CAPITOLO 10

CAPITOLO 10

Sherlin

Il ristorante scelto da Austin ha tutta l'aria di essere uno dei più costosi in cui io sia mai stata. Mi sento a disagio per aver indossato le Converse, che sono di certo in contrasto con l'ambiente che ci circonda. Il capitano sembra essere conosciuto qui, appena arrivati il cameriere ci ha accolto con un sorriso caloroso e ci ha portati ad un tavolo, appartato rispetto agli altri. L'atmosfera è molto intima, le candele dal fuoco tremolante illuminano il tavolo che è coperto da una tovaglia rossa bordeaux. Austin mi osserva da quando ci siamo seduti e non mi leva gli occhi di dosso nemmeno quando il cameriere ci versa gentilmente del vino rosso nei calici. Non sono un amante del vino ma Austin ha insistito perché io assaggiassi questo, scelto ovviamente da lui. Mi ha assicurato che non me ne sarei pentita. Il silenzio che ci circonda mi permette di sentire le note della musica classica, un ottima scelta per un ristorante come questo. Peccato che questo silenzio prima o poi dovrà essere interrotto. Bevo un sorso di vino e mentre aspettiamo che arrivi la cena mi invento qualcosa per fare conversazione.

«Parlami un po' di te». Diretta e coincisa, come una vera giornalista.

«Non mi piacciono le ragazze curiose».

«Okay, allora pensi che dovremmo guardarci negli occhi per tutta la sera?».

«E che cosa ci sarebbe di male?».

Non ci sarebbe assolutamente niente di male, ma questa sera come le prossime volte, sempre se ci saranno, sarò solamente concentrata sulla riuscita del mio lavoro.

«Non ci sarebbe nulla di male, però mi piacerebbe sapere di più sul tuo conto. Per quanto mi riguarda potresti essere un serial killer, uno psicopatico, oppure il ragazzo più dolce e sensibile del mondo... ma se non parli io questo non lo potrò mai sapere».

La nostra conversazione, a senso unico aggiungerei, viene interrotta dall'arrivo dei piatti.

Tregua.

Lancio degli sguardi ad Austin mentre taglio la carne, spero dica qualcosa, tutto questo silenzio e sguardi incomprensibili non mi porteranno da nessuna parte.

«La mia famiglia è... difficile».

Tutto mi aspettavo, meno che questo. Sono sicura che nei miei occhi è passata una scintilla di curiosità nell'udire le sue parole. Mi chino leggermente in avanti interessata a scoprire di più.

«Mio padre è ossessionato dal football, quando aveva la mia età giocava anche lui ma a causa di un infortunio la sua carriera è finita al college. Ora vuole che io sia il migliore, investe molto su di me. Le aspettative sono troppe e io cerco per quanto mi è possibile di soddisfarle...». Austin fa una pausa, ho come l'impressione che questo ragazzo abbia più responsabilità sulle spalle di quelle che da a vedere.

Beve un po' di vino e butta giù un boccone.

Mi prendo del tempo per fare lo stesso. Se continuo a guardarlo come se mi aspettassi altro potrebbe capire che non sono stata del tutto onesta con lui e che sono qui solo per estrapolargli delle informazioni personali.

«Bellezza, diciamo soltanto che la mia vita non è facile». Lo dice con una sincerità che quasi mi fa provare pena per lui.

«Se non fossi bravo nel football probabilmente la mia famiglia non mi considererebbe come fa ora. Immagino che giocare bene e soddisfare le loro aspettative sia il punto chiave per avere il loro rispetto».

Provo comprensione ed empatia nell'ascoltare le sue parole. E mi maledico per non essere in grado di dire qualcosa di confortante in questo momento. Arrivata a questo punto, sono curiosa di sapere di più.

«Sono riuscito a farti stare in silenzio per ben cinque minuti. Incredibile».

Ride di gusto e faccio lo stesso per stemperare la tensione che si è creata.

«Mi piace ascoltare. Sono molto brava a parlare, questo è risaputo, ma la dote principale di una brava giornalista è l'ascolto».

«E da giornalista diresti che sono un soggetto interessante? Oppure, noioso come la maggior parte dei giocatori di football?».

«Ho come la sensazione che tu sia diverso...».

Mi mordo la lingua nell'istante dopo. Ma come mi è saltato in mente di dire una cosa del genere?! Austin Turner si monterà sicuramente la testa.

Bevo il restante vino nel mio calice e prego che il cameriere me ne porti un altro. Ne ho bisogno.

«Diverso... hai ragione. Sono diverso dai miei compagni di squadra, o almeno è come mi ha sempre fatto sentire il mio problema d'asma rispetto a loro».

Questa confessione mi fa drizzare la schiena sullo schienale. È la prima volta che sento di un giocatore di football con l'asma.

«Scioccante, eh? Il capitano della squadra è asmatico. Immagino che una cosa del genere sia da prima pagina». Sorride. Io invece per poco non mi strozzo con la saliva.

«Non dire così, se sei in squadra vuol dire che nonostante il tuo problema, riesci ad eccellere nello sport per cui ti impegni tanto».

Sono una vipera, una serpe velenosa, mi faccio veramente schifo per quello che sto facendo.

«Non ne parlo molto spesso... a volte quando sono sul campo, mi sento come soffocare...».

Non so se è la mia immaginazione o il vino che mi ha annebbiato la vista, ma sembra proprio che gli occhi di Turner siano diventati lucidi.

«Questo però non ti ostacola dall'essere il migliore in campo». Gli dico prendendogli la mano allungata sul tavolo e gli sorrido delicatamente.

«Sono felice che tu ti sia aperto con me».

Mi dovrei andare a confessare. Potrebbero darmi il premio come miglior bugiarda dell'anno.

Per il restante tempo della cena, dentro di me si fa strada un conflitto interno. La giornalista, subdola, ha assimilato ogni dettaglio come se fosse un tassello del puzzle per il suo articolo; dall'altra, la ragazza romantica, umana e compassionevole, inizia a nutrire dei sentimenti per questo ragazzo.

"Cosa potrebbe catturare l'attenzione del pubblico leggendo il mio articolo?" si domanda la giornalista in me.

Contemporaneamente la mia coscienza è in lotta. Sono certa che in questo ragazzo c'è qualcosa in più e la mia voglia di conoscerlo per chi è veramente, al di là dell'articolo, mi fa tremare le gambe.

Il ristorante illuminato è alle nostre spalle, io e Austin siamo avvolti dal buio del parcheggio. Le luci fioche dei lampioni sono l'unica fonte di chiaro tra di noi. Austin rovista nella tasca della giacca e ne tira fuori un pacchetto di sigarette. Dopo tutto quello che mi ha raccontato, non penavo che fosse così stupido da aggravare il suo problema con il fumo.

«Ne vuoi una?».

«No, e non dovresti nemmeno tu».

Ci fermiamo, Austin si poggia alla sua macchina e mi guarda con aria noncurante rigirandosi la sigaretta tra le dita.

«Me ne concedo una ogni tanto, per stemperare la tensione». Non so se il suo sia un modo carino e goffo per dirmi che si sente a disagio. Pensandoci però non mi sembra un tipo che ha problemi di imbarazzo o fiducia quando si trova insieme ad una ragazza.

«Non sono certa che fumare quella sia la soluzione migliore. Hai mai provato a cercare alternative più salutari per "stemperare la tensione"?». Mimo le virgolette in aria e alzo un sopracciglio in segno di sfida. Non so nemmeno io perché lo sto facendo, anzi, lo so, ma non voglio ammetterlo.

«Penso che nemmeno l'allenamento più duro in palestra serva in certi momenti di stress». Ride tra se.

Non riesco a comprendere il suo stato d'animo in questo momento, ma le braccia tese sotto la giacca di pelle mi fanno capire che probabilmente tutto questo parlare non lo mette a suo agio.

Mi avvicino a lui sorridente.

«Forse conosco un'alternativa che può funzionare». Mi mordo il labbro e gli occhi di Austin si gettano proprio lì.

Manipolatrice. Serpe. Cattiva.

«Sarebbe?». Non penso che Austin Turner mi abbia mai rivolto più attenzione di così. Bingo.

Mi avvicino di un passo e quando percepisco il calore del suo corpo sul mio capisco che la distanza tra noi è veramente minima.

Ho paura di un altro rifiuto? Assolutamente si.

Sto di nuovo provando a baciarlo? Mi sembra evidente.

L'ansia dentro di me non accenna a placarsi, Austin non sembra tanto più tranquillo di me, questo però è l'unico modo per infrangere la barriera tra di noi. Poso delicatamente la mano sul viso del capitano, accarezzo con le dita la sua mascella definita. I nostri occhi si incontrano, colore oceano e profondi come quest'ultimo, faccio fatica a respirare. Sento il suo respiro corto che mi sfiora il viso, i nostri volti sono ad una distanza pericolosa. Circondati dal buio e dal silenzio della sera i nostri cuori che battono all'unisono sono l'unico rumore percepibile. Avvicino le mie labbra alle sue, le accarezzo appena. C'è un attimo di incertezza seguito da un tumulto di emozioni. Le labbra di Austin cedono e ricambiano il bacio, le sue mani si insinuano nei miei capelli che stringe in una morsa salda.

Non ho più scampo.

Il nostro bacio si trasformai in un intricato gioco di lingue, mi reggo a fatica sulle gambe e mi sostengo tenendo le mani sul suo petto. Il suo sapore, questa connessione, è tutto così nuovo per me. Non so per quanto tempo stiamo avvinghiati ma a corto di ossigeno il nostro bacio torna ad essere lento, dolce. Forse è valsa la pena aspettare.

I nostri sguardi si riaprono lentamente.

«Non pensavo che questo rimedio sarebbe stato così... interessante». Austin sorride e mi lascia andare i capelli spostandomi una ciocca dietro l'orecchio.

«Non è l'unica alternativa che conosco». Ribatto, posseduta da una sicurezza che non sapevo di avere.

«Sarà meglio che ti riporti a casa bellezza o qui potrebbe finire molto male». Lo vedo andare verso la sua portiera e sistemarsi il cavallo dei pantaloni. Ho la sensazione che il bacio gli sia piaciuto più del dovuto, e anche a me.

Non so che direzione prenderà questa storia ma se scrivere il mio articolo mi poterà a trarne anche un vantaggio personale allora... grazie Lerry. 

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