CAPITOLO 8
CAPITOLO 8
Sherlin
Tutti i presenti, me compresa, sono preoccupati e increduli. Il mio battito è accelerato e sussulto quando Norah appare al mio fianco poggiandomi una mano sulla spalla.
«Ma che sta succedendo?».
Non le rispondo.
Mi limito ad alzare le spalle.
Mi sento responsabile per quello che è successo. Austin è ancora a cavalcioni su Monty, la cui faccia è un cumulo di sangue, ho seriamente paura che gli abbia rotto il naso. Prima che il capitano sferri un altro pugno all'amico, due giocatori dei Falchi si mettono in mezzo per dividerli. Monty sputa ai piedi di Turner che lo guarda con aria omicida passandosi una mano sul labbro ferito.
Nemmeno lui è conciato tanto bene. I suoi occhi gonfi e iniettati di sangue ora mi guardano e l'unica cosa che riesco a fare in quel momento è allontanarmi da quella scena raccapricciante. Non sono una fan della violenza, tanto meno se questa viene usata dai ragazzi per marcare il territorio.
Perché alla fine è proprio per questo che Austin ha piazzato il primo pugno dopo la provocazione fatta dall'amico.
Mentre mi allontano mi rendo conto che la folla si è zittita, la tensione è palpabile ma il DJ è così bravo che riesce a rimettere in piedi la serata con le note di una canzone ritmata.
Vengo fermata dalla voce di Norah.
«Sher, fermati, ma dove vai?».
«Devo uscire da qua».
«Aspetta vengo con te».
Rallento il passo e lascio che la mia amica si piazzi al mio fianco. La supplico con gli occhi di non fare domande, la situazione è già imbarazzante così com'è.
Usciamo dal locale e la prima cosa che faccio è inspirare l'aria fresca della notte. Non ho idea di che ore siano ma dato il silenzio che regna per la strada immagino che la serata non durerà ancora per molto.
«Hai ancora quella canna?».
«Chiamalo sesto senso, ma sapevo che a fine serata ne avresti avuto bisogno».
Norah rovista nella sua borsetta e tira fuori la canna che a inizio serata le avevo fatto spegnere. So che non è il caso, so anche che non reggo bene queste cose, ma sicuramente mi aiuterà a togliermi certi pensieri dalla testa o almeno spero.
Salita in macchina mi sento più rilassata, quella roba stende veramente i nervi e ringrazio Dio di non essere distesa sul pavimento come l'ultima volta. Norah si mette al volante come se non avesse bevuto o fumato niente. I nostri appartamenti sono a cinque minuti, ma la meta che ho in mente è un tantino più distante.
«Portami alla confraternita dei Falchi».
«Tu sei pazza».
«Sono fatta, il che è diverso, ma portami lo stesso».
Norah mi guarda divertita ma non mi sembra di aver detto nulla di così divertente. Per fortuna senza fare altre domande mette in moto la macchina e io spero vivamente che mi abbia dato ascolto. Non tornerò a casa fino a che non avrò visto con i miei occhi che il capitano sta bene.
Perché mi interessa tanto? Non ne ho la più pallida idea, so solo che ho bisogno di spiegazioni, ed è quello che avrò.
Sono seduta ormai da un bel po' sui gradini della villa dei Falchi. Quando avevo detto a Lerry che questo posto mi metteva paura, non stavo scherzando affatto. Gli alberi sono mossi dal vento e i gradini del portico sono così freddi che sono certa che il mio culo ci rimarrà incollato. Ho pregato Norah di lasciarmi sola, devo parlare con Austin, ho dei dubbi e lui è l'unico che può togliermeli.
Pensando a tutte le domande che vorrei fargli eccolo che mi appare davanti come un'illuminazione. Indossa una felpa dell'università che alla festa non portava e tiene stretta nel pugno la sua maglia con il numero quattordici. Senza dire nulla il capitano si avvicina a me e me lo ritrovo seduto di fianco. Non capisco se ho la pelle d'oca per il freddo o per il fatto che ce l'ho così vicino.
«Ciao bellezza». La sua voce è roca, bassa, un sussurro che solo io posso sentire.
«Ciao».
Dio mio, mi sembra una di quelle scene che si vedono nei film.
Smettila Sherlin, questo non è un film, non lo sarà mai. Mi ricorda la mia parte razionale.
«Hai fumato?».
«E a te cosa importa?».
Nel porgli quella domanda lo guardo. Austin mi sta studiando e quando vede che sto palesemente tremando poggia la sua mano calda sulle mie gelide. Quel contatto lieve mi fa venire ancora più brividi. Noto le sue nocche spaccate per i pugni che ha tirato a Monty, sono insanguinate, ma non mi importa.
«Entriamo?».
Annuisco incapace di proferire parola. Mi sento confusa e non so se sia per il fumo o per il calore che mi fa sentire questo ragazzo ogni volta che mi è vicino.
Austin mi tiene per mano e io lo lascio fare. La casa è irriconoscibile, pulita, ordinata, c'è persino un buon odore. La sera della festa non avevo notato quanto l'arredamento fosse sofisticato, non avevo nemmeno visto la bacheca con tutti i trofei della squadra.
Turner mi trascina con lui su per le scale e i miei piedi lo seguono per inerzia e poco dopo siamo come quella sera in camera sua.
«Dovresti medicare quelle ferite».
«Non è nulla di grave».
«Si invece, stanno sanguinando, potrebbe farti infezione e anche questo taglio...».
Gli poso un dito sul labbro inferiore. Austin sussulta e ritraggo la mano. Sono una completa idiota.
«Scusa, non volevo».
Austin si dirige verso una porta che fino ad ora non avevo notato. Certo, il capitano dei Falchi ha un bagno privato, non poteva essere altrimenti.
Lo seguo e mi tengo a debita distanza mentre rovista nell'armadietto. Sembra proprio che mi abbia dato ascolto dato che mi ritrovo ad avere in mano dei dischetti di cotone e del disinfettante. Mi stupisce che il capitano sia attrezzato, poi mi ricordo che gioca a football e non mi riesce difficile pensare che medicarsi le ferite sia all'ordine del giorno per lui.
La luce soffusa del bagno mi fa notare quanto siano brillanti i suoi occhi in questo momento. Esamino il suo volto, non sembra preso così male come avevo intravisto al locale. Metto del disinfettante sul dischetto e mi avvicino piano. Austin è seduto sul ripiano del lavandino e sono costretta a piazzarmi in mezzo alle sue gambe per fare bene il mio dovere. Sfioro la sua pelle con attenzione, tampono il sopracciglio ferito e la smorfia di dolore sul volto di Austin mi fa capire che questa non è una situazione piacevole per lui. Gli chiedo il permesso per applicare la stessa procedura sul labbro e lui mi guarda facendo un segno di assenso con la testa. Tampono delicatamente stando attenta a non fargli male.
«Anche se fai più forte non mi rompo».
«A differenza tua so essere delicata».
Quello che ottengo è soltanto un sorriso che mi fa sciogliere sul pavimento.
Finisco di medicare le ferite che ha sulle nocche senza fare più contatto visivo con lui. Potrebbe essere pericoloso. Come pericolosa è in questo momento la nostra vicinanza.
«Direi che ho fatto un buon lavoro, le ferite dovrebbero chiudersi in poco tempo». Dico come se fossi un'esperta in materia, cosa che invece non sono.
«Grazie».
«Ora però devi darmi delle spiegazioni». Il mio tono è risoluto, sono pronta a capire perché quel bacio con l'amico l'ha tanto infastidito da tirargli un pugno in pieno viso, per non parlare di tutti quelli che ha sferrato dopo.
«Io non devo spiegazioni a nessuno».
Austin mi volta le spalle, si leva la felpa e si avvicina alla finestra della sua stanza. Ammira il cielo pensieroso e spero che abbia il buon senso di capire che cosa intendo per spiegazioni.
«Che cosa vuoi sapere?».
«Perché hai fatto a botte sta sera?».
«E perché tu ti sei fumata una canna?».
Questo non è giocare pulito. Per niente.
«Senti Austin, io non ci sto capendo più niente».
«Infatti, non c'è niente da capire».
«Invece si. Ti comporti come se ti interessasse qualcosa di me, mi porti nel campo della tua squadra e si sa che per voi è un posto sacro. Poi baci una ragazza e nel farlo non mi levi gli occhi di dosso, come se questa fosse una sfida. Io bacio un ragazzo e tu ti infuri e lo prendi a pugni... se questo è non dovermi spiegazioni allora c'è qualcosa che non mi torna».
«Che cosa vorresti sentirti dire, eh? Che mi sono preso una sbandata per te, che cambierò il mio modo di essere e di vivere perché sei piombata tu nella mia vita?».
«Io non so un cazzo di te e sinceramente se questo è il vero te, bhe, bene a sapersi».
«Che vuoi dire?».
«Non voglio dire nulla. Vorrei soltanto che fossi sincero. Non è normale che tu abbia preso a pugni un tuo amico, te ne rendi conto o sei troppo cavernicolo per arrivarci?».
«Sei fatta, non sai nemmeno tu quello che stai dicendo».
«Può darsi, ma se io non so che cosa sto dicendo tu caro mio non sai che cosa fai e perché lo fai».
Austin si avvicina di un passo e sono certa che sia veramente incazzato per le parole che gli ho appena rivolto. Infondo, chiunque al posto suo lo sarebbe. Mi sono permessa di fargli degli appunti senza nemmeno conoscerlo e questo non fa mai piacere. Pare però che la mia tecnica non abbia funzionato perché Austin Turner non mi ha dato nessuna risposta.
«Tu non mi conosci».
«E tu non conosci me».
Sicuramente l'effetto dell'erba influisce su quello che vorrei fare in questo momento ma non mi importa. Senza nemmeno ragionare avvicino le labbra a quelle del ragazzo affascinante che mi sta di fronte e tutto mi aspetto tranne che un suo rifiuto.
«Aspetta, potresti pentirtene».
Mi faccio piccola al suo cospetto e mi rendo conto troppo tardi che le lacrime hanno iniziato a scendermi sulle guance. Do le spalle al capitano ed esco dalla sua stanza correndo come era successo la sera della festa.
Un altra figura di merda.
Un altro rifiuto da parte di Austin Turner.
Un altro passo verso il mio articolo.
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