CAPITOLO 14

CAPITOLO 14

Sherlin

È un martedì sera come tanti altri, il mio salotto è immerso nell'oscurità, solo il tenue bagliore dello schermo del PC irrompe nel buio. La tastiera fa rumori lievi ad ogni mio battito di lettere, sto cercando di scrivere qualcosa di buono, la mia mente è impegnata a plasmare le parole giuste per l'articolo su Austin. Sono turbata quando rileggo le poche righe, le frasi che ho scritto non mi sembrano all'altezza di catturare l'attenzione del pubblico. Chiudo gli occhi cercando di concentrarmi, ma il volto di Austin, il suo corpo che mi volta le spalle dopo la partita, la maglia con il numero quattordici, le emozioni di quella dannata notte, mi rendono tutto più difficile. Concentrarmi non è per niente facile in questa circostanza. Sbuffo prendendomi la testa tra le mani, ho decisamente bisogno di una pausa, anche se in due ore ho prodotto nemmeno un quarto dell'articolo. Con un sospiro chiudo il computer e mi accomodo sul divano lasciando che i miei pensieri vaghino liberi per la mente. Prendo il telefono, a corto di idee sul da farsi, e apro la home di Instagram. Scorrendo i post di alcune pagine, che non so nemmeno perché seguo, arrivo ad un post che mi lascia di sasso. Mi imbatto in una foto di Austin, pubblicata questo pomeriggio. Sullo sfondo il campo di allenamento da football, lui in primo piano con la sua maglia da gioco, ha un sorriso tirato, quasi sforzato oserei dire ma pur sempre contagioso. Il capitano tiene in mano una candelina con il numero 23, leggo la didascalia:

Sorrido e capisco. Probabilmente Austin Turner è il classico ragazzo a cui non piace festeggiare il compleanno, ma nonostante questo i suoi compagni di squadra non gli permettono di dimenticarsene. La consapevolezza che oggi è il suo compleanno mi porta un ondata di idee pessime, a cui decido però di non dare retta. Forse il mio appartamento non è il luogo adatto per scrivere l'articolo, forse ho bisogno di prendere aria. Scatto in piedi, prendo la borsa e infilo il computer al suo interno, indosso il cappotto , prendo le chiavi dell'appartamento e mi precipito alla mia macchina.

Non so bene quale sia la mia meta, non ho avuto tempo di deciderla, che mi sono messa in macchina, ed è da dieci minuti che faccio il giro dell'isolato senza riuscire a prendere una decisione. Il cielo è buio e le stelle lo punteggiano di una luce brillante e meravigliosa. Non ricordo bene dove sia il punto panoramico dove mi ha portata Austin quella sera, ma tento comunque la sorte. Pescando nella mia mente riesco a ricordare la strada che abbiamo percorso quella notte. Dopo una ventina di minuti riconosco il nome della via dove avevamo svoltato, la percorro e sorrido quando capisco di essere arrivata. Spengo la macchina e scendo dall'auto, il posto è come ricordavo che fosse, un luogo di quiete e mistero. Il cielo notturno si stende sopra la mia testa e non posso fare a meno che rimanere abbagliata dal manto di stelle che copre l'oscurità. Sono avvolta dal silenzio solo il sussurro del vento e il verso delle cicale mi fa compagnia. Prendo il computer dalla borsa e mi siedo sul cofano dell'auto, per un momento mi lascio avvolgere dalla serenità che mi provoca questo luogo. Tiro fuori dal cappotto il mio taccuino e apro il PC sulla pagina in cui meno di due ore fa avevo iniziato a scrive. Le parole, come per magia, iniziano a prendere vita sotto la luce della luna. Descrivo la complessità di Austin, la sua connessione con la squadra di football e la tensione emotiva che avevo intravisto durante l'ultima partita. Il vento leggero mi accarezza i capelli mentre le miei dita battono frenetiche sulla tastiera. Ogni parola, ogni pensiero, sta prendendo forma sotto il cielo oscuro. I miei pensieri vengono spezzati dalla luce dei fari di un auto che si avvicina lentamente. Sollevo lo sguardo dallo schermo del PC, cercando di distinguere la figura che sta emergendo dal buio. Poi, come un'ombra che prende forma, Austin mi appare davanti agli occhi. La luce delle stelle e della luna gli conferisce un aria misteriosa, il suo volto, normalmente deciso, rivela un no so che di incertezza nel vedermi lì. Il giorno della partita la nostra conversazione non era andata nel migliore dei modi ed è forse per questo che la tensione nell'aria aumenta sempre più. Ogni passo che fa Austin nella mia direzione è una condanna per il mio cuore.

«Tu che cosa ci fai qui?». Il capitano mi guarda con occhi intensi.

«Volevo augurarti buon compleanno, chissà perché ma immaginavo di trovarti qui». Scherzo.

Ovviamente, non avevo idea che Turner sarebbe venuto qui, proprio questa sera. Chiudo il PC e scendo dal cofano tendendomi a debita distanza da lui.

«Grazie, ma non sono un amante dei compleanni». Un velo di tristezza passa sui suoi occhi mentre pronuncia quelle parole.

«Potevo immaginarlo».

Sono a corto di argomenti e mi maledico perché una giornalista dovrebbe sempre avere la domanda pronta. Approfittando del silenzio, Austin si avvicina lentamente.

«Bellezza...». Le sue parole svaniscono nel cielo. Anche lui non sa bene come comportarsi, è evidente.

«Sarà meglio guardare le stelle». Dico dirigendomi al muretto per sedermi ed ammirare quello spettacolo che si staglia davanti a noi. Austin è a pochi passi da me e indugia prima di sedersi al mio fianco. Siamo di nuovo circondati dalla magia della notte, come in quella sera che lui aveva definito speciale. I nostri sguardi finalmente si incrociano, ma interrompo quel contatto così piacevole prima di finire di nuovo in "brutte situazioni".

«Perché non sei in qualche locale a festeggiare i tuoi ventitré anni con i tuoi amici, la squadra e magari qualche bella ragazza?».

La mia curiosità ha avuto la meglio.

Austin mi guarda e nei suoi occhi ci sono le luci riflesse della città. Sembra stia riflettendo sulla risposta alla mia domanda.

«Non lo so, immagino sia a causa delle aspettative, con quelle stesse con cui mi trovo a lottare a ogni singolo compleanno da quando ne ho memoria». Sospira.

«Parli della tua famiglia?».

«Il mio compleanno è solito diventare un altro momento in cui la mia famiglia, mio padre soprattutto, si aspetta che io sia qualcosa di diverso da quello che invece sono». Sembra che al pronunciare quelle parole Austin abbia un nodo alla gola. Ascolto con attenzione il suo discorso, comprendendo l'angoscia che tutto questo può causargli. Il volto del capitano in questo momento è un misto di emozioni complesse.

«Dovresti essere te stesso, soprattutto il giorno del tuo compleanno e loro dovrebbero farselo andare bene». Dico con una dolcezza che non sapevo di possedere.

«Magari fosse così facile bellezza». Sorride lievemente e noto che volta la testa nella mia direzione, ma io, continuo a guardare le stelle senza incrociare i suoi occhi blu.

«Beh, se il tuo desiderio di compleanno era di stare da solo io posso anche andare». Mi alzo dal muretto e mi prendo un altro secondo per ammirare il panorama prima di andarmene.

«No aspetta, non andare». Le parole di Austin vengono accompagnate dalla sua mano che trova con facilità la mia. Cerco di convincermi che il contatto della nostra pelle non mi faccia alcun effetto.

Mi blocco, incerta sul da farsi.

«Dai, anche il peggior stronzo del pianeta non merita di stare da solo la sera del suo compleanno». Un sorriso mi illumina il volto e decido di risedermi di fianco a lui. Austin non accenna a lasciarmi andare la mano e io continuo a stringerla solo per scaldarmi un po'.

«Chissà perché ma alla fine ti ritrovi sempre al mio fianco». Le sue parole hanno un non so che di subdolo.

«Non farti strane idee, è stata una coincidenza».

«Coincidenza, destino, chiamalo come vuoi...». Un altro sospiro. Sento che c'è qualcosa che non mi sta dicendo.

«Dunque niente compleanno in famiglia?».

Immagino sia questo il punto chiave.

«Magari... domani casa Turner mi aspetta. Tutti vorranno sapere della squadra, delle partite, come ogni anno si parlerà della mia asma... è come se non accettassero il fatto che io preferirei parlare d'altro».

«Capisco che la tua asma sia un argomento delicato e che possa preoccupare la tua famiglia, ma dovrebbero capire che non è l'unico argomento». Cerco di essere comprensiva nei suoi confronti. È l'unico modo che ho perché Austin Turner si levi quella corazza che porta addosso e che si apra con me.

«Dovresti venire con me».

Strabuzzo gli occhi convinta di aver sentito male.

«Hai capito benissimo». Dice prima che possa chiedergli che cosa ha detto.

«No, non posso. Insomma... non mi sembra il caso dai».

«A me sembra il caso, eccome se mi sembra. Non ho mai portato una ragazza a casa, saresti al centro dell'attenzione e i soliti argomenti passerebbero in secondo piano».

«Mi vuoi usare».

«Come tu hai usato me, fin che ho tenuto la testa stra le tue gambe è andato tutto bene, poi sei scappata come una ladra. O sbaglio?».

«Senti, non mi sembra il caso di rimarcare questa cosa. Ti ho già dato le mie motivazioni e se non ti stanno bene questo è un problema tuo». Scatto in piedi in preda alla collera. È già la seconda volta che il capitano mi fa presente che cosa è successo quella sera ma non sono l'unica ad averci goduto, dovrebbe ricordarsi che era proprio lui a tenermi i capelli mentre succhiavo il suo cazzo.

«Vieni al pranzo e saremmo pari».

«Che cos'è un obbligo?». Incrocio le braccia al petto dandogli le spalle. Non ci credo che stia davvero giocando in questi termini.

«Non ti costa nulla, hai detto tu che potremmo essere amici e gli amici bellezza, si aiutano».

Ammiro il fatto che stia usando le mie stesse parole per raggirarmi. Non lo facevo così intelligente.

«Ci penserò». Dico avviandomi alla macchina.

Ci penserò perché questo potrebbe essere un altro modo per studiare la situazione da vicino, sicuramente tra un battibecco e l'altro, come succede spesso in famiglia, potrebbe uscire qualcosa che ancora non so su di lui. È un occasione per portare avanti il mio articolo e non me la farò scappare di mano.

«Ti vengo a prendere domani, fatti trovare pronta per le dieci». Austin urla quelle parole ancora seduto sul muretto.

Sorrido per l'assurdità di tutta questa situazione. Poi mi blocco ripensando al suo volto triste di poco prima.

«Austin?!». Lo chiamo.

Lui si volta nella mia direzione in attesa che io dica qualcosa.

«Buon compleanno». So che gli ho già fatto gli auguri ma è giusto così.

È il mio modo velato di chiedere "scusa" per non trattenermi ancora con lui a guardare le stelle. Austin sorride e mi fa un cenno con il capo.

Mi infilo nella macchina e metto in moto prima che lui veda il sorriso da idiota che mi è spuntato sulla faccia.

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