Rhys
La notte di Natale...
La neve, di notte, aveva una bellezza singolare. La luce dei lampioni, in strada, ne mostrava la caduta. Sul suolo se n'era ormai depositata parecchia, ma i fiocchi precipitavano incessantemente.
A Rhys piaceva la neve: era silenziosa e bianca, e si muoveva in aria con una sinuosa eleganza. Amava concentrarsi sui singoli fiocchi e seguirne il moto, immaginando i passi di una coreografia eseguita tra gli sbuffi del vento.
«Aingeal milis.»
Il bambino si riscosse dalle sue fantasie. Si voltò, incontrando la figura della madre. Erin aveva i capelli rossi scarmigliati, e alcune ciocche svanivano sotto la vestaglia verde.
«Che cosa fai ancora sveglio?»
«Guardavo la neve perché non riesco a dormire.»
Erin sorrise e raggiunse il figlio davanti alla finestra. Si sedette al suo fianco, cosicché i loro volti fossero alla stessa altezza.
Rhys scrutò la madre di sottecchi, per studiare le sue espressioni: i lineamenti erano distesi, gli occhi concentrati sulla caduta della neve e le labbra tese in un sorriso. Avrebbe potuto affermare senza ombra di dubbio che sua madre fosse tranquilla. Se ne compiacque, con un senso di calore che gli abbracciava il cuore.
Il Berkshire era un po' meno Londra; i prati, per quanto diversi, le ricordavano l'Irlanda, ed Erin, almeno a Natale, si sentiva in pace con se stessa. La neve, poi, aveva il potere di nascondere tutto sotto al proprio manto, conferendo al paesaggio quell'aura magica che popolava il suo immaginario di creature leggendarie.
«Babbo Natale non sarà contento di trovarti ancora sveglio, aingeal.»
«Lo so, ma non riesco a tenere gli occhi chiusi.»
Erin sorrise sorniona: conosceva Rhys abbastanza bene da riuscire ad interpretare ciò che diceva e, soprattutto, quello che teneva per sé.
«Scommetto che, dopo una tazza di latte e una storia, ti addormenterai in un baleno.»
Gli occhi azzurri del bambino si illuminarono. Prese la mano della madre e si diresse con lei in cucina, dove Erin accese la luce sopra i fornelli. Con gesti cauti, per non fare troppo rumore ed evitare di svegliare il resto della famiglia, prese tutto il necessario per preparare del latte, mentre Rhys la osservava, come incantato.
Pensava che la sua mamma fosse la più bella del mondo. Somigliava ad una delle creature magiche e splendide dei racconti che lei gli narrava sempre prima di andare a dormire.
Il fascino dell'Irlanda, la terra natale di Erin, scorreva nelle vene di Rhys, che mai aveva visitato l'isola, ma a lui pareva di conoscerla così bene da esserne un abitante. Le leggende celtiche esercitavano sulla sua mente un fascino suggestivo. Voleva sapere sempre di più, per avere la certezza che le sue fantasie avessero un fondo di concretezza a sostenerle.
«Mamaí.»
«Dimmi, aingeal.»
«Com'è il Natale in Irlanda?»
Erin sorrise. «Non è così diverso da qui. Non nevica spesso, però.»
«E tu cosa facevi, da piccola?»
La mamma versò il latte nella tazza, con il fumo biancastro e informe che si sollevò in aria.
«Ricordo che mia nonna, al tramonto della Vigilia, accendeva una candela – una soltanto – e la poneva sul davanzale, davanti alla finestra. Anche nelle altre case brillavano delle fiammelle solitarie.»
«Perché una sola candela?» domandò Rhys con curiosità, soffiando sopra la tazza di latte.
«Per simboleggiare la stella che guidò i Re Magi da Gesù bambino.» Erin arruffò i capelli del figlio, specchiandosi nei suoi occhi azzurri, simili ai suoi. «Dopo cena, io e i miei cuginetti ci sedevamo in cerchio attorno alla sedia a dondolo davanti al camino. Mia nonna si accomodava e iniziava a lavorare a maglia, mentre ci raccontava antiche storie irlandesi.»
«Qual era la tua preferita?»
A Rhys piaceva tuffarsi nel passato della madre. Si sentiva parte di quel tempo lontano a cui non apparteneva, ma che a Erin mancava: il bambino glielo leggeva nella profonda malinconia che adombrava spesso il suo volto quando, a Londra, la coglieva a sospirare. Percepiva il peso di ogni lacrima trattenuta e soffocava il desiderio di unirsi al suo pianto quando la ritrovava raggomitolata nel letto, al buio, per nascondere i demoni che alla luce avrebbero avuto un aspetto troppo doloroso per affrontarli.
A Natale, la sofferenza si alleggeriva. Le luci e il fuoco scoppiettante nel camino avviavano un viaggio nel tempo, che portava Erin e suo figlio all'esplorazione dei ricordi di un'antica civiltà. Sebbene distanti, percorrevano i prati verdi dell'Irlanda insieme alle fate e ai leprechaun.
«Ogni anno insistevo con mia nonna affinché ci raccontasse la storia della Regina dell'Inverno.»
Rhys allontanò la tazza dalle labbra, spalancate per la curiosità. «La Regina dell'Inverno?»
Erin annuì. «La Cailleach. È la dea dei mesi invernali, indossa un velo e controlla i venti e il clima. È in grado di rendere gli inverni lunghi e rigidi e protegge gli animali. Alcuni sostengono che sia una strega, altri una divinità.»
Rhys scrutava sua madre, intrigato dalla leggenda.
«Dicono che viva a Beara, una penisola irlandese aspra e selvaggia, a Sud.»
«Come mai a volte decide di far durare l'inverno tanto a lungo? È perché gli uomini sono cattivi?»
«Una leggenda racconta che il primo giorno di febbraio, la Cailleach esca per cercare della legna da ardere per l'inverno e, se la giornata è secca, potrà far durare il freddo per mesi; se, invece, incontra la pioggia, dovrà cedere il passo alla primavera.»
«L'anno scorso, allora, è riuscita a trovare tanta legna», commentò Rhys, ricordando il lungo inverno precedente.
Erin sorrise e accarezzò la guancia del figlio. «Chissà quest'anno...»
«Mamaí, mi racconti una storia sul fuoco?»
«Perché proprio sul fuoco?»
«Mi dici sempre che ne porto il nome: Rhys Aodhán.»
«Il fuoco è simbolo di saggezza, purificazione e continuo cambiamento; al tempo stesso, però, le fiamme possono arrecare distruzione. Essere in grado di dominarle è segno di forza e scaltrezza.»
«Anche il fuoco ha una divinità come l'inverno?»
«Esatto: Belenus. Il popolo lo invocava per ottenere cure e protezione. Donava prosperità e, per venerarlo, venivano accesi dei roghi ed eseguiti dei rituali.»
«Quindi, da grande diventerò saggio?»
«Lo spero, aingeal milis. Ma già adesso lo sei.» Erin accarezzò la guancia del figlio, sorridendo con orgoglio.
Il bambino bevve l'ultimo sorso di latte e porse la tazza alla madre, che la ripose nel lavandino.
«Ora hai sonno?»
Rhys scosse il capo. «Non tanto. Mi racconti un'ultima storia?»
La madre non lo rimproverò: in fondo, era felice di poter condividere con qualcuno quella porzione del suo passato; Rhys era curioso e aveva sempre molte domande da porre sull'Irlanda. Raccontare le tradizioni della sua terra le consentiva di tornare a casa, anche se era soltanto la sua mente a compiere quell'agognato viaggio: il suo corpo restava ancorato a Londra, città nemica e a lei ostile, grigia e priva dell'essenza quasi magica che nutriva la sua anima.
«Ti ho mai parlato di Oisín e Niamh?»
«No. Chi sono?»
«Oisín era un membro della Fianna, quindi era un guerriero. Un giorno, mentre stava cacciando, si imbatté in una giovane fanciulla, il cui nome era Niamh. Lei era la figlia del re di Tír na nÓg.»
«È l'aldilà, vero?»
«Esatto. A Tír na nÓg non esistono la vecchiaia, la tristezza o la malattia.»
«Niamh era bella?»
«Molto. Sedeva in groppa al suo cavallo bianco, Embarr, e i suoi capelli avevano lo stesso colore dei raggi del sole. Indossava persino un mantello che somigliava al cielo notturno, trapuntato di stelle.»
«E cosa accadde?»
«Niamh si era innamorata di Oisín, e per questo era giunta fin lì: per chiedergli di sposarla e di seguirlo a Tír na nÓg.»
«Lui accettò?»
«Era riluttante: ricambiava i sentimenti di Niamh, ma al tempo stesso non avrebbe voluto abbandonare la famiglia e gli amici. Tuttavia, alla fine decise di sposare Niamh, e la seguì nella sua terra incantata.»
«Vissero per sempre felici e contenti, non è vero?»
Erin scosse il capo. «A Oisín mancava tutto ciò che aveva lasciato indietro per seguire Niamh. L'amava e avevano persino avuto due figli, ma era stato lontano dalla sua terra per tre anni. Sentiva nostalgia di casa.»
Rhys osservò la madre perdersi in un'altra dimensione. Il suo sguardo, d'un tratto, era divenuto vacuo e distante, e il suo volto non era più radioso.
Capì i suoi pensieri. Sapeva leggere il viso della madre come un libro, e gli bastò abbracciarla per riscuoterla dalla sua malinconia: come Oisín, il suo cuore apparteneva all'Irlanda, e la lontananza era una ferita che non poteva rimarginarsi.
«Cosa decise di fare, allora?»
Erin si strinse al figlio, respirando il profumo delicato dei suoi capelli neri e tornando alla realtà.
Il suo piccolo Aodhán era quanto di più simile le fosse rimasto della sua terra: una fiamma inesauribile, che scaldava il gelo penetrante della nostalgia.
«Chiese a Niamh di poter partire per visitare la famiglia e gli amici, e lei lo avvisò che avrebbe incontrato molti cambiamenti. Ma Oisín era irremovibile, e pertanto lei acconsentì con una sola raccomandazione: non doveva mai toccare il suolo irlandese, altrimenti non sarebbe potuto tornare a Tír na nÓg. Per questo motivo, per affrontare il viaggio, gli affidò il suo cavallo magico Embarr.»
«Era davvero cambiato tutto?»
«Sì: in Irlanda erano trascorsi ben trecento anni, mentre a Tír na nÓg ne erano passati solo tre. Il paesaggio era mutato, e non c'era più traccia né della Fianna, né della famiglia di Oisín. Tutte le persone a cui chiedeva notizie lo prendevano in giro: il suo presente, ciò di cui lui parlava... era ormai una leggenda che apparteneva al passato.»
«Povero Oisín...»
«A quel punto, decise di tornare da Niamh, ma incontrò degli uomini che stavano provando a sollevare un enorme masso. Per aiutarli, cadde dalla sella e toccò il suolo.»
Rhys sussultò, intrigato a tal punto dal racconto della madre che portò le mani davanti alla bocca tanto era esterrefatto. «Non ha rispettato la condizione di Niamh!»
«Già. Una volta in terra, invecchiò di colpo e morì.»
«E Niamh?»
«Aveva appena messo al mondo la loro figlia e, siccome soltanto Embarr era tornato da lei, si recò in Irlanda per cercare il marito e lo trovò morto. Oisín fu costretto a vagare per la sua terra finché incontrò San Patrizio, al quale raccontò la sua vicenda.»
«San Patrizio?»
«Sì. Tentò di convincerlo a convertirsi al cristianesimo per andare in Paradiso, ma invano: non appena Oisín seppe che la Fianna si trovava all'inferno, lui si rifiutò di recarsi in un posto dal quale la sua famiglia e i suoi amici erano stati esclusi.»
«È una storia triste», commentò Rhys. «Mi dispiace per Niamh, ma anche per Oisín.»
Erin accarezzò la guancia del figlio. «Come mai?»
«Niamh è rimasta sola ed era innamorata di Oisín, ma lui era stato portato via dalla sua terra.» Rhys prese a giocare con una ciocca dei capelli rossi della madre, che penzolava proprio davanti al suo volto. «Tu pensi che Oisín volesse davvero seguirla a Tír na nÓg?»
«Lei non gli aveva mai impedito di scegliere. È stata una sua decisione, non un'imposizione.»
«Lo so, ma... lui già sapeva che avrebbe sentito la nostalgia della sua casa e dei suoi cari. Perché andare a Tír na nÓg?»
«Aingeal milis, è solo una leggenda.»
Rhys si morse il labbro e abbassò lo sguardo. La sua mano abbandonò i capelli della madre, come privata della forza per sostenersi in aria. «Non è solo una leggenda...» mormorò con un filo di voce.
Erin lo sapeva. Non poteva prendere in giro suo figlio, pensando che non fosse capace d'intendere il suo cuore soltanto perché era un bambino. Dietro a quegli occhi azzurri e velati d'ingenua dolcezza c'era un'anima cresciuta troppo in fretta, costretta a sforzarsi di comprendere il mondo prima che questo lo divorasse.
Rhys trovò il coraggio di sollevare il capo e si scontrò con lo sguardo dolce e affettuoso della madre. Avevano capito entrambi che dietro a quella storia del passato c'era un presente condiviso.
«Mamaí.» Rhys stese le braccia e circondò il collo di Erin. Inspirò a pieni polmoni il suo profumo familiare e natalizio: zenzero – lo stesso sapore dei biscotti che avevano preparato nel pomeriggio con zia Susan e le sue cuginette, Rachel e Shirley. «Vorrei tanto poterti regalare l'arcobaleno.»
Sua madre sorrise, premendo il corpo del figlio contro il suo petto. A volte aveva l'impressione che stesse crescendo troppo in fretta. Il piccolo scricciolo dagli occhioni grandi che si aggrappava sempre alle sue gambe, intimorito da ogni cosa, sarebbe diventato un uomo, prima o poi.
«Io ho già te, aingeal milis. Non mi serve altro.»
"No, mamaí: io lo so che desideri tornare a casa e sogni la felicità. Ma l'arcobaleno, in cielo, non appare, e io non so che fare per donartelo."
«Ora dovresti andare a dormire, piccolo Aodhán. È tardi.»
Rhys annuì. Insieme uscirono dalla cucina, ma si fermarono dinanzi alla finestra, attratti dalla neve che aveva smesso di cadere. Tra le nuvole si era aperto uno squarcio, oltre il quale si stendeva la volta celeste. Il suolo innevato sembrava risplendere, accarezzato dai raggi della luna piena.
Lo sguardo di Rhys era attratto dal satellite, che non gli era mai sembrato così luminoso come lo era quella notte. «Sognavo un Bianco Natale, quest'anno.»
Appoggiò il capo contro il petto della madre, con gli occhi che vagavano sulla distesa di neve, alla ricerca di leprechaun o fate. La sua mente era in Irlanda, accanto al cuore di Erin.
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