𝑸𝑼𝑨𝑻𝑻𝑹𝑶


Il suo corpo cadde in un ammasso di paglia putrida e piena di muffa.
Le mani intrappolate in due catene che le costringeva a tenere le braccia alzate, provocandole una torsione delle spalle molto dolorosa.
Le caviglie, piene di lividi e graffi sanguinanti, le rendevano i movimenti difficili.

Anneka aveva la gola secca e gli occhi che le lacrimavano per quei raggi del sole insistenti che le colpivano il volto.
Guardandosi attorno, notò una pietra leggermente appuntita poco vicina alla sua testa così, per quel che riuscì a fare, tirò più in basso le braccia, colpendo più volte le catene marce su di essa, fino a spezzarle.

Si alzò a fatica, sentendo le ginocchia cederle al minimo movimento e, aggrappandosi alle grate della sua cella, uscì da essa. Si incamminò lungo un corridoio illuminato da torce appese sulle pareti, scavalcando alcuni uomini gravemente feriti, fino a quando, girando l'angolo, non si ritrovò un ammasso di carne appesa alle due estremità del corridoio, circondata da mosche.

Il sangue colava ormai a gocce molto lente e dei vermi caddero, su quel poco di carne che vi era per terra. Appiattendosi alla parete in pietra grezza, Anneka cercò di non toccarlo, notando con suo orrore che quella carne maciullata non era altro che un uomo, il cui destino non era stato per niente clemente.

A stento riuscì a trattenere un conato di vomito, tappandosi naso e bocca con la mano.

Ma in che posto sono finita?

Raggirando il corpo notò per terra una spada di bronzo, ricoperta solo da qualche granello di sabbia. L'afferrò, portandola davanti al suo corpo, mentre con la mano libera cercava di non perdere l'equilibrio, attaccandosi alla parete. In lontananza sentiva delle urla di incitamento, seguite da urla di dolore.

Il terreno sotto i suoi piedi nudi tremava, così anche il tetto.

Attorno a sé, non vi erano altro che celle vuote e con enormi tracce di rosso sul pavimento che presuppose essere sangue. Alla fine del corridoio, davanti ai suoi occhi, si aprì un'arena grande centinaia di chilometri. Enormi archi sorreggevano gli spalti, pieni di persone in toga rossa e bianca, con in testa coroncine di foglie o altri frutti.

Al centro vi era un piano rialzato in legno scuro, circolare e pieno di tagli, circondato da un'enorme distesa di sabbia chiara e pietre.

Anneka si ritrovò essere stupita e angosciata allo stesso tempo.

Davanti i suoi occhi, due combattenti alle prese con un leone almeno il doppio della loro stazza, con un solo occhio e una fila di denti appuntiti.
Legato ad una sola catena, troppo sottile per quell'ammasso di forza, cercò di raggiungere invano l'uomo che indossava l'elmo in bronzo, completamente sporco di sangue.

L'altro invece, teneva in mano uno scudo malconcio e una spada, anch'essa sporca del liquido vermiglio.
I due si mossero in sintonia, colpendo l'animale ai lati del suo torace.

Anneka si portò una mano davanti la bocca e una lacrima le scese lungo la guancia.

Ma che sta succedendo?

Improvvisamente gli spettatori, dopo un incitamento iniziale, presero ad urlare una sola parola, pugna che Anneka scoprì di comprendere.

- Romani! Silentium! Princeps qui loquitur!

Sentì sopra la sua testa.

Era la stessa lingua che aveva sentito poco prima di ricadere in quel sogno da cui non vedeva l'ora di svegliarsi.

Anneka capì perfettamente.

-Certare usque ad mortem! -

Il pubblico si levò in grida di gioia e i due uomini presero a battere le loro armi contro gli scudi, verso gli spettatori, in segno di incitamento.
Poco dopo, i due ripresero a combattere, sferrando attacchi talmente veloci che Anneka si perse al seguito dei movimenti

-Tu, schiava! Cosa ci fai lì?!- sentì urlare da dietro.

Un uomo, alto e pelato, si protese verso di lei e, istintivamente, Anneka alzò la spada. Indossava una gonnella in pelle marrone, con alcune borchie dorate sulla parte alta della cintura. Sul petto, mappato da diverse cicatrici, vi era un'altra striscia di pelle composta da varie fessure, ognuna della quali conteneva un coltello di diversa grandezza.

Solo allora Anneka ebbe la certezza di trovarsi in un posto che non fosse Lostwinter e che, soprattutto, non fosse il secolo in cui, poco prima, si stava dimenando sulle note di una canzone pop.

Un sorriso viscido si fece spazio su quel volto deturpato da tre grosse e profonde cicatrici: artigli di una belva non sopravvissuta al suo avversario.

«Adesso tu verrai con me, senza storie.»

Senza avere il tempo e la forza di respingerlo, l'uomo sollevò la ragazza sulle sue spalle sudate, non badando alle proteste di questa: nonostante continuasse imperterrita a battere le mani sulla sua schiena, il suo rapitore non mostrava alcun segno di cedimento. Infatti, continuava a zittirla sculacciandola violentemente, come se fosse un animale agitato.

-Castor, lasciala andare! -

Una voce profonda alle sue spalle fece fermare l'uomo, che obbedì senza esitare all'ordine che gli era stato impartito.

«È una schiava che è fuggita dalla sua cella!»

«Non è una schiava! È Glykeria» urlò, allontanando l'uomo.

Quella voce apparteneva ad un ragazzo dai capelli biondi, lunghi fin sopra le spalle. I suoi occhi limpidi e di un azzurro simile al cielo in primavera la osservarono, alla ricerca di qualche possibile ferita sul suo corpo o di qualche altro segno.

Le sorrise, allungandole la mano.

«Glykeria, sono io Kyros... Alexis ci aspetta, dobbiamo andare prima che quei Barbari si accorgano che tu sei sparita»

«Kyros? Alexis? Io non...»

-Anneka...-

«Glykeria! Dobbiamo andare!»

Continuò a trascinarla, avvicinandosi all'uscita dell'arena.

-Anneka svegliati-

«Glykeria!»

Anneka aprì gli occhi annaspando.
L'aria le entrava dalla bocca, trafiggendo i polmoni come lame sottili. Il cuore le scalpitava in petto, fuori dal suo controllo, e il sudore le rendeva la pelle lucida alla luce della lampada sul comodino.

Davanti a lei la madre, con gli occhi pieni di lacrime, cercava di calmarla, accarezzandole il volto.

«Amore mio, finalmente!»

Disse la donna, baciandole delicatamente la mano destra, mentre accanto a lei delle figure si muovevano velocemente.

Anneka non riusciva a vedere i loro volti, non vedeva oltre il volto di Tessa.
Cercò di risponderle ma l'unico suono che fuoriuscì fu un respiro spezzato.

-Sarà meglio farla riposare, signora Lockwood–

No, non di nuovo.

Improvvisamente, qualcosa di freddo e di appuntito le pizzicò il braccio.
Il corpo perse progressivamente la sua rigidità, il cuore riprese a battere regolarmente e le palpebre si chiusero su due pozzi profondi d'ambra.




«Era necessario Levi?»

Edgar lo aveva richiamato nel suo ufficio quella mattina.
Assonnato e ancora in pigiama, Levi stava seduto di fronte al padre.

La gamba destra non aveva smesso di tremare un secondo da quando aveva messo piede lì dentro e gli occhi avevano incrociato tutto, tranne lo sguardo dell'uomo.
Nervoso, teneva le mani sull'addome piatto, rigirando i pollici.

«Mi avevi chiesto di agire e io l'ho fatto»

«Non in quel modo! Non è allenata e non era in un luogo sicuro! Tu sai quanto tempo c'è voluto prima che la madre dimenticasse tutto? Abbiamo dovuto chiamare Arianne per poterle cancellare la memoria!» urlò ancora, facendo avanti e indietro davanti la scrivania.

Teneva le mani tra i capelli corvini e gli occhi puntati sul ragazzo.

«E se fosse morta, che cosa avresti fatto?»

Niente, avrei gioito.

Pensò, quando quell'idea si fece spazio tra i suoi pensieri.

In fin dei conti, era quello a cui aspirava da quell'ultima volta che l'aveva vista.

«Avrei accettato il mio destino, come ormai faccio da tempo immemore»

Edgar sbatté il pugno sulla scrivania, facendo ammutolire Levi.
I suoi occhi celesti si incatenarono con quelli color ambra, inchiodandolo sulla poltrona.

«Ti ho cresciuto meglio di così» ringhiò, afferrando il suo colletto della maglia. «È questo quello che vuoi essere? Un misero demone che sputa merda sul piatto in cui ha mangiato?» continuò, stringendo la presa sul tessuto di cotone. «Pensi che tua madre sarebbe fiera di questo?»

Edgar centrò il punto.
Lo conosceva troppo bene e sapeva benissimo quali fossero i suoi punti deboli.
La sua reazione, seppur esagerata, era dovuta a fargli capire l'errore che aveva commesso.

Levi si alzò dalla sedia, strappando dal collo la mano di suo padre.
Non avrebbe dovuto permettersi di nominare sua madre, non in quella circostanza e, soprattutto, non in quel momento. Sapeva benissimo quanto la ferita fosse aperta e quanto ancora stesse soffrendo per ciò che aveva perso.

Il volto angelico e pulito di sua madre si fece spazio tra i ricordi, regalandogli ancora una volta quel sorriso rassicurante, che pian piano diventava più sbiadito.
Non aveva foto o lettere che gli potessero ricordare chi era.
Ma solo quel ricordo, quell'ultimo ricordo.
Con gli occhi socchiusi e i denti stretti, fece appello a tutta la sua calma per non tirargli un pugno dritto in faccia.

«Non nominare mai più mia madre» sputò velenoso, allontanandosi dall'uomo.

La collera gli colorò la vista di rosso e, per un attimo, vide il padre spostare lo sguardo sulle sue braccia che si tinsero repentinamente di nero: ormai era quello il suo marchio, il simbolo evidente della scelta che lui stesso aveva fatto per tutti, ma che nessuno si ostinava ad accettare.

Tutti lo consideravano un traditore, quando in realtà non era stato altro colui che li aveva salvati da un destino ben peggiore rispetto al suo. Levi si diresse verso la porta, non curandosi dei continui richiami di Edgar.

«Se continui così rimarrai da solo» disse il padre, quando arrivò ormai infondo alla stanza.

Levi, senza girarsi, sorrise divertito dal fatto che, secondo Edgar, la solitudine poteva essere un problema per lui.

Io sto così bene, solo.

Di rimando, alzò il dito medio.

«La solitudine non mi spaventa, io sono nato solo»




lotta

Romani silenzio! L'imperatore sta parlando!

Combattere fino alla morte!




SPAZIO AUTRICE.

BENE BENE BENE!
Siete sopravvissuti fino a qui? Ahahah
Spero davvero di non avervi annoiato sta volta!
Bene, come potete notare, ho qui sopra riportato le traduzioni delle frasi che ho scritto in latino, così da poter rendere tutto più chiaro.
Che ve ne pare di questo ENORME salto nel passato che ha compiuto Anneka?
Esagerato? Se si, vi chiedo scusa ma... sono un po' fanatica ahhaha

Ho fatto molte ricerche per poter descrivere nel dettaglio gli usi e i costumi durante la lotta dei gladiatori, spero di non aver sbagliato nulla!

Detto questo, ci tenevo a sapere la vostra opinione a proposito dello scontro tra Edgar e Levi.
Secondo voi, ha ragione Edgar oppure è stato esagerato?
E invece Levi, è nel torto o nella ragione?

Non vedo l'ora di scoprire le vostre risposte!
Vi auguro una buona giornata!

Alla prossima!
Un bacio!❤❤❤

-imsarah_98

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