#24

    -7 giorni

· Carla ·

«La ringrazio signora ma è davvero troppo cibo, sono pieno..!»

«Sicuro? Non fare complimenti, ce n'è in abbondanza! E chiamami Carla, ti prego.» gli sorrido con affetto.

Levi è adorabile.

Sembra uno di quei dolcetti dalla scorza dura ripieni di morbidissima crema: all'apparenza scostante e inapprocciabile ma dolce e ben educato. La sua espressione stoica cela un tripudio di emozioni ben nascoste sotto la facciata da uomo insensibile. Ma il modo in cui guarda Eren, come ne segue ogni piccolo movimento, come ascolti e percepisca anche la minima sfumatura nel suo tono di voce o il fatto che ricordi perfettamente nel dettaglio qualunque cosa lo riguardi la dice lunga. Non stento a credere che mio figlio se ne sia innamorato.

In questo momento, ad esempio, è leggermente in imbarazzo per il modo confidenziale con cui lo tratto. Immagino non sia abituato ad eccessi di confidenza simili, ma è il fidanzato di Eren e farà meglio a farsene una ragione perché non ho alcuna intenzione di cambiare atteggiamento.

«Prendine ancora, Levi. Sono certo che, se fosse per mio figlio, vivreste di solo cibo d'asporto.» si aggiunge mio marito, indicando la pirofila di pasta al forno al centro del tavolo.

«Ehi! So cucinare, io!» obietta Eren, brandendo la forchetta come un'arma minacciosa.

«Mai detto il contrario, figliolo. Il problema non è certo una tua carenza per quanto riguarda l'abilità culinaria. Semplicemente sei pigro

Eren arrossisce, a disagio per il modo in cui suo padre ha evidenziato questa sua "peculiarità", e il corvino trattiene a stento un sorriso.

«È solo che ho i miei tempi..!» gonfia le guance indispettito, portandosi alla bocca una quantità fin troppo generosa di pasta.

«Già. E sono lunghi

«Eddai papà, mi fai fare una pessima impressione!»

«Chi, io?» ed il modo angelico in cui sorride farebbe dubitare chiunque del fatto che stia volutamente punzecchiando la sua prole. Scoppio a ridere.

«Grisha, smettila!» lo riprendo, schiaffeggiandogli scherzosamente la mano «Che le brutte figure le fa benissimo da solo..!»

«Mamma!»

«Concordo.» si aggiunge il corvino e l'espressione indignata di mio figlio è impagabile.

«Levi, non ti ci mettere anche tu!»

«Mi sono soltanto limitato a confermare ciò che ha detto Carla.»

Lo sguardo che ci scambiamo è quello di due complici pronti a mettere a segno il colpo del secolo. Sarò una delle poche suocere ad adorare il genero, suppongo: l'eccezione che conferma la regola.

È così che prosegue il nostro pranzo, tra chiacchiere inutili, piccoli battibecchi, molte risate ed il calore di una famiglia.

«Ehi, che ci fai qui tutto solo..?»

Eren è nella sua vecchia camera, seduto sul letto a guardare un punto imprecisato della parete. Pensa a qualcosa che impegna ogni fibra del suo essere.

«Riflettevo su una cosa. Levi..?»

«È di là con tuo padre, a parlare di politica e bere il caffè. Tieni.» gli porgo la sua tazzina fumante e mi accomodo accanto a lui.

Quanti poster, fotografie, vecchie musicassette e giocattoli - residui della sua infanzia - in questa stanza. I segni sulla parete, dove io e Grisha segnavamo quanto fosse cresciuto, sono sbiaditi col tempo. Ma non i ricordi: il primo dentino, quando si è alzato in piedi solo per ballare senza neanche imparare a gattonare, la prima parola, la prima vacanza, il primo ginocchio sbucciato, il primo giorno di scuola, la prima fidanzatina all'asilo.

Mi volto verso Eren e per un istante mi sembra di vederlo di nuovo bambino, con le gambe penzoloni ed i capelli arruffati. Invece è un uomo, un bellissimo giovane uomo che sta per affrontare l'ennesima difficoltà della vita. Gli prendo la mano con delicatezza, portandomela in grembo.

«Ti senti pronto?»

Sospira, aggrottando la fronte.

«Se ti dicessi di sì, mi crederesti..?»

«No.»

«lo immaginavo. Non lo sono mà, neanche un po'. E lo sa anche lui.»

Restiamo in silenzio qualche minuto, l'una accanto all'altro traendo conforto dalla reciproca vicinanza.

«Ti ricordi» dico «di quando eri convinto che in cantina fosse nascosto un tesoro?»

Mio figlio sorride, riponendo la tazza ormai vuota sul comodino.

«Sì, certo. Io, Armin e Mikasa lo abbiamo cercato per ann-»

Sgrana gli occhi, alzandosi e frugando nel cassetto della scrivania preso da una strana eccitazione. Estrae qualcosa e, nel riconoscere cosa tiene tra le dita, mi si stringe il cuore per la nostalgia.

«Ho trovato il modo per dirglielo, má...»

«Dirgli cosa, tesoro?»

Il lieve bussare alla porta ci distrae dalla nostra conversazione.

«Eren..?»

Nell'udire la voce di Levi mio figlio nasconde immediatamente l'oggetto nella tasca dei jeans, l'uscio che si schiude lentamente.

«Scusate, disturbo?»

«No caro, affatto. Stavo giusto portando questa in cucina.»

Prendo la tazzina da caffè e, nel richiudere la porta dietro di me, li vedo allungare la mano ed intrecciare le dita.

Ce la faranno. Ne sono sicura.





    -3 giorni

· Eren ·

Ormai mancano pochi giorni.

Levi ha parlato con chi di dovere alla base. Sembra che il Generale abbia pensato già a tutto per quanto riguarda il viaggio e manderà un'auto a prenderlo.

Mi guardo attorno, controllando che sia tutto in ordine: l'appartamento brilla, la lasagna è pronta e al caldo nel forno, la cheesecake al caramello è in frigo e la scatola regalo tra le mie mani tremanti.

Scuoto la testa, cercando di riguadagnare un certo contegno.

«Respira Eren, respira..!» dico a me stesso.

Sento lo scatto della serratura e Levi entra in casa, annusando l'aria con espressione stupita. Il pacchetto scivola nella tasca della felpa.

«Che buon profumo. È opera tua?»

«Esattamente!» esclamo con orgoglio, raggiungendolo e dandogli un bacio «Bentornato.»

Il mio ragazzo aggrotta le sopracciglia, perplesso.

«Spara, moccioso.»

«Cosa vuoi dire?»

«Che sono mesi che sputo sangue anche solo per farti centrare il cesto della biancheria sporca, quindi c'è qualcosa che non va.»

«Ehi, quello è sport!» obietto, riferendomi al modo goffo in cui la mattina tento di far canestro con le mutande.

«Quello è aberrante. Adesso sputa il rospo.»

Faccio un respiro profondo, prendendogli le mani a guidandolo verso il divano.

«In effetti ho qualcosa da dirti. O meglio, darti.»

Levi mi guarda con fare circospetto. Non sono uno che tergiversa ed il modo in cui guadagno tempo sviando il discorso lo insospettisce. Mi schiarisco la voce, ed estraggo il pacchetto malamente confezionato dalla tasca.

«È per te.»

Osserva prima il regalo e poi me, quasi indeciso sul da farsi. Poi rimuove il nastro, la carta e solleva il piccolo coperchio.

Sembra... perso. In effetti, al suo posto, lo sarei anche io.

Solleva la chiave in ottone e dall'aspetto vissuto, rigirandosela tra le mani come a pesarla. La studia, tentando di capire.

Ora, Eren.

«Quando ero piccolo, più o meno alle elementari, mi piaceva sgattaiolare in giardino alla ricerca di nuovi mondi da esplorare: laghi di fuoco, distese di ghiaccio, oceani sconfinati. Mi piaceva l'avventura, ed Armin e Mikasa erano i miei compagni di gioco. Una volta tentai di scavalcare la staccionata per scappare di casa in cerca di emozioni forti. Mi ruppi un braccio, e i miei mi fecero una ramanzina coi fiocchi.»

Levi mi ascolta, in silenzio, la chiave stretta nel pugno.

«Complice il cattivo tempo ed il fatto che fossi in punizione restai chiuso in casa qualche giorno. Credevo sarei morto di noia, letteralmente: non mi mancavano i giocattoli a intrattenermi, ma volevo il brivido dell'ignoto. Un giorno mio padre entrò nella mia stanza e, in modo furtivo, mi consegnò quella chiave. "Apre un tesoro che ho nascosto giù in cantina" mi disse "ma non dirlo a tua madre. Custodiscila tu, sarà il nostro segreto". Inutile dire che mi fiondai subito di sotto alla ricerca di un forziere o chessò io.»

Il mio ragazzo ride divertito, immaginando la scena di un piccolo me col gesso che si precipita giù nello scantinato.

«Passai giorni, settimane, mesi a cercare quel tesoro. Tornavo da scuola e, subito dopo mangiato, scendevo in cantina. Credevo che con un po' d'aiuto sarei riuscito nell'impresa, così misi Armin e Mikasa al corrente della cosa. Morale della favola? ll seminterrato divenne il nostro nuovo mondo da esplorare, fatto di pirati e caverne nascoste, draghi volanti e cavalieri intrepidi. Quasi mi dimenticai della chiave. Anni dopo, trovandola per sbaglio in un cassetto, chiesi a mio padre cosa realmente aprisse. "Un sogno", mi rispose. Non ho capito cosa volesse dire fino a qualche giorno fa, quando siamo andati a pranzo dai miei. Tentavo ogni giorno di fuggire per esplorare il mondo, intenzionato a non far più ritorno, quando la mia famiglia era la cosa più preziosa che potessi mai trovare.»

Mi fermo un attimo, raccogliendo il coraggio di dirgli ciò che sento.

«Hai trascorso anni viaggiando per il globo senza un luogo in cui fare ritorno, alla ricerca di qualcosa per cui valesse la pena vivere. Io voglio essere quel qualcosa, quel tesoro nascosto. Questa chiave è il mio sogno: di una vita insieme, che sia in questa casa o in una nuova non ha importanza. Voglio che la porti con te e sia il simbolo di ciò che ci attende. Ti amo Levi, e ti aspetto. Ti aspetterò per sempre.»

Trascorrono istanti interminabili in cui temo seriamente di aver detto troppo, oltrepassato un confine. Forse, nonostante tutto, lui non è ancora pronto a un passo del genere. Poi Levi mi sfiora la guancia, portando una mano sulla mia nuca ed attirandomi a sé nel bacio più dolce che abbia mai ricevuto in vita mia.

«Tu sei la mia casa. La mia famiglia. Il mio porto sicuro. Tornerò da te, Eren. Te lo prometto.»

Sorrido, il cuore che lotta per uscire dal mio petto ed unirsi al suo, mentre estrae dalla maglia la catena che porta al collo: la piastrina su cui è inciso il suo nome brilla, raggiunta subito dopo dalla chiave scolorita della mia infanzia.

Il corvino mi guarda e ridacchia, scuotendo la testa divertito.

«Che c'è?» gli chiedo, curioso.

«Niente, è solo che-» un'altra risata «All'inizio ho pensato che aprisse una cintura di castità o roba simile..!»

Sento il sangue affluire al mio viso, rendendolo incandescente, e porto istintivamente le mani a coprirmi le parti basse.

«C-cosa, i-io n-no, p-perché?»

«Non so, come prova della tua fedeltà quando sarò via.» scrolla le spalle con noncuranza, sorridendo appena, ma so che dietro quell'affermazione c'è ben altro: il suo timore che, durante questa separazione forzata, qualcosa o qualcuno si frapponga tra noi; che non resisteremo alla lontananza; che il nostro rapporto si incrini e non avremo più nulla per cui lottare.

Poggio la fronte sulla sua, serio più che mai.

«Non ho occhi per nessun altro. Il mio cuore appartiene solo a te.»

Le nostre mani si poggiano sui nostri petti, lì dove batte il muscolo vermiglio dove si dice che alberghino i sentimenti.

«Il mio nel tuo. Il tuo nel mio.» sussurra, e le nostre labbra si uniscono ancora in un bacio che sugella quel patto d'amore.

Il gorgoglìo inopportuno del mio stomaco però interrompe l'atmosfera romantica, facendomi vergognare.

«Beh, l'odore è delizioso, non te ne faccio una colpa.» Levi mi prende in giro, facendoci alzare dal divano e dirigendosi in cucina «Staremo a vedere se anche il sapore è all'altezza.»

Mi poggio alla parete, osservandolo prendere il guanto da forno e chinarsi in avanti, offrendomi lo spettacolo mozzafiato del suo fondoschiena marmoreo. Mordicchio il mio labbro inferiore, tentando di concentrarmi su altro che non siano le vene sui suoi avambracci, il modo in cui il suo pomo d'adamo si muove mentre deglutisce ed il suono della sua lingua che schiocca con soddisfazione nel poggiare la pirofila sul fornello.

«Eren.»

«Mh?»

«Mi stai divorando con lo sguardo.»

«Non posso farci nulla se hai un aspetto appetitoso..!» scherzo, consapevole di esser stato colto con le mani nel sacco.

«A meno che tu non sia avvezzo alla pratica del cannibalismo, credo sia meglio mangiare la lasagna.».

«Come vuole, Caporale

Il suo corpo si irrigidisce, e vedo il suo sguardo incupirsi. Quando solleva il volto verso di me, una scintilla di eccitazione anima i suoi occhi.

Oh, sì.

«A cosa pensi?» gli chiedo, una mano sul fianco e l'altra - casualmente - sfrega sulle mie labbra umide.

«Qualcosa di davvero poco casto. Hai molta fame..?»

«Di te..?» gli sorrido malizioso.

Un attimo dopo non percepisco altro che il suo odore, il suo corpo sul mio, la sua lingua che supplica di entrare nella mia bocca per raggiungere la gemella.

Levi ormai è ovunque: fuori e dentro di me, in ogni forma possibile e modo concepibile.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top