She


'Cause if you're lonely in Chicago
You can call me baby
Has it been long enough that you can forgive me?

- Chicago

***

Svuotare le valige era la parte peggiore, tutto mi andava di fare tranne questo. Ogni cosa adesso doveva ritrovare un nuovo posto e conoscendomi avrei cambiato così tante volte la disposizione degli oggetti finché non avrebbero trovato un senso nella mia mente.

In quel momento mi limitai a buttare la maggior parte delle cose tra armadio e cassetti sperando che giorno dopo giorno si sarebbero sistemati da soli. Decisi di aprire le finestre per cambiare aria, nonostante il freddo che penetrava da esse. Dal balcone c'era una vista stupenda, da uno squarcio tra due palazzi riescivo a vedere il Tamigi brillare sotto le luci calde delle sponde e lo Shard mi sorprese in lontananza alla mia destra. Chissà come ha fatto nonna a trovare questo posto, che sembrava così perfetto per me.

Improvvisamente mi tornarono in mentre la casa rumorosa, mamma, papa e Will e per un attimo sentì un senso di nostalgia alla bocca dello stomaco. La strada affollata anche di sera, il traffico londinese, i bambini che correvano sui marciapiedi seguiti dai genitori, l'aria natalizia ed io lì da sola. A questi pensieri seguirono attimi d'ansia e paura come se solo adesso stessi realizzando dove mi trovavo e cosa stavo facendo. Per fortuna, dentro casa, il cellulare squillò distraendomi. Una videochiamata da mamma.

«Mamma! Ciao...» Risposi con un velo di malinconia vedendo il suo volto lontano.

«Tesoro, sei arrivata sana e salva nel nuovo appartamento?» Chiese quasi urlando con aria eccitata e preoccupata allo stesso tempo.

«Sono qui proprio adesso, è bellissimo. Nonna è sempre una garanzia.» Provai a ridere.

«Hai tutto? Coperte? Riscaldamento funziona? Hai mangiato?» Una sfilza di domande come un fiume in piena.

«Credo di si, mamma tranquilla, ho tutto quello che mi serve, dopo esco a mangiare qualcosa.» Tentai di tranquillizzarla anche se sapevo perfettamente che avrebbe continuato a preoccuparsi. Sento subito dopo un certo trambusto e vidi mamma sbuffare.

«Va bene, va bene... c'è Will che vuole par-»

«Sorella!» Mamma non riuscì neanche a finire di parlare che il telefono le venne strappato di mano da un fratello troppo esuberante.

«Com'è la vita senza di me?» Chiesi ironicamente.

«Sei via solo da 4 ore, chiamami domani e ti darò una risposta.»

«Ammetti che hai fatto residenza nella mia stanza!»

«Per quanto sia nelle mie intenzioni, mamma non mi fa neanche entrare nella tua stanza. Neanche fosse un fottuto santuario.» In lontananza sentì mamma rimproverare Will ma lui ci fece poco caso ed io sorrisi a tutto ciò. «Ti ricordo, comunque, che il prossimo anno verrò a stare lì quindi tieni un letto vuoto.» continuò.

«Mi dispiace, qui c'è solo un letto e non ho intenzione di condividerlo, sopratutto con te.» Risposi sfidandolo ma tutti sapevamo che l'avrebbe sempre avuta vinta lui.

«Vedremo.»

Dopo pochi altri minuti ed infiniti saluti e raccomandazioni da parte di mamma e papa, misi giù il telefono con umore decisamente migliore rispetto a prima. Erano già passate le otto, dovevo necessariamente mangiare qualcosa, il mio stomaco iniziava a brontolare e avevo bisogno di energia per domani. Dovevo sbrigare le ultime pratiche per l'iscrizione all'Università.

Anche se stanca dal viaggio, afferrai la borsa con qualche spicciolo dentro, il cappotto e una sciarpa morbida, ed assicurandomi di non aver dimenticato le chiavi di casa, uscì per procacciare del cibo.

Non sapevo minimamente dove andare, sarei andata un po' a sentimento. Speravo solo di riuscire a ritrovare la strada di casa senza problemi. Sarebbe stata una perfetta conclusione per questa giornata. Per fortuna, appena girato l'angolo, poco distante, un'insegna luminosa attirò la mia attenzione. Starbucks. Ottimo, mi sentivo già a casa, anche a Liverpool ci andavo spesso.

Stesse sedie, stessi tavoli, stesso colore alle pareti, cambiava solo il personale. Scelsi con cura un tavolino appartato vicino ad una grande finestra che dava sulla strada, mi liberai del cappotto e della sciarpa riponendoli sul divano accanto a me mentre i miei occhi osservavano i passanti passeggiare con passo svelto e destinazione precisa.

Chissà se anche io un giorno avrei camminato con così tanta dimestichezza tra queste strade, oggi così illuminate dal Natale.

Cominciai ad osservare il menu che sembravo conoscere a memoria ma lo richiusi appena mi si avvicinò un ragazzo con un grembiule verde, il cameriere.

«Cosa le porto?» Chiese con la voce sottile.

«Vorrei un sandwich con salmone e una spremuta d'arancia, per favore.» Scrisse l'ordine sul suo bloc-notes con aria concentrata.

«Arriva subito.» Mi sorrise dolcemente andandosene.

In quel preciso momento il mio telefono si illuminò segnalandomi l'arrivo di un messaggio e quasi persi un battito leggendo il nome.

da Sam:
Quindi te ne sei andata veramente? È a causa mia?

Sapevo che prima o poi mi avrebbe ricontattata, ruotai gli occhi al cielo constatando che come sempre pensava di essere il centro del mondo. La nostra storia era finita proprio per questo, i suoi bisogni venivano sempre prima dei miei o di quelli di chiunque altro.

Decisi di non rispondere neanche per chiudere definitivamente questa situazione che aveva cominciato a pesarmi già da un po'. Ero davvero innamorata di lui ma si era rivelato possessivo e controllante, ammetto che una piccolissima parte di me aveva deciso di partire anche a causa sua. Nonostante ci fossimo lasciati, me lo ritrovavo ovunque con la scusa di volermi solo parlare, solo vani tentativi di farmi tornare indietro sui miei passi.

Per quanto si possa voler bene ad una persona è bene lasciarla andare quando non ci fa stare più bene ed ero sicura che prima o poi avrebbe capito. Non era cattivo, ma non era capace di amare in modo sano.

Gettai il cellulare in borsa sbuffando. Nello stesso momento il ragazzo di prima mi porse il sandwich e la spremuta con delicatezza, come se avesse paura di far cadere tutto.

«Grazie mille.» Dissi con un sorriso pensando che poi se ne sarebbe andato, ma evidentemente non era nelle sue intenzioni.

«Vuoi qualcos'altro? Ci sono biscotti, torte, muffin al cioccolato con panna e...» La sua faccia diventò più dubbiosa mentre addentavo il mio sandwich osservandolo con curiosità. Dalla tasca del grembiule tirò fuori un foglio ripiegato e, dopo averlo aperto, ricominciò a parlare. «... bocconcini alla crema, tramezzini, pizzette, toast, focacce, insalate, bagel, frullati. Abbiamo molti tipi di frullati: vaniglia, fragola, al cappuccino, alla menta...»

Mi fece ridere mentre bevevo un sorso della mia spremuta.

«Se ti fa smettere di parlare, dopo il sandwich mangerei volentieri dei biscotti al cioccolato.» Lo fermai divertita per fargli riprendere fiato.

«Ottima scelta! Torno subito con i biscotti.» Andò via sorridendo con aria vittoriosa, non me ne intendevo ma pensai che fosse un'ottima strategia di marketing portare all'esasperazione il cliente.

Ha un bel sorriso, pensai.

Scossi la testa e continuai a mangiare la mia cena. Prima di quanto pensassi, ritornò con un piattino colmo di biscotti, ognuno con una forma diversa ma decisamente natalizi.

«Ti consiglio quelli a forma di renna, hanno il ripieno al cioccolato, sono i miei preferiti!»

«Sembrano buonissimi.» Risposi dopo aver masticato l'ultimo morso rimasto del panino. «E tu sei un ottimo venditore.» risi.

«Mi sono fatto assumere allo stesso modo, per sfinimento.» Fece spallucce divertito. Aveva un'aria così familiare eppure ero sicura di non averlo mai visto.

«Allora hai una dote. Vuoi una renna?» Chiesi invitandolo ad accettare dopo aver notato come osservava i biscotti con i suoi occhi azzurri.

«In realtà sarei di turno...» Ci pensò un attimo guardandosi intorno. «Ma non importa.»

Si sedette di fronte a me afferrando un biscotto come se aspettasse solo che gli dessi il permesso di fiondarcisi. Ancora una volta sorrisi alla spontaneità di questo ragazzo. Di tanto in tanto lo vedevo buttare un occhio al collega che puliva i tavoli dietro di me, forse per intervenire qualora ne avesse avuto bisogno ma sembrava abbastanza tranquillo mentre masticava la sua renna al cioccolato.

«Come ti chiami?» Chiese rompendo il silenzio fissandomi curioso.

«Mariam.» Con mezzo biscotto in bocca fregandomene altamente di essere delicata. Il suo sguardo diventò serio per un secondo prima di tornare disteso. «Cosa c'è? Non ti piace il mio nome?» Chiesi ironicamente.

«No, é che...» Si bloccò ancora. «Niente, mi piace tanto il tuo nome.» Sorrise. «Non ti ho mai vista da queste parti.» Aggrottò le sopracciglia.

«Sono arrivata oggi in città, studierò qui.» Spiegai. «Tu sei letteralmente la prima persona che ho conosciuto a Londra.»

«Ne sono onorato.» Sorrise. «Spero di vederti di nuovo qui per mangiare le renne insieme allora.» Continuò alzandosi dal posto davanti a me prima di correre verso il collega dai capelli biondi apparentemente in lotta con il registratore di cassa.

Finiti di mangiare i biscotti mi resi conto che era tardissimo, l'indomani mi sarei dovuta  alzare presto. Raggiunsi la cassa dove il ragazzo biondo, da solo, preparò il mio conto. Chissà dove era andato il cameriere dagli occhi azzurri. Non gli avevo neanche chiesto come si chiamava.

«Dunque, un sandwich e una premuta...» Disse concentrato digitando sullo schermo. «Sono 8 sterline.»

«Ho mangiato anche de biscotti.» Precisai indicando il tavolo a cui ero seduta.

«Quelli li offre la casa.»

Una voce alle mie spalle mi costrinse a girarmi ma il ragazzo con gli occhi azzurri era già sparito nel retro del locale con un vassoio colmo di bicchieri sporchi in mano. Inevitabilmente sorrisi ancora una volta come anche il ragazzo alla cassa.


Louis



Mariam

Questo era il nome che si aggirava tra i miei pensieri dalla sera prima. Un nome così familiare, come se lo conoscessi da sempre. Mariam. Immagini di me bambino si susseguirono, rincorrevo una palla, il posto era indefinito ma c'era un grande prato verde. Non ero da solo, c'erano altre persone che giocavano con me, bambini, due per la precisione.

La scena cambiò, eravamo dentro casa, quella casa, le fotografie sul caminetto, quelle in cui eravamo tutti insieme. L'odore della coccolata calda, mi voltai e vidi mamma che trasportava 3 tazze. Accanto a me gli stessi due bambini di prima che battibeccavano tra loro.

«Tu hai più marshmallow!»

«Non è vero! I tuoi li hai già mangiati.» Rispose la bambina. «Non è colpa mia se sei un pozzo senza fondo.»

«Sono più piccolo di te, devo crescere! E dai, dammene uno Mar!» Si lamentò il bambino.

Mar

La scena mutò di nuovo, stavolta sentivo una grande tristezza alla bocca dello stomaco. Stava succedendo qualcosa, mamma e papa urlavano come sempre e io ero raggomitolato in un angolo della mia stanzetta con le mani alle orecchie per non sentire. Le mie sorelle più piccole giocavano noncuranti di ciò che stava accadendo, forse troppo piccole per capire realmente. All'improvviso la porta della cameretta si aprì, il viso di mamma in lacrime. Difficile da dimenticare. Afferrò poche cose gettandole di fretta dentro dei borsoni e senza neanche realizzare eravamo già tutti fuori di casa. Mamma ci intimava di entrare in macchina mente continuava ad urlare a papà. Lui tentava di fermarla da ciò che stava facendo, lei esasperata per i continui tradimenti, i litigi, le bugie.

In quel momento il mio unico pensiero era rivolto alla bambina sul portico della casa accanto, i suoi genitori alle spalle osservavano la scenata che i miei stavano dando ai loro occhi. Provavo vergogna.

«Lou!» Urlò la bambina con gli occhi lucidi mentre faceva qualche passo verso di me prima che venisse bloccata dal padre.

«Louis entra in macchina!» Ordinò arrabbiata mamma facendomi sobbalzare.

«Quando torni?!» Urlò ancora la bambina. «Voglio venire con te!» Pianse forse sapendo che non ci saremmo più rivisti. Forse lo sapevo anche io.

«Te lo prometto! Domani torno a prendenti, Mar! Aspettami...»

Cercai di abbozzare un sorriso rassicurante per lei ma nulla dentro di me si sentiva al sicuro in quel momento. Pochi altri ricordi, la macchina che si allontanava, una casa nuova, una scuola nuova, nessun amico.

«Sei tu ora l'uomo di casa.» Suonò quasi come una sentenza alle mie orecchie troppo piccole per sopportare il peso di una tale responsabilità, che mia madre e mio padre mi scaricarono sulle spalle.

***

Mi svegliai di soprassalto, col fiatone e sudato. Mentre il mio petto si alzava e abbassa va cercando di regolare il respiro, mi resi conto che stavo sognando. Ricordi latenti di momenti che avevo voluto dimenticare. Ma ciò che viene represso prima o poi trova sempre il modo di riaffiorare. Mi guardai intorno per cercare il cellulare, erano le 7:00 del mattino. La sveglia avrebbe suonato 10 minuti dopo. Combattuto tra cercare di riaddormentarmi ed alzarmi dal letto, decisi infine per la seconda. Strizzai gli occhi infastidito dalla luce che proveniva dalla finestra ma ero attirato da quest'ultima, sbadigliai appoggiandomi al davanzale. Quando la mia vista si mise a fuoco non potei fare a meno di notare una figura familiare lasciare il palazzo e correre lungo la strada. Realizzai.

Mariam.

Mar.

E se fosse lei?




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Buonasera a tutti, spero abbiate passato un felice Natale. Ho finalmente deciso di pubblicare questa storia iniziata qualche anno fa e mai finita. Dopo Almost ho purtroppo smesso di scrivere ma questa passione è riaffiorata insieme ai ricordi dopo che Liam è venuto a mancare. Mi auguro stiate tutte bene e che questa storia vi piaccia tanto quanto piace a me.

Un bacio,

Grace

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