#14
Guardava il lenzuolo bianco che copriva le spoglie mortali della madre.
Non ce l'aveva fatta, Kuchel. Aveva lottato con tutta sé stessa, ma alla fine quel male aveva avuto la meglio sulla sua forza di volontà, oltre che sul fisico indebolito al punto da impedirle di camminare. Si era spenta stringendo la mano del figlio e sorridendogli un'ultima volta.
Levi era rimasto nell'esatta posizione in cui la donna lo aveva lasciato prima di chiudere quegli occhi dal colore impossibile. Le accarezzava il dorso della mano, che sporgeva al di sotto del tessuto candido, come a rassicurarla che non si sarebbe allontanato da lei. Il suo sguardo era vacuo, spento, privo di qualsiasi sentimento. Il bene che provava verso la madre, l'affetto che sentiva per la persona che gli aveva donato la vita, era andato via con lei. Le avrebbe tenuto compagnia, in quel posto desolato che gli altri definivano Paradiso, ma che per lui era solo uno spazio immacolato dove la sofferenza non aveva posto in cui albergare.
Levi, di quei sentimenti, era convinto di non averne più bisogno: non avrebbe amato mai più nessuno come aveva amato lei.
«E così alla fine è crepata.»
Quelle parole, così rudi ed irrispettose pronunciate alle spalle del ragazzo non lo sorpresero affatto, tant'è che non si voltò nemmeno.
«Oi, moccioso.»
Ancora silenzio.
«Sei diventato sordo per caso?»
«... Le piaceva il panorama che si vede dall'altura che sovrasta la città. Diceva che le sembrava di poter toccare il cielo, da lì.»
«E' sempre stata una romantica del cazzo.»
«Spargerò lì le sue ceneri.»
«Come ti pare.»
Levi continuava ad accarezzare la pelle morbida, nivea, fredda della donna.
«Vieni con me.» gli disse la voce alle sue spalle, arrochita da anni di fumo «Non ti resta un cazzo qui. Io posso darti un futuro. Uno scopo.»
«Non ho l'età.»
«Quando compi 18 anni?»
«Il 25 Dicembre.»
«Auguri, moccioso: sei appena diventato maggiorenne.»
Era il giorno di Natale, e Levi aveva appena perso sua madre e ricevuto in dono la possibilità di far carriera come soldato.
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Le brande erano luride, esattamente come si aspettava, il rancio immangiabile e gli orari per l'addestramento disumani.
Ma Levi non se ne lamentava.
Aveva lasciato una vita priva di significato per abbracciarne una che avrebbe salvato molte vite umane, dando un senso alla sua esistenza.
Era una recluta come tante, non aveva chiesto alcun favoritismo né si aspettava gliene sarebbe mai stato concesso uno: sgobbava come tutti gli altri, forse anche di più, perchè il suo era un cognome difficile da portare.
Il posto superiore del letto a castello dove dormiva era vuoto. Nessuno lo aveva mai occupato, così come nessuno gli aveva mai dedicato molta attenzione. Si tenevano a debita distanza reputandolo inquietante, data la scarsa varietà di espressioni facciali che mostrava.
Leggeva un libro, sfogliando delicatamente le pagine, quando udì un tonfo proprio sopra la sua testa. Un ragazzo, dai capelli biondo chiaro ed un sorriso irriverente stampato in faccia, aveva lasciato cadere sul materasso nudo il suo borsone e lo guardava intensamente.
«Farlan Church, sarò il tuo compagno di branda, piacere!» disse il nuovo arrivato, allungandogli la mano.
Levi lo fissò, senza tradire alcuna emozione in particolare, riportando poi la sua attenzione sul volume che aveva tra le mani.
Il ragazzo dagli occhi cerulei si portò le mani ai fianchi: se quella era una sfida, l'aveva appena accettata!
━
«Scendi, cretino.»
«Eddai, solo un'occhiata!»
Si trovavano al limite del campo d'addestramento reclute, dove a breve sarebbe giunto il nuovo gruppo di aspiranti soldati. Levi dava le spalle alla recinzione, appoggiandovisi contro a braccia conserte, mentre Farlan era salito su alcuni pesanti sacchi di iuta che usavano durante gli allenamenti, sporgendosi quel tanto che bastava oltre la grata da avere una visuale chiara e pulita dei pivelli in arrivo.
«Sono curioso! Secondo me se la faranno sotto non appena vedranno Shadis!»
«Comandante Shadis, coglione. Se ti avesse sentito saresti già a pulire le latrine del dormitorio maschile.» commentò atono il corvino con lo sguardo rivolto altrove.
«Hai intenzione di mettermi in punizione, Caporale?» rise l'altro, sapendo bene che quell'eventualità non si sarebbe mai verificata.
«Sei troppo indisciplinato, Church. Per questo sei ancora un soldato semplice.»
«Tu invece sei troppo ligio al dovere. Dovresti rilassarti e farti una scopata o roba simile.» rispose Farlan con un vago cenno della mano, senza distogliere lo sguardo dal punto in cui le reclute avrebbero fatto il loro ingresso.
«Tu dovresti farti i cazzi tuoi, invece.»
«Oh, andiamo Levi! Non puoi andare avanti di sveltine!»
«Farlan-» non ebbe il tempo di finire la frase - ricolma di insulti - che l'altro lo zittì agitando convulsamente il braccio.
«Eccoli eccoli!»
Levi voltò appena il capo, osservando attraverso l'intreccio metallico le reclute, vestite di tutto punto con le loro divise nuove, gli anfibi immacolati perché mai stati indossati, e la postura rigida per la tensione.
«Levi... Guarda.» disse il biondo, quasi sussurrando.
Il Caporale non impiegò molto a capire cosa stesse guardando l'altro.
La ragazza, una delle poche presenti nel folto gruppo, sorrideva raggiante come se la sua fosse una gita e non l'inizio di un percorso di vita lungo e tortuoso. Aveva i capelli color rubino legati in due ridicoli codini, cosa che dubitava altamente fosse concessa dal regolamento, ed aveva due magnifici occhi verdi come i prati d'estate.
Il Comandante Shadis iniziò a passeggiare tra le file, fermandosi proprio dinanzi a lei.
«Nome, soldato!» urlò a pochi centimetri dal suo volto. Lei non perse il sorriso e, portandosi il pugno destro al petto, esclamò «Isabel Magnolia, signore!»
«Ahhh, l'ho trovata...» sospirò Farlan con fare sognante «La donna della mia vita.»
Levi pensò che, come al solito, il ragazzo stava esagerando, ma doveva ammettere che nel complesso la mocciosa era carina.
«Non male.» fu il suo unico commento.
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«Fratellone!»
Isabel agitava il braccio, indicandogli il posto a cui lei e Farlan si erano seduti.
Levi poggiò il vassoio col rancio sul tavolo in metallo, accomodandosi nel suo solito modo composto.
«Che ti ha detto il grande capo?» domandò il biondo col suo solito sorriso strafottente, portandosi alla bocca il cucchiaio colmo di sbobba che il cuoco si ostinava a chiamare "zuppa".
«Ho rifiutato la promozione.»
«Cosa?! Fratellone, perché?»
«Ho già abbastanza responsabilità così.»
La verità era che, se fosse avanzato di grado, avrebbe dovuto occuparsi di un altro squadrone, e non voleva separarsi da Farlan e Isabel.
Con loro stava bene: si sentiva capito senza dover parlare, si era affezionato a loro in un modo così naturale da essere quasi scontato. Non credeva avrebbe mai più provato reale affetto per qualcuno, dopo sua madre. Inoltre, in qualità di loro Caporale, avrebbe potuto proteggerli durante la prossima missione.
Consumarono il pasto - se così poteva essere definito - e si alzarono per riporre i vassoi sull'apposito ripiano, quando Farlan gli si affiancó sussurrandogli all'orecchio «Sarà stasera.»
Levi sgranò impercettibilmente gli occhi, senza scomporsi né accennare il minimo turbamento.
Quella sera Farlan si sarebbe dichiarato ad Isabel, con tanto di anello.
Quella sera avrebbe detto definitivamente addio ad ogni possibilità di un futuro con lei, lasciandola nelle mani del suo migliore amico.
In fondo era meglio così: il vecchio glielo diceva sempre che non era fatto per amare.
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Isabel nascose la catenina che portava al collo sotto la divisa mimetica. Accanto la targhetta su cui erano scritti il suo nome ed il numero di matricola, brillava l'anello ricevuto in dono dal suo promesso sposo.
«Magnolia, sbrigati.»
Il Caporale Levi la incitò a salire sul veicolo militare, reggendo tra le mani una cartelletta sulla quale spuntò il nome della ragazza, segnandola così tra i presenti.
«Signorsì!»
Sorridente, si accomodò con fare casuale accanto a Farlan, che le sfiorò fugacemente la mano.
Il corvino ripose la penna e salì a bordo, incrociando le braccia e guardando torvo i suoi sottoposti.
«Non fate cazzate lì fuori, e riporterete il vostro culo a casa sano e salvo. Vi guarderò le spalle, ma il grosso del lavoro sta a voi. È tutto chiaro?!»
«Signorsì, signore!» gridarono all'unisono.
La 23esima spedizione aveva ufficialmente inizio.
━
«Fratellone...»
«Mh?»
Si trovavano poco distanti dall'accampamento, distesi su di un telo, intenti ad osservare le stelle. Il piccolo fuoco da campo li riscaldava quel tanto che bastava a non fargli patire il gelo notturno del deserto.
«Cosa credi accadrá, domani..?»
«Sarà semplice e veloce. Ci saranno soprattutto donne e bambini, i guerriglieri sono in netta minoranza, è solo una base logistica per le armi.»
«Lo so, è solo che... Ecco...»
Isabel strinse forte il pugno attorno l'anello, ancora legato alla catenina al suo collo, e a Levi sembrò di vederla tremare come non le aveva mai visto fare.
Sentì qualcosa stringersi nel proprio petto, una fitta dolorosa, acuta, a quella visione per lui così straziante.
«Stai tranquilla, Isabel. Vi proteggerò io.»
La giovane voltò il capo verso l'amico di una vita. Erano trascorsi quasi dieci anni, da quando era entrata nell'esercito, e mai una volta aveva avuto ragione di dubitare delle sue parole.
A suo modo, lo amava come solo un membro della propria famiglia si può amare. Era il fratello che non aveva mai avuto e per quanto avesse, in fondo al suo cuore, desiderato che Levi la vedesse come una donna e non una mocciosa a cui badare, alla fine aveva preso consapevolezza che le cose mai sarebbero cambiate. Con Farlan, invece, era stato diverso. L'aveva amata in ogni sua forma e sfaccettatura, e lei aveva imparato a ricambiare quel sentimento a sua volta.
Non rimpiangeva nulla, Isabel.
Nella vita aveva fatto le sue scelte e mai se ne era pentita.
Decise di fidarsi del suo fratellone ancora una volta.
«Lo so. Grazie.»
Gli sfiorò la mano, abbandonata sul telo accanto a lei. Levi non ricambiò.
«Ehi, voi due! Che musi lunghi!»
Farlan li raggiunse: si lasciò cadere quasi a peso morto su Isabel e cosparse il suo viso di baci, facendola ridere a crepapelle.
«Così va meglio!» sorrise il biondo.
«Smettila, scemo!» lo riprese lei togliendoselo da dosso.
«Oi, non fate casino.»
Restarono così, stesi l'uno accanto all'altro, ad osservare il cielo stellato.
Sarebbe andato tutto bene, continuavano a ripetersi. Tutto bene.
━
Levi si svegliò di soprassalto, tentando di incamerare aria nei polmoni.
Un incubo. Doveva essere stato un fottuto incubo.
Si trovava in un accampamento medico di fortuna, su una branda sbilenca e malconcia: una flebo attaccata al braccio ed un macchinario che monitorava le sue funzioni vitali lì accanto.
Tentò di alzarsi facendo leva sui gomiti, ma un dolore lancinante al fianco destro lo costrinse a riaccasciarsi sul materassino consunto. Sollevò lo sguardo, notando una fasciatura insanguinata all'addome e la parte superiore della divisa fatta a brandelli.
«Caporale! Stia fermo, non si muova!» un'infermiera accorse da lui, premendogli le mani sul petto affinché non tentasse nuovamente di scendere dal giaciglio.
«La- la mia squadra..! Dov'è..!» faticò a parlare, aveva il palato arido ed un retrogusto orribile sulla lingua.
«Non lo so, signore, non abbiamo ancora la stima dei morti e dei feriti.»
Poi, Levi lo vide.
Si avvicinava a lui col solito passo lento ma deciso, le braccia dietro la schiena e lo sguardo di chi non teme il tanfo della morte da cui era circondato.
«Magnolia e Church..!» gli chiese il corvino, tossendo subito dopo.
Lui lo fissò duramente, le labbra tirate a formare una linea sottile.
«Morti. Hanno fatto una fine del cazzo, insieme a molti altri.»
Levi fissò il vuoto.
Era tutto vero.
Il ragazzino che fuggiva, la bomba, l'esplosione...
Il corpo martoriato di Farlan...
Gli occhi vacui di Isabel...
Voleva urlare Levi, con tutto il fiato che aveva in corpo; strapparsi i capelli, mentre le lacrime scorrevano copiose sul suo viso.
Invece rimase fermo, muto, in attesa che la morte prendesse anche lui.
Non disse una parola, non emise un singolo suono. Restò così, immobile, con i fantasmi dei suoi sottoposti e dei suoi amici a circondarlo.
Non li aveva protetti.
Era rimasto di nuovo solo.
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