che nessuno l'avesse sentita, ma ormai era troppo tardi.
Iphigénie la osservava con un'espressione sorpresa in viso, che poi tramutò in una leggermente adirata.
Ordinò alla sua dama di uscire immediatamente dalla stanza, lasciandole da sole.
«Madame, je suis-»
Ma non fece in tempo a completare la frase che la ragazza scoppiò a ridere, portandosi una mano sulle labbra, cercando di nascondere il suo sorriso.
«Mon Dieu, il tuo francese è terribile» disse, asciugandosi alcune lacrime di felicità a lato degli occhi. «Ero a conoscenza del fatto che sapessi parlare perché, più volte, ti ho sentito canticchiare mentre stendevi i panni» continuò, avvicinandosi a lei e afferrandole poi le mani. «Non voglio sapere il motivo per cui tu abbia deciso di comportarti in questo modo... Ognuno ha i propri segreti da mantenere»
«Mi scuso lo stesso Madame» disse, abbassando leggermente il volto.
Iphigénie le mise due dita sotto il mento, sollevandolo delicatamente.
«Ho modo che potrebbe farti perdonare per avermi mentito» sorrise scherzosa, allontanandosi da lei.
Si avvicinò piano all'armadio, prese l'abito che stava osservando e glielo porse tra le braccia.
«Indosserai questo, accompagnandomi per tutta la serata»
SPAZIO AUTRICE
Buon pomeriggio a tutti, miei cari lettori! Come state?❤️
Eccomi qui, con un nuovo capitolo, ricco di novità e sorprese 😏
Spero davvero che vi sia piaciuta l'introduzione di questo nuovo personaggio.
Come avete potuto notare, Shaedis non è per niente una ragazza tranquilla. Infondo, essendo sorella di Levi, vi potevate aspettare diversamente?😂
Quando l'ho immaginata, me ne sono totalmente innamorata e spero lo farete anche voi.
Siamo solo all'inizio di questa nuova avventura che i nostri personaggi dovranno affrontare. E chissà in che modo lo faranno! 🫣
Ma questo lo scoprirete leggendo i prossimi capitoli!
Vi ringrazio infinitamente per il supporto che mi date e per aver letto la mia storia!
Non dimenticate di lasciare una stellina se il capitolo vi è piaciuto! 🙏✨
Alla prossima
-imsarah_98
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