CAPITOLO 12

CAPITOLO 12

Sherlin

Sono seduta alla caffetteria dell'università, ma di Lerry neanche l'ombra. La mia gamba non decide a fermarsi e il mio piede tamburella sul pavimento nervosamente. La mia coscienza non è per niente pulita e se non parlo di questa faccenda con qualcuno probabilmente impazzirò prima della laurea. Sono pronta a prendermi una valanga di insulti per il mio comportamento, ma sono anche sollevata quando vedo il mio amico caporedattore varcare la soglia e dirigersi nella mia direzione. Ormai è settimane che io e Lerry non parliamo a quattro occhi e questo mi inquieta da morire, sono consapevole è l'unico che saprà darmi un consiglio obbiettivo su tutta la "questione Austin", dato che è stato proprio lui a mettermi in questa condizione.

«Ho già ordinato, prendi qualcosa?». Chiedo per interrompere il silenzio.

«No, sto bene così. Ho mezz'ora poi devo tornare in redazione, ho del lavoro in sospeso. Che succede?».

«Volevo parlarti dell'articolo».

«Dello stesso articolo di cui mi hai detto che non saprò nulla fino a data da destinarsi? Perché se è di quell'articolo che parli, beh non ne voglio sapere nulla. Mi basta che tu lo finisca per tempo, non so come... anche se penso che tu sia a buon punto date le voci che girano».

Non sono una ragazza a cui piace che si parli di se, non sono tanto meno quel tipo di ragazza a cui piace che il suo nome venga per forza di cose affibbiato a quello di un ragazzo, soprattutto se quel ragazzo potrebbe essere proprio Austin Turner. Non cedo alla provocazione di Lerry e cerco, per quanto mi risulti difficile, di mantenere un tono cordiale, lo faccio per la nostra amicizia, qui il lavoro non c'entra.

«Vorrei che tu smettessi di essere il mio capo per un secondo e che fossi mio amico».

Spero che le mie parole colgano nel segno, la speranza si accende in me quando vedo Lerry rilassarsi sulla sedia.

«Cosa ti turba?».

Bingo.

«Non lo so Ler, tutta questa storia mi sta mettendo in una brutta posizione e credimi non è un modo carino per dirti che con l'articolo non ne vado proprio fuori. Sto parlando del fatto che sto provando delle sensazioni che forse non dovrei provare. Mi sono avvicinata troppo al soggetto e tutto quello che sono riuscita a fare è mentire ad un ragazzo. che forse, non merita questo trattamento».

«Stiamo parlando di Austin Turner, Sher, per favore. Puoi arrivarci anche da sola. Lui è il capitano della squadra di football, ha intorno le ragazze più carine di tutta l'università, di cui se ne porta a letto una a sera, senza farsi nessun riguardo per i loro sentimenti. Anche se appare come la perfezione fatta persona, è tutto tranne che perfetto, nessuno lo è. Ed è proprio per queste motivazioni, che ti ho chiesto di scrivere quell'articolo. Per l'amore di scovare la verità, qui non si parla di diffamazione o altro, si parla solo di portare alla luce quello che è il vero volto dell'icona universitaria».

«Lo capisco, però mi sta succedendo qualcosa che non mi era mai successo prima d'ora...».

Diciamo che non sono la persona più brava a parlare di sentimenti, infatti non riesco a spiegarmi nemmeno in questa situazione. Basti sapere che in Austin Turner devo ancora scovare qualcosa di così negativo.

Ascoltare le parole di Lerry e la convinzione con le quali dice certe affermazioni, mi fa rabbrividire. Se lui ha ragione, io ieri sera, sono sta una delle tante che cadono nella trappola del capitano. Raggiunta questa consapevolezza mi sento un po' meno in colpa ad averlo lasciato senza degnarlo di una spiegazione.

Lerry non scherzava quando diceva di avere soltanto mezz'ora per parlare con me. È scappato subito dopo avermi spiegato il suo punto di vista, da amico, per così dire, sulla situazione che sto vivendo. Norah dal canto suo, non la pensa affatto come lui, lei è una romantica e crede che prima o poi mi innamorerò del capitano, ma non sarà affatto così, gliel'ho assicurato. La sto aspettando fuori dalla sua classe, la mia lezione è finita prima, poggiata con la schiena alla parete controllo l'ora sul cellulare. Ancora quindici minuti e potrò finalmente pranzare.

«Tu bellezza, adesso vieni con me». La voce bassa e rauca di Austin mi colpisce in pieno petto.

Sussulto per lo spavento e non ho tempo di riprendermi dato che il capitano sembra del tutto fuori di se. Mi afferra per il braccio con fermezza. Senza attendere una mia risposta Austin mi trascina dietro di lui per il corridoio, ignorando gli sguardi curiosi di quelli che incrociamo. Quando Austin si blocca davanti alla porta dell'infermeria, controllando che non ci sia nessuno, capisco che è quello il nostro destino.

Ovviamente... un posto isolato dove possiamo affrontare i nostri problemi.

Mi trascina dentro la stanza, qui tutto è silenzioso e l'odore di disinfettante e la luce fluorescente crea un'atmosfera strana intorno a noi. Austin lascia il mio braccio e chiude la porta, con la sua solita grazia, poi si volta nella mia direzione con sguardo carico di rabbia e un po' di delusione, o così mi sembra.

«Direi che mi devi una spiegazione. Ah no, giusto, io non ne merito di spiegazioni, vero?!». Incrocia la braccia al petto e non posso fare altro che tenere la testa bassa per l'imbarazzo.

«È complicato, non potevo...».

«Niente scuse! Pensavo si fosse creato qualcosa... tra noi. Sei scappata senza dire niente». Il suo tono deluso è una pugnalata al cuore. Come posso spiegargli che l'ho fatto per lui?!

«Non volevo crearti false speranze, non sono fatta per queste cose. Devo concentrarmi sugli studi, sul giornalismo...». Sospiro guardando in alto.

«E la fuga è la tua soluzione. Mi sono sbagliato, pensavo fossi più coraggiosa di così».

Un'altra pugnalata allo stomaco.

Ha ragione, su tutto, come posso dirgli contro, come posso mettere in discussione che non stia dicendo solo cose giuste.

«Mi sono fidato di te... ho sbagliato».

Austin si affretta verso la porta voltandomi le spalle. Non posso, non posso permettere che se ne vada via così. Lo fermo prendendolo per il polso. Sento il suo braccio teso sotto la mia mano, i muscoli delle braccia avvolti dalla maglia a maniche corte sono definiti, il suo corpo è un fascio di nervi e il mio non è da meno.

«Tu mi farai impazzire». Dice a denti stretti voltandosi nella mia direzione.

Austin mi scosta i capelli dietro le orecchie così da avere una visione chiara del mio volto. Punta gli occhi sui miei. Si avvicina lentamente, fino a che le nostre bocche non si sfiorano. Mi sfugge un sospiro, forse di sollievo. Mi bacia in modo dolce, questa connessione mi fa inarcare la schiena, dei brividi mi percorrono tutto il corpo. Mi bacia, ancora e ancora, il suo sapore è un misto tra menta e fumo, segno che poco fa ha sicuramente fumato una sigaretta, per stemperare la tensione causata... da me.

Le mie labbra si aprono per accogliere la sua lingua calda, il mio respiro diventa instabile, il nodo che avevo nel petto piano piano si sta alleviando. Afferro il suo braccio per reggermi, i miei occhi sono chiusi, assaporo ogni secondo di questo momento. È tutto così sbagliato ma per qualche strano motivo io mi sento libera e nel giusto. Le nostre labbra si staccano appena e io sento già la mancanza di quella sensazione appagante che Austin mi ha appena fatto provare.

«Ti ho lasciato una cosa nell'armadietto».

Mi stupisco della facilità con la quale il capitano ha ritrovato il suo respiro regolare, il mio è ancora corto e affannato.

«Come hai aperto il mio armadietto?».

«Ho i miei segreti... se la indosserai alla mia prossima partita saprò che non scapperai più da me, in caso contrario è stato bello per quanto poco sia durato».

Il tono di Austin è quasi triste e lo sono anche le sue parole che svaniscono dietro di lui quando richiude la porta dell'infermeria, lasciandomi con i piedi piantati a terra e un altro nodo in gola che non so se si scioglierà mai.

Mi dirigo al mio armadietto e vedo Norah che mi sta aspettando a braccia conserte.

«Alla buon ora! Che fine hai fatto?».

«Poi ti spiego». Dico facendomi spazio per aprire l'armadietto.

Norah mi guarda con aria strana come se mi stesse studiando, come se stesse cercando di capire, solo con la forza del pensiero, che cosa mi è successo.

In mezzo ai miei libri trovo una maglia con il numero 14, il numero di Austin quando gioca a football. La stringo tra le braccia e il cuore manca un battito.

Solo ora capisco le sue parole.

I ricordi della notte passata con lui, del bacio in infermeria, dei nostri sguardi appassionati, si fanno strada nella mia mente. Alzo la maglia e la ammiro, è rossa, con il logo dei Falchi. Una vocina dentro di me mi sussurra di affrontare la verità, di confrontarmi con le mie scelte. Devo affrontare Austin Turner o lasciarlo andare per sempre e dire addio, così, anche alla prima pagina del giornale. Chiudo l'armadietto con decisione e punto gli occhi su Norah che sembra sempre più confusa.

«Amica, mi sa che mi sono persa qualcosa».

«No, l'unica ad aver perso qualcosa, sono io». Ribatto secca.

Percorro il corridoio verso la mensa a testa bassa stringendo tra le mani la maglia che il capitano mi ha regalato. Questa stessa maglia che è il mio ultimatum.

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