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SPAZIO AUTRICE
Non dimenticate di lasciare una stellina!
Buon pomeriggio miei cari lettori, come state?❤️
Volevo solamente ringraziarvi per il supporto continuo che mi date. One of us è cresciuta molto negli ultimi mesi e io non posso che esserne felice!

Vi auguro una buona lettura e, preparatevi... Ho delle sorprese in serbo per voi 😏

-imsarah_98

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Rami porpora bruciati dal sole si estendevano sotto di lui, cullati dal vento proveniente dal mare lontano.

Ascoltavano ammaliati le dita di Levi muoversi veloci sulle corde del violino trovato in soffitta, durante la perlustrazione di quell'abitazione in cui era rimasto chiuso per giorni.

Dopo essere ripartito dalla locanda insieme a Shaedis, avevano impiegato quasi cinque giorni a raggiungere un piccolo rudere sperduto tra i campi di lavanda e altre piantagioni.
Presentava solo due stanze, una adibita a bagno, con una semplice vasca in ottone e un mobiletto contenente qualche olio essenziale; e l'altra con un letto stretto e lungo, seguito da un armadio a parete riempito da qualche abito malmesso.
Al centro di quelle mura in pietra spessa, vi era un tavolo con quattro sedie inutilizzate, così come la piccola cucina che si appoggiava su una delle pareti più ampie.
Su di essa vi era una sola finestra, coperta da due tende sottili e bucate; sul davanzale, un nido abbandonato.

Levi non aveva avuto modo di capire il motivo per cui fosse lì, in quanto Shaedis passava la maggior parte del suo tempo lontano da lui, rientrando soltanto in tarda notte con alcuni avanzi presi da luoghi che non gli era dato sapere.
Così facendo, non era riuscito a trovare alcuna informazione, né sul suo obiettivo e tanto meno su Anneka.

Così, per ammazzare il tempo, aveva rovistato tra i vari oggetti, riuscendo a trovare una scala in legno che lo aveva portato al sottotetto, anch'esso malmesso.
Sotto alcuni teli, erano nascoste vecchie macchine da cucito, pellicce spesse e pelli di animale accatastate l'una sopra l'altra; qualche foto, sbiadita da tempo e due enormi casse.
In una trovò diversi machete smussati e coltelli di varie dimensioni, in un'altra, accanto a una sedia a dondolo, uno Stradivari, originale, e risalente almeno a cent'anni prima: osservando il luogo in cui si trovava pesò subito che un oggetto di così tanto valore doveva essere stato rubato.

Ma, al di là delle circostanze, non aveva perso un attimo a prenderlo in mano, ripulirlo dalla polvere che vi si era adagiata e accordarlo, non curandosi del tempo.

Aveva abbandonato i vestiti fastidiosi accanto a sé e lasciato che il petto nudo assorbisse la frescura di quel pomeriggio che prometteva neve; si era seduto sulle tegole scoperte del tetto e lasciato i piedi nudi penzolare fuori dal cornicione.
Una volta sentito il peso dello strumento sulla spalla, aveva permesso alla mente di spegnersi, scaricando sulle sue dita quelle note che conosceva a memoria.

Permise alla sua anima di sospirare, almeno per un attimo.

Gli sembrò essere distante da ogni responsabilità, da ogni delitto commesso e dolore provato.
Era solo, con il cuore spento e la mente taciturna.

E avrebbe pagato tutto l'oro del mondo pur di rimanere fermo in quell'istante di tempo.

Invece, senza neanche accorgersene, si era ritrovato all'interno di una carrozza estremamente curata, in compagnia di persone che non conosceva e in direzione di uno dei balli più attesi della stagione, di cui non gli importava assolutamente nulla.

L'abito che indossava gli stringeva lo stomaco e la schiena, costringendolo a stare dritto.
La cera utilizzata per i capelli iniziava a prudere, così come il bavero esageratamente incollato.
L'odore di naftalina era diventato un tutt'uno con la sua pelle.

«Spero che il viaggio sia di vostro gradimento Monsieur»

Lo distrasse la giovane nobildonna seduta di fronte a lui.
La colonia che indossava era talmente tanto forte da avergli essiccato le papille olfattive. Per non parlare del modo ridicolo con cui metteva in evidenza i seni e il busto stretto, cercando di attirare la sua attenzione.
Levi dovette richiamare a sé tutta la sua buona volontà per non dire una delle sue solite cattiverie.

Shaedis gli pestò il piede, facendogli cenno di rispondere.

«Certamente...»

«Madame Chloé» si apprestò a ricordargli il nome, sorridendo dolcemente.

Chloé doveva essere una delle amiche della sorella, la quale era stata così gentile da ospitarli la notte precedente, permettendogli di lavarsi con acqua calda e sapone profumato, oltre che a fornirgli gli abiti che indossavano.

«Non preoccuparti fratellino» si era apprestata a rispondere Shaedis una volta mostratosi contrariato «ho in serbo una maison meravigliosa per il tuo culo da re»

«Mi rammentate il vostro lavoro?»

Aveva richiamato la sua attenzione il marito della giovane donna.

«Sono un ricercatore» improvvisò, schiarendo la voce.

«Ricercatore? In quale ambito?»

«Mi interessano tutti gli ambiti. Dall'arte alla scienza»

«Allora deve essere stato davvero un peccato vedere affondare la vostra nave»

Non sapeva che storia avesse raccontato Shaedis a quelle persone, ma decise di reggere il gioco alla sorella che lo guardava con estrema urgenza.
L'uomo non sembrava convinto di quella storia ma non fece altre domande, limitandosi a lanciare un'occhiata alla moglie, intenta a fissarsi le mani agitata.
Sentì Shaedis inspirare profondamente, voltandosi verso lo sportellino imbottito.

Levi odiava quella situazione tanto quanto lei, per non parlare del fatto che non vedeva l'ora di filarsela da quell'epoca storica retrograda e antiprogressista che non gli era mai piaciuta.

Non capiva perché Caym l'avesse scelta.

«Siamo arrivati!»

Esclamò emozionata Chloé, affacciandosi di poco alla finestra semiaperta della carrozza.
Numerosi erano i calessi parcheggiati di fuori, illuminati dalle luci fioche di candele che adornavano il giardino sulla quale poggiarono i loro piedi.
Shaedis si resse sulla spalla del fratello, mettendo in mostra la sua poca leggiadria e guadagnandosi degli sguardi divertiti da uomini intenti a fumare dei sigari.

«Salauds arrogants» imprecò la ragazza, alzandosi il vestito per non inciampare sui suoi passi.
«È proprio per uomini come loro che le mogli trovano divertimento altrove» concluse, sorridendo verso di essi.

Levi chiuse gli occhi, raccogliendo la calma che gli era rimasta, porgendole il braccio.

«Cerca di essere composta, per favore» l'ammonì, procedendo in direzione dell'ingresso, riconoscibile da un arco floreale.

La ragazza sospirò, concentrandosi nel non inveire sui suoi piedi doloranti a causa di tacchi scomodi.

«Quindi, il padre psicotico di Aurelia potrebbe essere a questa festa?»

«Si chiama Anneka» la corresse subito il fratello, salutando alcune giovani donne. «E sì, potrebbe essere presente»

«Se lo dovessi riconoscere, cosa hai intenzione di fare?»

Levi non aveva ancora pensato a un piano completo.

Avrebbe voluto fargli talmente tanto del male che non sapeva da dove iniziare, ma di certo la sua vendetta non poteva essere consumata davanti agli occhi di tutti.
Per non parlare del fatto che il Caym che si sarebbe ritrovato davanti, non era a conoscenza di tutti i misfatti che avrebbe commesso da lì in avanti.

«Ho molte conoscenze nell'alta società e, dato che non hai molto tempo a disposizione, posso chiedere informazioni»

Shaedis afferrò un calice di spumante, voltandosi poi verso Levi che aveva deciso di non bere, così da mantenere a pieno la sua lucidità.
L'osservò distrattamente, beandosi di quei tratti che non erano cambiati, nonostante fosse passato molto tempo.
In quelle ormai due settimane di convivenza, aveva capito quanto lui avesse sofferto, avesse lottato e stesse lottando per quella causa. E ammirava profondamente quella determinazione, quell'ardore presente nel cuore nonostante i decenni.
Ma non riusciva a perdonarlo, nonostante la loro conversazione a cuore aperto.

Però si era promessa di farlo, un giorno.

«Non voglio che tu ti esponga. Rimani nell'anonimato e se la situazione dovesse peggiorare-»

«Scappa, si lo so» lo interruppe annoiata. «Ma deciderò comunque da me, ricordo ancora qualche insegnamento di nostro padre»

Levi decise di non continuare quella discussione, in quanto non avrebbe portato a nulla.
Shaedis era testarda tanto quanto lui, se non di più, e avrebbero finito per litigare proprio in un momento in cui si sarebbe dovuta mantenere la calma più assoluta.

La serata procedette senza intoppi, permettendogli di pensare a un possibile schema di attacco.
Aveva deciso che per prima cosa lo avrebbe portato lontano da quel luogo, per evitare di provocare vittime innocenti; successivamente, gli avrebbe fatto confessare dove si trovava la sua anima, per poi ucciderlo, sperando di eliminare anche quello che stava nel suo, di mondo.

Ed era davvero intenzionato a farlo, se solo quella vetrata non fosse esistita.

Osservava il panico negli occhi di Anneka, ne percepiva l'impotenza e la paura scorrere veloce all'interno delle sue vene.
Il cuore della ragazza aveva preso a battere più forte, il sudore insinuarsi nelle insenature del collo e del suo seno compresso all'interno di quel corsetto.

«Siete accaldata, mademoiselle

Inveì ulteriormente Caym, appoggiandole una mano sulla schiena, coperta da un sottile strato di tessuto.
Avvicinò il viso al suo, tenendo gli occhi fissi sulla figura del ragazzo che aveva iniziato a dimenarsi dall'altra parte del vetro.
Anneka deglutì a fatica, sentendo il petto esplodere per quella situazione che era nettamente fuori dal suo controllo.
Avvertì qualcosa di appuntito spingerle contro il fianco e, abbassando gli occhi, potè notare la lama luccicante di un coltello affilato fuoriuscire dalla manica dell'abito di Caym.

«Rispondimi e nessuno si farà male»

Quel sorriso perfido non gli aveva abbandonato il viso, ingannando gli invitati accanto a loro di star sostenendo una normale conversazione.

«Che cosa vuoi?» chiese d'un fiato la ragazza, osservandolo dallo specchio.

Gli occhi ambra di Levi, stretti in quell'espressione tra l'irato e il preoccupato, la guardavano attentamente.
Non gli importava di nulla in quel momento, solo di raggiungerla.
E in fretta.

«Levi cosa cazzo stai facendo?» sussurrò Shaedis a denti stretti. «Ci fissano tutti» continuò, sorridendo agitata verso quegli occhi accusatori.

«Anneka è in pericolo, devo salvarla»

Non si mosse da quella vetrata, cercando un modo per poterla attraversare, rompere o eliminarla.
Shaedis si avvicinò ulteriormente, afferrandolo per il colletto e facendolo voltare verso di lei.

«Se non la smetti di comportarti come un... pazzo» continuò la ragazza, lisciandogli il completo sulle spalle e guardandolo dritto negli occhi. «Ci arresteranno»

«Non capisci, lei è...»

Si voltò di nuovo e tutto ciò che aveva visto, improvvisamente, sparì.
Non c'era più Anneka e nemmeno Caym dall'altra parte di quello specchio.
Solo lui, il viso smunto e l'intera sala intenta a parlare di lui.

Eppure, lui era sicuro di averla vista, così come lo era lei.

«Ci sono tante cose che vorrei, figlia mia» disse l'uomo, rivolgendole adesso lo sguardo. «Ma per prima cosa vorrei capire come ci sei arrivata fino a qui e, soprattutto, perché sei da sola. Dov'è il tuo cagnolino?»

«Non ho nessun cagnolino»

«Non credo proprio» sentì la lama bucare il tessuto del suo abito e poggiarsi, fredda, contro la pelle della sua schiena. «Era proprio dall'altra parte, scodinzolando disperato»

-César-

La voce di Iphigénie li riportò entrambi alla realtà.
Entrambi si raggelarono e Caym cambiò completamente espressione, assumendone una più dolce e meno colpevole.

«Mon amour» disse, sorridendo alla donna. «Sei incantevole, come sempre»

«Credevo tornassi a fine mese» continuò osservando prima lui e poi la sua dama.

«Ho voluto farti una sorpresa, spero tu ne sia felice»

«Certo» si schiarì la voce, indicando poi Anneka «vedo che... hai conosciuto la mia amica»

«Esattamente, mi sembrava un viso già visto ma... come mio solito, l'ho confusa»

La sua risata fu contagiosa per Iphigénie, ma non per lei.

Le veniva da vomitare e la testa non aveva smesso di girarle dal momento in cui lo aveva visto.
Si portò una mano sullo sterno, provando a fare dei piccoli respiri per poter regolarizzare il battito cardiaco, senza però riuscirci.

«Devi capire, Annie, mio marito comincia a perdere colpi»

«Sono i miei continui viaggi, mi confondono!»

Si strinse alla donna, baciandole poi la punta del naso.

Ne approfittò che il padre si fosse distratto, immergendosi nella folla di gente che si era apprestata a occupare l'intera sala da ballo per dare inizio alle danze.
Sgusciò via da quegli abiti, in direzione della balconata adornata da enormi fioriere ricolme di lavanda.

Chiuse gli occhi e con le mani tremanti, cercò di slacciare i fiocchi del corsetto, disperata.
Si appoggiò alla pietra del davanzale e, quando riuscì a sfilarlo, lo lasciò ricadere nel vuoto presente oltre i suoi piedi.

Inspirò più volte, lasciando che l'aria fredda le gelasse i polmoni, colorandole le gote di rosso.
Sollevò il viso, osservando quelle nuvole bianche farsi sempre più spesse, simbolo che avrebbe nevicato di lì a poco.
Un ricordo improvviso dell'inverno precedente sembrò materializzarsi davanti ai suoi occhi: lei e il padre, avvolti dal piumone pesante e con le dita attorno a una tazza di cioccolata calda, ad osservare la neve cadere a piccoli fiocchi dal cielo.

Iniziarono a pizzicarle gli occhi e il labbro inferiore tremare leggermente: non si capacitava per quale motivo tale felicità le fosse stata negata in quella vita di cui non ricordava nulla.
Perché il padre, della vera sé stessa, si era rivelato essere un vero demonio.

Un urlo, così acuto e disperato, squarciò l'aria e si propagò per tutto lo spazio circostante.
La luna sembrò celarsi spaventata dietro le nuvole, trascinando via con sé le stelle.
L'oscurità si impadronì non soltanto della notte, ma anche del ballo che fino a poco prima pullulava di sorrisi e risate fragorose.

Ogni singolo invitato giaceva a terra, avvolto da una pozza di sangue scura che si univa pian piano in un unico mare profondo.
Caym sorreggeva per il collo Iphigénie i cui occhi terrorizzati si spostavano velocemente da quello che aveva creduto suo marito e Anneka.
Gli abiti che indossava l'uomo avevano assunto diverse tonalità del rosso, illuminate dalla luce fioca di quelle poche candele che non si era spente dinnanzi gli schizzi del liquido vitale.

Dai capelli neri corvini e leggermente riccioluti, colavano piccole gocce di sangue.

La musica era cessata e un silenzio surreale si adagiò sui loro corpi.

Il genocidio da parte di Caym era appena iniziato e Anneka non aveva modo per contrastarlo.

«Bene, adesso che ho la tua attenzione, spero tu sia pronta a collaborare» tuonò, stringendo leggermente le dita lunghe attorno al viso della donna. «O vuoi che anche lei faccia la loro stessa fine?»

«Lasciala andare»

Fece un passo in avanti, mentre con gli occhi scuri cercava velocemente in ogni angolo della stanza qualche arma da utilizzare.
I due coltelli da cucina che si era nascosta nelle giarrettiere non sarebbero serviti a nulla.

«Dove si trova Levi?»

«Non lo so, non è qui con me»

«Questo lo vedo, ecco perché te lo sto chiedendo»

«Sono venuta qui da sola, a lui non ho detto nulla»

«Non prendermi per il culo Anneka, l'ho visto: era dall'altra parte dello specchio. Dimmi solo dove si nasconde»

«Altrimenti? Uccidere persone innocenti non ti farà avere ciò che desideri»

Caym sorrise, liberandosi poi in una risata senza contegno.
Iphigénie continuava a dimenarsi tra le sue mani, seppur i suoi movimenti presero a rallentare gradualmente mentre delle lacrime di disperazione scendevano copiose dalle sue guance.

«Io non uccido per me, ma per te» tornò improvvisamente serio, osservando la ragazza bionda tra le sue mani. «È colpa tua se le persone muoio» si avvicinò verso la donna, adagiandola per terra.

Iphigénie si portò una mano al collo, respirando velocemente.

«Se non ti fossi venduta come una prostituta al primo che ti ha donato il suo cuore, non mi avresti costretto a diventare il mostro che sono ora»

«Non dare a me la colpa delle tue azioni deplorevoli. Sei solo un mostro, indipendentemente da ciò che fai»

L'uomo sorrise, divertito da quelle provocazioni che la figlia continuava a mandargli.
Gli piaceva vederla così agguerrita per una lotta che non avrebbe mai potuto vincere.
Vide la ragazza bionda alzarsi e correre verso di lei.

«E dimmi, cosa puoi fare per fermarmi?»

Sollevò una mano in direzione della sua copertura, la strinse lentamente, qual tanto che bastò per spezzare il collo a Iphigénie, la quale cadde con sguardo terrorizzato ai piedi di sua figlia, completamente senza vita.

Anneka la osservò, stringendo i pugni lungo i fianchi.
Non poteva fare nulla contro di lui.
Quando sollevò lo sguardo verso il padre, ritrovò la lama che prima le aveva puntato al fianco a pochi centimetri dal suo viso, in mezzo agli occhi, pronta per essere infilzata nel suo cranio.

«Sei solo un bastardo»

«Ho ricevuto insulti peggiori»

«Un vile che si nasconde dietro una motivazione estremamente infantile e priva di alcun significato» lo provocò ancora Anneka. «Ci sarà un motivo se ho scelto Levi a te, non credi? Pensi che avrei mai potuto dare un potere così importante nelle mani di un incapace come te?» continuò, vedendo le mani del padre tremare leggermente.

Appoggiata contro il cornicione in pietra del balcone, riuscì a nascondere le mani dietro la schiena e a insinuandole sotto la gonna ampia del vestito.
Riuscì ad afferrare il manico di uno dei due coltelli, portandolo su un fianco.

«Guardati, hai dovuto vendere l'anima a Satana per avere solo un briciolo di forza tra le mani, solo per sapere, anche solo per un secondo, cosa significa essere padroni di qualcosa»

«Sta zitta» l'ammonì a denti stretti, spingendola verso il cornicione del balcone in pietra.

«Non puoi uccidermi, io ti servo. Altrimenti che senso avrebbe la tua vita miserabile?»

Il demone serrò la mascella, prima di abbassare l'arma.
Lo vide scuotere la testa e sospirare per quelli che parvero secondi interminabili, ma non abbastanza da permetterle di pugnalarlo.
Il respiro del padre si fermò, mentre il suo prese ad accelerare.

Accadde tutto in un attimo.

Il braccio di Caym la sollevò da terra, facendole sfiorare con la punta dei piedi il poggiolo. Anneka provò a dimenarsi, ma non riusciva a raggiungere il suo corpo per colpirlo.
L'arma le cadde dalle mani, facendo sorridere il padre.

«Sarai pure mia figlia» disse piegando la testa di lato. «Ma non sei indispensabile come credi»

Osservò il vuoto che le si apriva sotto i suoi piedi, dentro la quale caddero le scarpe in raso che indossava. Deglutì a fatica, spostando lo sguardo sugli occhi blu di Caym.

«Fin dall'attimo in cui sei nata, ho capito che qualcosa in te mi avrebbe trascinato all'Inferno e così è stato. Ma adesso, sono pronto a portarti giù con me, fosse l'ultima cosa che faccio»

«Allora...» disse Anneka, con l'ultimo fiato che gli restava. «Ti aspetto all'Inferno»

Come un fulmine tra le nuvole tetre di un temporale, una freccia colpì l'arto che la sosteneva.
La mano di Caym abbandonò il suo collo e lei cadde contro la pietra dura della terrazza, sbattendo violentemente la testa.

Il viso iniziò a colorarsi di rosso e nonostante la vista fosse annebbiata, ebbe la prontezza di afferrarsi a una delle colonne che componevano la ringhiera, ignorando il bruciore dei muscoli delle braccia che sostenevano tutto il suo corpo.
Era totalmente esposta a quell'oscurità che minacciava di inghiottirla.

Movimenti veloci sopra la sua testa, urla di dolore e di fatica dovuto a un combattimento si propagarono velocemente, fino a quando non vide qualcosa cadere oltre sé stessa.
Non capiva cosa stesse succedendo.
Doveva sbrigarsi a fuggire se voleva vivere ancora.

«È qui!»

Una voce femminile riportò la sua attenzione sopra di sé, seguita dalla vista di una ragazza dai capelli rossi, raccolti in una acconciatura ormai spettinata.
Accanto a lei, spuntò il viso macchiato di sangue di Levi.

Il ragazzo si sporse velocemente verso di lei, allungando le braccia e afferrandole le spalle.
Anneka cercò di sollevarsi, poggiando i piedi tra gli spazi presenti nelle colonne, ritrovandosi con il viso difronte a quello di Levi.

«Sei... davvero qui?» soffiò a pochi centimetri dalle sue labbra, mentre le mani stringevano saldamente le sue braccia muscolose, avvolte da una giacca nera ormai sfregiata.

«Sono qui» sussurrò, lasciando che gli occhi vagassero su quel viso.

«Credevo di non rivederti mai più, credevo di -»

Levi l'attrasse a sé, senza pensare, affondando il viso tra i suoi capelli morbidi.
Sentire il suo respiro caldo a contatto con la sua pelle fredda, gli bastò per mettere a tacere ogni preoccupazione.
Era lì, finalmente.
Anneka nascose l'espressione stupita nell'incavo del suo collo, un posto che sembrava essere stato creato apposta per lei.
Si strinse, assaporando quell'odore familiare che tanto le era mancato.

«Ti troverò sempre» le sussurrò all'orecchio. «Sempre»

«Lo so»

Chiuse gli occhi, inspirando profondamente.

L'aiutò a scavalcare il balcone, permettendole di tornare con i piedi su suolo stabile.
Si staccò a fatica da lui, tenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi.
Levi sollevò una mano, posandola dolcemente sul viso, cercando di eliminare del sangue secco presente sulla sua guancia, indugiando più del dovuto.

«Stai bene?»

«Adesso sì»

«Bene»

Rispose lui, intrecciando le dita della sua mano sinistra con le sue.
Entrambi si voltarono verso la sala dentro la quale era presente una grossa quantità di vittime innocenti, tra cui Iphigénie.
Shaedis si era accasciata accanto a lei, spostandole alcune ciocche di capelli sporche di rosso dal viso.
Le chiuse gli occhi, adagiando un piccolo bacio sulla sua fronte.
Si tolse il mantello, coprendo il suo corpo esile.

«Non meritava una morte così» sussurrò senza voltarsi.

«Mi dispiace» disse Levi, avvicinandosi di poco.

«Già» continuò la ragazza, facendo forza sulle sue ginocchia per rialzandosi.

Si voltò verso di lui e Anneka, attraverso la luce fioca di una candela, riuscì a notare lo sguardo rassegnato presente sul volto pulito.
Stringeva un arco tra le mani e una fondina piena di frecce era legata alla sua coscia destra.

«Ho perso il conto di tutte le volte in cui hai detto questa frase» si leccò le labbra, prima di dedicare solo un attimo della sua attenzione alla ragazza. «Spera che non arrivi il giorno in cui dovrò dirla io»

****

Il modo brusco in cui frenò la carrozza fece svegliare Anneka.
Levi si era apprestato a curare la profonda ferita presente sulla sua tempia, lasciando solo un piccolo segno traslucido, prima di salire su quel mezzo e allontanarsi dalla casa in cui aveva trascorso le ultime due settimane.
Come la sua, anche questa era stata data alle fiamme, così da poter giustificare la morte di una così grande quantità di persone.

Un incendio, provocato dall'innumerevole presenza di candele, era la spiegazione più credibile per quell'epoca.

Il calesse si fermò all'alba difronte a un'abitazione su due piani.
Le imposte mogano scuro erano aperte, permettendo alla luce del sole fioca di entrare.

Nella notte aveva nevicato copiosamente, ricoprendo il giardino inglese che circondava la dimora.

Sentì due tonfi, seguiti da alcuni passi lenti sul truciolato, prima che la porta della carrozza fosse aperta, rivelando il volto magro di Levi.

«Siamo arrivati» comunicò, sorridendo appena e aiutandola a scendere.

Anneka sollevò il viso, osservando meglio il luogo in cui si trovava ma, inevitabilmente, il suo sguardo cadde sulla figura che la sera prima l'aveva salvata.
Si schiarì la voce e si apprestò a raggiungerla nell'attimo in cui stava sciogliendo i due cavalli dalle briglie, per portarli nella piccola stalla presenti in quel giardino.

«Ci tenevo a ringraziarti» proruppe, attirando la sua attenzione.

Gli occhi gelidi, identici a quelli di Levi, la guardarono con la stessa intensità di due lame conficcate nel petto.

«Non è necessario» si limitò a rispondere, accarezzando la chioma lunga del puledro. «Non ci sarà una seconda volta»

«Shaedis» la rimproverò Levi, affiancando Anneka. «Non è necessario trattarla in questo modo»

La ragazza li osservò, scuotendo la testa e lasciando che la lingua inumidisse il suo labbro inferiore.

«Hai ragione» annuì ironica. «Ho dimenticato di chiedere ai miei domestici di esporre il tappeto rosso e di preparare il banchetto, spero non sia un problema»

Levi non riuscì a ribattere, dato che la sorella si apprestò ad allontanarsi da loro, prima di esagerare con le parole.
Non voleva comportarsi in quel modo, ma non poteva fare altrimenti: a causa loro, l'unica persona che sembrava averla compresa davvero, aveva perso la vita, lasciandola completamente da sola.

«Perdonala» disse Levi, sospirando anche se non ne aveva bisogno. «La simpatia è una cosa di famiglia» cercò di ironizzare.

Anneka era troppo scioccata per ribattere e per questo decise di limitarsi ad osservare la figura longilinea di quella ragazza sparire all'interno della scuderia.

Era già sicura che le avrebbe dato del filo da torcere.
Proprio come Levi.

La neve iniziò a scendere copiosa, posandosi delicatamente sulle loro guance.

«Sarà meglio entrare, dobbiamo pensare a un piano»

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