L'OPINIONE DI LAURA
IL PESO DELLE PAROLE, LA LEGGEREZZA DEL TESTO
Salve gente.
Vi è mai capitato di leggere un bel libro ma di incontrare durante la letture alcune parole che rovinano il testo? Non so, tipo... delle parolacce?
Ecco, io non sono una puritana, chi mi conosce lo sa, anche nei miei libri ogni tanto una parolaccia ce l'ho messa. Be', tutto sommato non lo reputo un errore madornale perché se si vuole raccontare la vita vera, e se vogliamo che i nostri personaggi siano il più reali possibili, una parolaccia ogni tanto ci stà, specie quando si arrabbiano. Tranne ovviamente se il nostro personaggio è un prete o un tipo molto religioso o che non dice parolacce perché sono fatti suoi. Però quando queste parolacce appaiono in ogni dialogo perché vogliamo dimostrare che il nostro personaggio è un tipo macho che non gli importa niente del parere della gente, e finisce che su dieci parole sette sono parolacce e solo tre sono normali, ecco che la lettura inizia ad essere poco realistica, oltre che poco piacevole.
Poi, oh, c'è anche quell'autore che non inserisce a prescindere parolacce nel suo libro proprio per una questione di educazione. Tanto di cappello.
Comunque non voglio parlare di parolacce in specifico, loro le ho prese solo come capro espiatorio per introdurre questo argomento. Oltre a loro, spesso può capitare che i personaggi di certi libri abbiano un linguaggio che non è molto consono al ruolo che ricoprono all'interno della storia.
Avete capito di cosa sto parlando, no?
Come no? In altre parole, a volte può capitare che incontriamo in un libro un personaggio che è un dottore, ma quando gli viene chiesto di specificare qualcosa relativo al suo lavoro usa tutto tranne le parole che dovremmo aspettarci da un personaggio che ricopre un simile ruolo. Non vi è mai capitato?
Allora forse vi sarà capitato di leggere di una ragazzina di appena diciotto anni, che magari ha finito gli studi e va a lavorare perché, come succede spesso in certi racconti ha perso i genitori precocemente e deve mantenersi da sola, e la sentiamo esprimersi con termini che io, che anche se ho fatto la terza superiore ho pur sempre una certa cultura pur ritenendomi ingorante, per sapere cosa ha detto devo per forza andare a cercarlo sul vocabolario.
Ora, non ho niente in contrario a quelle storie che inducono il lettore a imparare termini nuovi o anche a fare delle ricerche per comprendere meglio il testo, ma bisogna vedere se quel determinato termine sia consono alla storia che stiamo raccontando o al personaggio che la sta dicendo.
E non sto parlando solo della ragazzina che sta per laurearsi in letteratura e poi dice "a me mi" o cose di questo genere.
Alcune volte l'autore, per far vedere ai suoi lettori di essere una persona acculturata e che sà il fatto suo, inserisce nei dialoghi, o anche solo durante i pezzi descrittivi, alcune parole un po' più ricercate del normale. Questo succede soprattutto quando la narrazione è in terza persona. Ma, un conto è leggere che un addestratore di cavalli usa termini che solo chi ama i cavalli e che sa cavalcare può conoscere, tipo cavezza, sottopancia, morso, garrese. Un altro conto, invece, è leggere di un semplice amante degli animali che fa il muratore, che vedendo un cavallo correre dentro il suo recinto in lontananza, si fermi a pensare ai muscoli dell'animale che si distendono e si contraggono nell'atto della corsa, descrivendoli uno per uno con i loro nomi scentifici quando non conosce nemmeno quelli del suo braccio destro.
Ve lo immaginate Mario l'imbianchino, che è arrivato per sua fortuna a finire la terza media, che si ferma ad ammirare un cavallo che corre e con aria trasognata diCe: "Mi meraviglia il movimento dell'estersore obliquo del corpo che si contrae determinando il movimento del segmento osseo al quale è attaccato, in concomitanza col lavoro del tendine e dell'ulnare laterale..." Ma vi pare?
Certamente, però, ciò potrebbe anche starci se si sta scrivendo un libro fantasy o fantascienza, anche se in ogni caso dovremmo dare una spiegazione logica e sensata del perché Mario l'imbianchino, che è riuscito a finire la terza media per un soffio e non ha mai fatto altro in vita sua che dipingere case, sappia a menadito il nome di ogni singolo muscolo di un cavallo.
Certo, è un esempio estremo, ma questo è il senso.
In fondo è pure brutto leggere di uno scienziato che sta parlando del suo ultimo saggio sul comportamento dell'atomo a contatto con una speciale formula chimica, e per spiegare tale processo dice. "Ecco, quando l'atomo viene a contatto con questa cosa creata dentro la provetta, cambia colore e da blu diventa gialla, poi diventa rosa e dopo torna blu. Se la prendi in mano ti bruci quindi devi usare qualcosa per prederla se no ti fai male..." Dai, andiamo!
Per fare un esempio più pratico, ve lo immaginate un bambino di solo cinque anni, spiegare come un piccolo dottore, che la sua macchinina telecomandata si muove grazie alle onde elettromagnetiche che partono dalla piccola antenna del suo telecomando, si esapandono attraverso l'aria che fa da conduttore, e quando vengono captate dall'antenna della macchina, dà quell'imput per farla spostare? Certo, se avesse sentito questo discorso da suo padre potrebbe anche ripeterlo a pappagallo, ma di sicuro non avrebbe idea di quello che ha appena detto.
Mi ricorda la bimba di quella nota azienda di voli di linea, "L'aerodinamica di un aereo è questione di fisica." ...Ma te ne vai dalla mia tv?!
Dopo tutto, se stiamo scrivendo un libro adatto a tutti, che può essere letto anche da dei normali ragazzi, non possiamo continuamente metterci termini poco usati e ricercati. Certo, uno o due ci stanno, se l'argomento che stiamo trattando lo richiede e avremo catturato l'attenzione anche del lettore più giovane, egli andrà a ricercare il suo significato se vorrà veramente sapere cosa ha appena letto, ma se lo stesso giovane lettore trova un termine particolare ad ogni dialogo o in ogni periodo descrittivo, dopo la terza volta si sarà già stancato di andare a ricercare il significato, ed ecco che l'intento dell'autore di introdurre nuovi termini nel vocabolario del lettore è andato a farsi friggere (oltre che a non far comprendere appieno il suo testo).
E come è capitato a me, è altrettanto brutto leggere una storia di due amiche quindicenni che parlano tra loro, e per identificare un particolare oggetto, viene descritto come "il coso". Il coso??? Ma dove siamo, in prima elementare? Ok che a quindici anni non hai una grande conoscenza di tutto ciò che ti circonda, ma se proprio vogliamo parlare di un oggetto, chiamiamolo col suo nome vero, e se non lo conosciamo per ragioni che ci sfuggono, chiediamo a qualcuno o usiamo quella risorsa incomiabile che abbiamo tra le mani: internet.
Per concludere, non è inserendo paroloni altisonanti che dimostreremo di saper scrivere, e non alleggeriremo la lettura descrivendo le situazioni con termini infantili. Dando il giusto peso alle parole e inserendole nel giusto contesto determineremo la profondità e la leggerezza del nostro testo, rendendolo comprensibile e reale ad ogni lettore che si imbatterà nella nostra storia.
Alla fine, stiamo a scrive un romanzo per diverticci o per passione, un stiamo mi'a affà la versione personale dell'Inferno Dantesco, o bimbi su, su sta cosa un ci si ruzza!
Laura Pafumi, autrice de "Il mio bacio salato".
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