𝑺𝑬𝑻𝑻𝑬


Quando le prime luci dell'alba illuminarono timide la stanza cupa e disordinata di Levi, lui era già sveglio.
I suoi occhi erano fissi sul soffitto decorato con motivi floreali laccanti in oro che, colpiti dal sole, crearono uno splendido gioco di luci, riflettendosi sull'addome scolpito del ragazzo.

Le lenzuola grigio fumo coprivano le sue nudità e quelle della ragazza distesa accanto a lui. I capelli viola le ricadevano morbidi sulla fronte, nascondendo le ciglia lunghe. Il viso era disteso, pulito e rilassato, sintomo di un sonno senza incubi.

Rose dormiva tranquillamente, ignara dell'ira che si sarebbe abbattuta su di lei nel giro di pochi minuti.

Levi si alzò di colpo, facendo sussultare la ragazza, e tastò con le mani il comodino alla ricerca di una sigaretta che, purtroppo, non c'era.

Merda.

Imprecò mentalmente, passandosi frustrato una mano tra i capelli folti.
La rabbia, l'unico sentimento concessogli, si era nuovamente impossessata di lui, rendendolo più nervoso del solito.
L'ennesima notte passata insonne non aveva giovato al suo temperamento, manifestandosi attraverso un aspetto trasandato: gli occhi d'ambra circondati da profonde occhiaie nere, parevano essere gli occhi di un gufo, in una notte senza luna; il viso scavato e la barba leggermente incolta, facevano a pugni con quello che in realtà doveva essere l'aspetto di uno dei demoni più affascinanti che Lucifero avesse mai creato.
Era solito vantarsi del suo aspetto, utilizzato come scudo per quel carattere tagliente e distruttivo, ma in quel momento tutto sembrava inutile, effimero.

Il sonno tranquillo era un lusso che non poteva permettersi.

Ogni volta che provava a chiudere gli occhi, una forte pressione al petto gli impediva di respirare, mentre le orecchie venivano inondate dalle urla di dolore e dalle suppliche di quei dannati a cui aveva dovuto lasciare la propria anima.

Ogni volta che provava a dormire, riviveva quel momento in cui gli era stata strappata la sua vera essenza, rendendolo l'involucro vuoto che era adesso, in cui la fiamma dell'Inferno bruciava quella poca razionalità che gli era rimasta.

A destarlo dai suoi pensieri furono i movimenti di Rose, che gli accarezzò la schiena marmorea e muscolosa. Muoveva le dita in modo circolare, raggirando le molteplici cicatrici che gli decoravano il corpo: erano segni indelebili, lettere che se messe insieme raccontavano una storia fatta di errori di cui avrebbe portato per sempre i marchi.

Ognuna di esse intrappolava un ricordo, un sentimento, un dolore che inevitabilmente lo riconduceva a lei.

«Che ore sono Levi?» sussurrò la ragazza, baciandogli il collo.

«L'ora in cui sparisci» rispose, alzandosi dal letto.

Infilò un paio di boxer e si diresse verso la finestra.
Odiava quando qualcuno lo interrompeva durante il flusso dei suoi pensieri, durante uno di quei momenti in cui avrebbe voluto essere da solo, succube del suo animo dannato.

«Con te il risveglio è sempre una sorpresa» si lamentò Rose, stiracchiandosi.

«Finora non si è mai lamentato nessuno» disse, guardando la ragazza attraverso il riflesso della finestra.

Rose scosse la testa, alzandosi dal letto.
Si avvicinò a lui, accarezzandogli il sedere sodo, per poi passare la mano sulla sua intimità.

Levi chiuse gli occhi e per un attimo ebbe l'istinto di abbandonarsi nuovamente a quel desiderio carnale, liberando la mente da tutti quei pensieri che lo opprimevano, che lo rendevano cupo e incapace di vivere.

«Rose, è ora che tu vada via.»

La bloccò, tenendo gli occhi fissi sul panorama.
Sentì Rose sbuffare e avviarsi verso i vestiti sparsi sul pavimento.

«Non capisco perché tu debba sempre fare così. La sera prima mi cerci per scopare e il mattino dopo mi cacci come se nulla fosse.»

«Rose» l'ammonì il ragazzo.

«Ho capito!» sospirò Rose, infilandosi un pantaloncino e una maglia nera «Non fare tardi, lo sai che Edgar ci tiene alla colazione» disse la ragazza, arrendendosi e dirigendosi verso l'uscita. «Oggi sarà anche più divertente, dato che ci sarà lei» concluse, chiudendo la porta della camera dietro di sé.

Levi rimase solo.
Tirò un sospiro di sollievo, passandosi una mano sul mento ruvido.
Si era dimenticato di quanto fosse frustrante stare dietro a un'altra persona che non fosse sé stesso: ecco perché non si era mai legato a nessuno.

A parte lei.

L'unica persona che avesse mai amato e l'unica che lo aveva portato alla più totale distruzione.

La colpa è mia.

Si disse, infilandosi velocemente un paio di jeans scuri e una felpa leggera smanicata con il cappuccio che, ovviamente, tirò sopra i suoi capelli ramati.

Le ho permesso di insinuarsi nelle parti più oscure della mia mente, del mio cuore e di ogni fibra del mio corpo, donandogli il completo e totale dominio su di me.

Continuò, chiudendo la porta dietro le sue spalle.

Una risata proveniente dalla fine del corridoio attirò la sua attenzione: Theon usciva sorridente dalla stanza di sua sorella, tenendo la porta aperta alle due ragazze. Il suo essere così galante lo irritava a tal punto che gli avrebbe volentieri tirato un pugno sul naso. Helene tentava di farsi una treccia mentre annuiva a una delle tante storie che il fratello era solito raccontare, mentre Anneka rideva costantemente, portandosi una mano davanti alla bocca.

Levi la osservò ridere e si sentì pervaso da una strana gelosia, subdola e viscerale, che gli fece chiudere lo stomaco in una morsa.

Lei ride, mentre io mi distruggo.

«Ehi Levi!» lo salutò Theon, incrociando le braccia. «Che brutta faccia che hai»

«Mai quanto la tua Trilli» sorrise ironicamente, procedendo per la sua strada.

Entrò rumorosamente all'interno della stanza da pranzo, attirando l'attenzione dei presenti.
Edgar era seduto a capo tavola, con le braccia appoggiate sul suo addome e il sigaro fumante sul portacenere. Lo sguardo era rivolto direttamente verso Levi, il quale non lo degnò neanche di un saluto.

«Non si saluta?» chiese Edgar, osservando il figlio.

«Vuoi anche il bacio del buongiorno magari?» rispose a tono, versandosi un po' di caffè sulla tazza floreale.

Odiava il buongusto che Edgar credeva di avere.
Le sue buone maniere lo irritavano, così come quel sorriso che gli era spuntato in viso quando vide entrare Anneka, seguita dalle sue due guardie del corpo.

I pochi eletti, com'era solito chiamarli Levi, sedevano a quel tavolo, ricco di bevande e dolci di ogni tipo.

«Non credevo che la regina Elisabetta facesse colazione con noi, oggi» commentò Levi, azzannando un cornetto alla crema.

«Non verrà la regina Elisabetta, ma abbiamo un ospite d'accogliere, Levi» lo rispese il padre, osservandolo in modo torvo. «Di' solo una parola di troppo e giuro che te ne pentirai» sibilò a denti stretti.

Levi rispose con uno sbuffo, mentre Edgar si alzava in piedi, pronto a tenere uno dei suoi soliti discorsi.

Ci risiamo.

«Buongiorno a tutti miei cari! Spero abbiate trascorso una serena notte in Accademia! Adesso che siamo tutti qui, finalmente, ci tenevo a dire che da questo momento in poi le cose si fanno serie» si interruppe, spostando la sedia e iniziando a camminare intono al tavolo. «Ognuno di voi ha un dono e come tale deve essere coltivato, accudito e reso degno di essere utilizzato. Ognuno di voi è speciale e l'Accademia è il posto giusto per splendere e rinascere» disse, incrociando gli occhi con ogni persona lì presente. «Per questo, esigo massimo rispetto e impegno per ogni singolo giorno che trascorrerete qui dentro. Tutto chiaro?»

Tutti annuirono, sorridendo di rimando.

Tutti tranne uno.

«Ci siamo intesi Levi?» lo richiamò Edgar.

«Sissignore»

«Bene, detto questo, procedete pure con la colazione. Ci aspettano tante cose interessanti oggi.»

I presenti presero a parlare tra di loro, chiedendosi cosa avrebbero dovuto fare durante le ore di allenamento o di lezione.

Levi non avrebbe fatto altro che starsene rinchiuso da qualche parte, lontano da tutto e tutti, a studiare un qualsiasi modo per poter mettere fine a quell'agonia. Non aveva bisogno di allenarsi o apprendere: sapeva già tutto, ogni singolo avvenimento.

Avrebbe voluto cambiare solo la fine.

Sorseggiando il suo caffè, Levi passò in rassegna tutti i presenti, focalizzando il suo sguardo verso la persona seduta difronte a lui.
Anneka beveva un caffè americano, ignara del fatto che il ragazzo la stava distruggendo con gli occhi. Osservava attenta Helene, la quale le raccontava il modo in cui aveva scoperto di possedere i suoi poteri; Theon teneva un braccio attorno alla sua sedia, mangiando un cornetto con della frutta fresca sopra.

«Theon, qual è la tua abilità invece?» chiese curiosa, passandosi il tovagliolo sulle labbra rosee.

Fare il coglione, avrebbe voluto rispondere Levi.

«Io sono più una sorta di guerriero guaritore» rispose vago.

Levi lo osservò e sorrise per quella risposta.
Avrebbe voluto aggiungere quanto la sua polvere magica non fosse servita praticamente a nulla negli ultimi decenni, ma decise di rimanere in silenzio, lasciandogli ancora un po' di gloria.

«E tu Levi?»

Il ragazzo inchiodò Anneka con il suo sguardo, la quale però non si fece abbattere.
Incrociò le braccia al petto prosperoso, tenendo le labbra sollevate in un leggero sorriso.

«Avanti Levi, rispondi ad Anneka» canzonò Edgar al suo fianco.

«Cosa te lo fa pensare?»

«Cosa?» rispose la ragazza confusa.

«Cosa ti fa pensare che tu possa rivolgermi la parola?» chiese serio.

La stanza cadde in un silenzio gelido.
Tutti i presenti osservavano attenti la scena, mentre Levi si alzava dalla sua sedia.
Anneka rimase zitta e osservò i suoi movimenti, prima di abbassare lo sguardo e mangiare silenziosamente il suo cornetto.
Theon lo osservò, stringendo la mascella, mentre Helene tirò un sospiro affranta.

«Io ho finito» disse, posando rumorosamente la tazzina sul piattino in ceramica. «Non cercarmi oggi Edgar, ho da fare» disse, senza dare la possibilità al padre di ribattere.

Levi uscì fuori dalla stanza con la stessa velocità di un drago che, dopo aver incendiato un intero villaggio, vola via, contento per la distruzione causata.



Levi si trovava al centro di una stanza vuota.
Gli occhi puntanti su quell'infinito che gli entrava dentro, come aria per quei polmoni che avevano dimenticato come si respirasse.
L'aria frizzantina lasciata come ricordo da un temporale estivo, si scontrava con la pelle ardente del suo volto, scompigliando i suoi capelli ramati.

I due pozzi d'ambra pura e incandescente erano fissi sulle onde alte dell'oceano, che si infrangevano rabbiose sulla battigia.

Avrebbe voluto essere una di quelle onde, potente e di breve durata, capace di spazzare via qualsiasi cosa e lasciare solo il nulla.
Levi si sentiva in trappola, in catene in quell'esistenza che lo rendeva arido e privo di qualsiasi sentimento.
Non provava vergogna per il suo comportamento, per il modo in cui aveva trattato Anneka e suo padre durante la colazione.
Non provava pena per nessuno, neanche per sé stesso.

Ecco perché si era rifugiato in quella stanza, vuota e priva di qualsiasi oggetto.
Aveva passato tutto il giorno chiuso al suo interno, essendo sicuro che nessuno lo avrebbe mai disturbato.
Era rimasto lì, a fissare l'infinito con il solo desiderio di perdersi in esso e volare via, senza lasciare traccia.

Inspirando profondamente afferrò il violino che aveva rubato dalla collezione centenaria di suo padre, e lo portò sulla sua spalla.
Posizionò la bacchetta sulle corde ben tirate, facendole emettere flebili suoni striduli, prima di essere mosse dalla frenesia di quelle note rabbiose e rudi.

L'Inverno di Vivaldi era la colonna sonora per quell'animo oscuro.

Senza neanche accorgersene diede sfogo alla musica, che uscì dalle sue dita come pioggia da nubi nere, come acqua da una fonte, come lacrime dagli occhi di un amante alla vista della morte della persona amata.
Più suonava, più era forte l'odore di morte, di oscurità, di nullità che lo circondava, riportandolo al giorno in cui aveva visto morire sua madre.

Il suo viso, prima sorridente e ricco di luce, adesso giaceva lì, su quel terreno arido e stepposo della sua memoria.
Più passavo gli anni, più Levi dimenticava il suo volto, il quale veniva sostituito da una tela spenta e senza vita.

«Sapevo che lo avevi preso tu»

Una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.

«Che ci fai qui?» disse fissando la figura. «Ti avevo detto di non cercarmi.»

«Dimentichi che questa è casa mia» rispose Edgar, poggiandosi alla parete con fare stanco. «Conosco ogni singola stanza, anche la più nascosta. Non hai modo di sfuggirmi qua dentro» concluse tagliente.

Levi sospirò e decise non ribattere.
Ne aveva abbastanza di quei litigi con Edgar, ed era lì da meno di due giorni.
Portò nuovamente il violino sulla sua spalla, riprendendo la musica da dove l'aveva interrotta.

«Prima che tu ritorni a interpretare il Paganini della situazione, ci tenevo a sottolineare alcune cose» si avvicinò cauto. «Non devi assolutamente prenderti libertà che non ti sono state concesse. Non puoi parlarmi così davanti a tutti, come non puoi trattare in quel modo Anneka-»

«Si può sapere perché tieni a lei così tanto?» urlò esasperato, gettando lo strumento a terra.

Il violino si ruppe in mille pezzi.
Levi lo fissò con occhi tristi, quasi come se vedesse lui stesso in quei piccoli pezzi di legno sparsi sul pavimento.
Pezzi che non sarebbero mai potuti tornare insieme.

«Ascolta bene le mie parole!» iniziò l'uomo, afferrando il figlio per le spalle. «Io so e capisco il tuo dolore. Capisco la tua rabbia e la tua sofferenza ma comportarti in questo modo non riporterà indietro tua madre. Odiare Anneka non ti riporterà indietro tua madre.»

«Non puoi dirmi come devo comportarmi.»

«Invece sì! Posso e devo perché sono tuo padre e sono l'ultima persona rimasta dalla tua parte, lo capisci questo? Sono l'unica persona che darebbe la vita pur di salvare la tua!»

«Mi sembra un po' tardi.»

«Levi, qualunque cosa tu abbia in mente di fare, scordatela! Se la Congrega venisse a sapere di questo astio nei confronti di Anneka, per noi sarebbe la fine» cercò di convincerlo. «Siamo la tua famiglia, ci vuoi davvero distruggere in questo modo?»

Levi osservò suo padre e per un attimo lo vide più vecchio di quello che era realmente.
Era esausto, privo di forze e di speranza.

«Voi avete distrutto me senza battere ciglio. Perché adesso mi dovrebbe importare di voi?»

Levi si allontanò da Edgar, salendo sul davanzale della finestra.
Sentì l'aria trafiggerlo come mille lame, ma non gli importò nulla: avrebbe voluto perdersi in quelle correnti d'aria e andare lontano da quella sofferenza.

Ma non poteva farlo, doveva rimanere lì e andare incontro al suo destino, di nuovo.

«Levi, ti prego...»

«Mi dispiace, padre, ma non è un mio problema»

E si gettò, perdendosi in quei pochi secondi di libertà.


SPAZIO AUTRICE!
Buon pomeriggio a tutti!
Ecco a voi il nuovo capitolo!
Io non ho molto d'aggiungere... lascio la parola a voi!  🙈❤

Spero solo non sia stato troppo pesante!
Grazie per aver letto la mia storia e per il vostro supporto!❤❤

Alla prossima!

-imsarah_98

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