Capitolo 5


Nel corso dei due giorni successivi, Draco cerca il più possibile di non fare caso a quanto stia diventando matto. L'esercizio migliore, decide, è andare avanti come se fosse tutto normale e forse avrebbe potuto anche funzionare, peccato che non abbia più idea di cosa si possa definire 'normale'

Quando è solo fa fatica a ricordare come fosse la vita prima che Potter gli rispedisse indietro le lettere e diventasse, in qualche modo, il centro del suo universo, ma non va bene.

Quando è con Harry, si regge forte a queste emozioni terrificanti, le tiene segrete, ma sa che andrà sempre peggio. L'unica cosa che lo fa rimanere sano di mente è la certezza che Harry non sa assolutamente nulla e c'è solo una sottile barricata tra Draco e l'orrore di ammettere che forse si stia innamorando di Harry Potter.

Perché, in qualche modo, e questa è la cosa peggiore di tutte, è che ora sono amici. Non esattamente in questi termini, ovviamente, ma Draco sa che è vero. La loro routine non si è modificata, si lanciano frecciatine, bevono caffè e si leggono cose a vicenda, Harry da vecchi libri polverosi e Draco dalla sua nuova scorta di riviste patinate. Draco gli fa la paternale, lo adula e lo pungola per farlo uscire di casa, ma sanno entrambi che non si tratta più del galà.

Infatti, mentre marcia lungo il corridoio per raggiungere il suo ufficio, Draco pensa che non ha fatto riferimento alla cosa per due giorni interi, nonostante abbia passato la maggior parte di essi in compagnia di Harry. E nonostante tutto quello al quale cerca di non pensare, quello è il momento in cui si rende conto di essere nei guai.

In più di un modo.

Ovviamente c'è il problema di aver sviluppato dei sentimenti poco convenienti per un relegato in casa con un caratteraccio e probabilmente etero, dà per scontato Draco, ma c'è anche la questione del ciclope drappeggiato di fucsia che al momento gli si sta avvicinando di corsa dalla direzione del suo ufficio. Sperando contro ogni speranza che non l'abbia visto, Draco si appiattisce contro il muro, con i lembi del cappotto slacciato che gli sbattono sulle gambe.


"Signor Malfoy," esplode Vostra Altezza, invadendo lo spazio personale di Draco. Cercare di fondersi con la parete non è servito a niente. "Come mai lei ha un ufficio, eppure dentro non c'è mai?"


"Le chiedo scusa, presidentessa Cholmondely," dice, digrignando i denti e rinnovando i suoi tentativi di diventare una cosa sola con il muro, mentre cerca di non soffocare a causa del profumo quando l'altra si avvicina ancora di più, incastrandolo. "Starei proprio andando, se solo potessi..."


"Questa è la sua ultima possibilità, giovanotto," lo interrompe e quel nomignolo familiare, in questo caso del tutto fuori contesto, manca di tutto il calore brusco di Janice. "Mancano sette giorni. Sette. Sono stata più che paziente. Mi dirà quello che voglio sentire altrimenti può andarsene nel suo ufficio e radunare le sue cose. E mi creda," aggiunge, spruzzando il viso di Draco con una leggera pioggia di saliva, "mi assicurerò che non lavorerà mai più nella comunità filantropica."


Draco chiude gli occhi, senza osare nemmeno sollevare una mano per asciugarsi la faccia. Si prende un secondo, tiene a freno un brivido istintivo e pone un argine a tutte le parole che vogliono uscire con irruenza fuori dalla sua bocca e attaccare quella vecchia. Sa che potrebbe abbatterla con poche frasi scelte e le sue dita raschiano la pietra lucida per evitarsi di farlo.

È piccolo, è compatto e ha lo sputo di un'altra persona sulla faccia. Draco pensa a tutte le persone che conosceva e quello che direbbero se lo vedessero in quel modo, poi pensa a Harry. A cosa direbbe lui.

In quel mezzo secondo, nella mente Draco si immagina Harry con un'espressione di doloroso disgusto sul viso. Draco vorrebbe sapere a chi è rivolto.


"Parli, signor Malfoy, o si è dimenticato come si fa?" sbotta la presidentessa, respirandogli addosso, perciò Draco apre gli occhi.


"Verrà, Signora. Harry Potter. Ci sarà."


Gli occhietti della presidentessa si assottigliano mentre prende in considerazione le parole di Draco, poi annuisce con la bocca distorta nell'approssimazione di un sorriso. È uno di quelli spietati e compiaciuti e Draco mantiene il suo viso privo di espressioni.


"Riposo, signor Malfoy," dice in modo spiccio, poi fa un passo indietro e riprende la sua camminata verso il suo piano e il suo ufficio.


Draco espira rumorosamente e si accascia contro il muro, quindi si mette le mani in tasca per cercare un pezzo di pergamena da poter trasfigurare in un fazzoletto. Si asciuga la faccia e lascia cadere le braccia ai lati del corpo. Quando si sente bruciare gli occhi, li chiude. Non aiuta.


"Ti va una tazza di tè, caro?" gli chiede Janice e Draco ride in modo doloroso, con gli occhi ancora chiusi.


"Sono un idiota," ammette, mentre sente dei passi strascicati che gli dicono che la presidentessa è arrivata in corridoio.


"Non ha ancora detto di sì, vero?"


Draco scuote la testa. "Cosa farò?"


"Aprire gli occhi potrebbe essere un buon punto di inizio," gli consiglia Janice e quando Draco obbedisce, nota che l'altra stringe la sua tazza con i gatti in una mano e gli offre un biscotto al cioccolato con l'altra.


Lui lo prende, sospira e ne mangiucchia i bordi sotto lo sguardo attento della donna. La cioccolata lo fa effettivamente sentire meglio, ma gli servirà qualcosa di più. "Grazie, Jan."


"Dovresti andare e spiegargli tutto." Lei arriccia le labbra e Draco sbuffa ridendo, con gli occhi puntati su una tartaruga grassa che si attorciglia pigramente intorno al manico della sua tazza.


"Il signor Potter è un uomo ragionevole. Capirà."


Lo sguardo di Draco scatta verso l'alto per incontrare quello dell'altra. "E se non lo farà?"


"Capirà," ripete Janice, risoluta.


"E se non lo fa?"


"Conosco un posto a Notturn Alley dove puoi comprare della Pozione Polisucco a un prezzo molto conveniente," propone lei.


La bocca di Draco si contorce per il disgusto e lui, per un attimo, dimentica il panico. "Janice!"


L'anziana donna sorride e gli dà una pacca brusca sul braccio. "Capirà."

***

"Perché l'avresti fatto?" si infuria Harry, camminando avanti e indietro sulle piastrelle della cucina.

Draco si appoggia al bancone con le mani tra i capelli nel tentativo di spremersi con i palmi l'emicrania fuori dalla testa. Non sa da quanto stia durando quella discussone, ma gli sembra di essere invecchiato di diversi anni da quando è cominciata.

Harry Potter, 'l'uomo ragionevole', non capisce. Draco: uno, Janice: zero.


"Perché sono disperato, cazzo, Potter! Sai quanto è importante. Mi sono fatto prendere dal panico, okay?"


Harry si gira dall'altra capo della cucina e riprendere a marciare. "No, okay un cavolo. Io non ci vengo. Non posso!"


"E che diamine dovrei fare, allora?" domanda Draco, con una sensazione di malessere.


"Dille che hai mentito. Dille che ti sei sbagliato. Dille che eri fatto. Non mi interessa, risolvi il problema e basta," sproloquia Harry, in preda al panico. Con lo sguardo impaurito e le mani che si muovono all'impazzata, a Draco dà simultaneamente l'impressione di qualcosa che vuole scuotere forte e qualcosa che vuole proteggere e la sua testa pulsa con maggiore intensità.


"Non posso," dice per quella che crede sia la centesima volta. "Perderei il lavoro."


"E perché il tuo stupido lavoro dovrebbe essere più importante della mia sicurezza?" Harry si ferma a pochi passi da Draco, con le mani sui fianchi.


"Non lo è," ribatte lui. "Sei davvero la regina dei drammi. So che non ti va giù... e mi dispiace. Nemmeno a me, ma..." Draco sospira e si passa una mano sul viso, poi le lascia cadere entrambe sul bordo del bancone e lo stringe. "Evidentemente pensavo che avremmo potuto raggiungere un compromesso. Pensavo fossimo amici e..." scrolla le spalle senza dire altro, ben conscio del rischio che sta correndo e sa anche che è solo una mezza verità.


Il viso di Harry, ultimamente molto più espressivo, muta rapidamente dallo stupore alla vergogna e, infine, all'irritazione. "Non puoi costringermi ad accettare facendomi sentire in colpa, Draco. Se pensi che ti stia dicendo di no apposta per punirti, allora sei più egocentrico di quello che pensassi. Non posso, okay? Non posso."


Il tono di supplica nella voce dell'altro si aggancia al cuore di Draco e gli dà uno strattone. Chiude gli occhi per un secondo, fa un respiro profondo e tenta un percorso alternativo. "E' a casa mia. Posso attivare una connessione con la Metropolvere diretta e sicura, solo per una sera. Altrimenti possiamo materializzarci nei terreni del Manor. Dovresti solo fare poco più di dieci metri fuori dalla tua porta di ingresso. E anche al galà, tutto quello che dovresti fare è..."


"No." Harry scuote la testa, con la mascella contratta.


A Draco sfugge un sonoro lamento, ma poi si forza a usare un tono di voce calmo. "Non puoi costruire una vita con il presupposto di essere sempre al sicuro e circondato dalla calma. Non funziona così."


"Funziona così se lo voglio io."


"Sei un segaiolo, lo sai?" dice Draco, fissandolo e conscio che nulla di quanto prova per Harry cambierà mai quel fatto.


"Be', per forza," commenta Harry acido, sedendosi con fare brusco al tavolo. "Le squillo dopo un po' mi annoiano."


"Uh, ah, ah." Draco sogghigna forzatamente e allontana lo sguardo. Si sente attorcigliare lo stomaco alla sola idea e l'ultima cosa che vuole è che Harry glielo veda scritto sulla faccia. Sofferente e senza un'idea migliore, la butta lì. "La donnola femmina non assiste più tutti ai tuoi bisogni?"


"Non parlare così di lei, Malfoy." La voce di Harry è fredda e Draco non alza gli occhi,


"Quindi, siete ancora..."


"Se proprio vuoi saperlo, non stiamo più insieme dai tempi di scuola," sbotta Harry e quando solleva i piedi sulla sedia, si sente uno scricchiolio. "Perché questo malsano interesse nella mia vita amorosa, tutto d'un tratto? O stai solamente cercando di deviare l'attenzione dalla cosa incredibilmente presuntuosa che hai fatto stamattina?"


Invaso dalla gelida paura che l'altro, in qualche modo, sappia, Draco ora sposta lo sguardo su di lui, ma non appena stabiliscono un contatto visivo, capisce che quel timore sia infondato. Nei suoi occhi non c'è nient'altro che rabbia e dolore, come se fosse meglio.

Quando apre la bocca per parlare, un ululato improvviso proveniente dal corridoio fa girare entrambi. Alzando gli occhi al soffitto, Harry si alza e rifila un'occhiataccia a Draco, poi avanza a passo pesante per capire quale nuovo danno Mrs Purr stia causando stavolta.


"Be', sta andando proprio bene," dice Draco alla cucina deserta. Si strofina gli occhi.


Sbam, sbam, sbam, commenta la credenza.


"Grazie," mormora Draco, che non trova quell'interazione affatto d'aiuto.


Per un lungo momento, c'è solo silenzio, poi la credenza si spalanca e comincia a sbattere sul serio, facendo un baccano altamente intollerabile e sbatacchiando gli sportelli con tale violenza che si sganciano dai cardini. Allarmato e con il mal di testa che si intensifica rapidamente, Draco si allontana dal bancone e rimane a osservare con un vago senso di terrore il cardine più in alto che si stacca del tutto e il pesante sportello penzola con un tremendo rumorino cigolante.

Alla fine, il fragore si placa. Draco sente ancora gli ululati e i rigurgiti che arrivano da qualche altra stanza oltre le scale, ma in quel momento non se la sente di gettarsi di fronte a una Mrs Purr lunatica.


"Che cos'era questa messa in scena?" borbotta, fissando la credenza che cigola pietosamente, come se stesse cercando uno dei cardini mancanti.


Si sente un altro scricchiolio e Draco ride bruscamente. "Anche se apprezzo i tuoi tentativi di attenuare la tensione, penso che tu abbia un po' esagerato. Adesso sta' ferma," le ordina, poi si mette in cerca del cardine smarrito sul pavimento e lo trova vicino alla porta.

Draco sospira e si issa sul bancone, sostenendosi sul marmo freddo con una mano. Si inginocchia e rimette lo sportello, ancora protestante, al proprio posto, poi tira fuori la bacchetta. Non è affatto un esperto negli incantesimi di costruzione, ma sembra trattarsi di una cosa semplice. Gli viene a malapena in mente di chiedersi perché si stia prendendo quel disturbo e quando lo fa, scaccia via la risposta perché fa male.


"Ecco fatto," dice, con un sorriso che gli stira le labbra mentre, diversi minuti dopo, si siede sui talloni ancora sopra al bancone.

Con il cardine riparato e rimesso a posto, adesso la credenza sbatacchia avanti e indietro con cautela.


"Direi di sì," dice Draco.


Un rumore dalla porta della cucina lo fa girare. Harry è lì in piedi, con un'espressione incomprensibile e le braccia impegnate a reggere una Mrs Purr che si dibatte e sputacchia.


"Non mi sorprende che sia bravo a riparare gli armadietti, eh, Malfoy?"


Draco lo fissa e si sente come se gli avessero dato un pugno nello stomaco. L'intero atteggiamento di Harry, i suoi occhi, il tono della sua voce, la sua postura, è così privo di espressone che gli sembra di essere tornato al primo giorno. Quel Potter, che ammette apertamente di detestarlo. Ferito, stavolta davvero ferito, Draco striscia giù fino a sedersi sul bancone con le gambe a penzoloni e le mani in grembo.


"Non credevo che ti segnassi i punti," dice, a bassa voce e gli occhi verdi dell'altro scintillano.


Per un attimo, Harry sembra sul punto di voler dire qualcosa, ma poi sospira ed esce dalla cucina senza dire una parola. Mrs Purr salta giù dalle sue braccia e balza sul bancone accanto a Draco. Si siede con la coda arruffata attorno a sé e lo fissa. Sa che non le è permesso salire sul bancone, ma non gli interessa. Con un gesto avventato, allunga una mano per grattarle la testa e lei glielo lascia fare.

Draco aspetta. Sopra alla sua testa, la credenza sbatacchia gentilmente e Mrs Purr, evidentemente soddisfatta dalle carezze rincuoranti, emette fusa a un ritmo confortante. Draco aspetta ancora. Aspetta che Harry ritorni e dica che non intendeva dire quello che ha detto, così Draco può scusarsi di nuovo per la faccenda della presidentessa Cholmondely e si può chiudere la discussione. Harry, però, non torna.

Alla fine, Draco scende dal bancone, prende il cappotto ed esce di casa, uscendo nel calore del sole pomeridiano, arrabbiato, confuso e spaventato. Quando entra impettito in ufficio, si siede e lascia cadere la testa sulla scrivania; Janice lo lascia fare.

Rimane ad ascoltare per metà mentre lei gironzola per l'ufficio e mormora qualcosa a Esme, poi solleva la testa dalla scrivania e la appoggia sulle braccia incrociate. Fa un respiro profondo, finge di trovarsi altrove e, temprandosi, lascia cadere quella barricata, che è l'unica cosa che lo tiene insieme. In mezzo il dolore e la paura che lo sommergono immediatamente e gli rimescolano le interiora, c'è un brivido di eccitazione, del tutto fuori luogo, che gli fa venire voglia di rannicchiarsi sotto la sua scrivania e di nascondersi dal mondo.

Da Potter... no, da Harry. Potter è un'entità famigliare, una che riesce a sopportare, ma Harry è qualcosa del tutto diverso, qualcosa di inaspettato. Qualcosa di difficile, ma non difficile nel senso di stancante, solitario, che nuota contro corrente rispetto a tutto ciò al quale è abituato. A causa di Harry, ha perso la sua disciplina, le sue mura di protezione e il suo cuore trascurato. Harry è tutto quello che Draco ha sempre saputo che Potter fosse, ma è più di quello, più della facciata.

È affettuoso, intelligente e premuroso. È anche un po' matto, ma forse lo è anche Draco. Qualsiasi cosa sia, il mondo di Draco adesso ha dei colori e lui non vuole perderli.

Tuttavia... ha deluso Harry. E sì, quello che Harry ha detto è stato ripugnante: è stato detto apposta per ferirlo e ci è riuscito. Fa male. Ma forse ha ragione, forse Draco dopo tutto non è cambiato granché e gli importa solo di se stesso. Il problema è, crede Draco, mentre preme la bocca sulla lana morbida del suo cappotto, il problema è che non è più così. Infatti, gli importa molto di qualcuno che è come minimo cretino quanto lo è lui.

Ed è davvero nei casini.

Quando solleva la testa, la prima cosa che vede è una tazza fumante di tè sul bordo della sua scrivania. Nonostante il dolore sordo nel suo petto, sorride alla persona dall'altra parte della stanza, che è l'unica sulla quale può sempre contare, al di là di come andrà a finire quella pazzia con Potter.


"Immagino che l'unica vera crisi arriverà quando finiremo il tè," dice, odiando quanto la sua voce suoni agitata.


Janice stringe la sua tazza con i gatti con più forza, inorridita. "Non dirlo nemmeno per scherzo, tesoro."


"Scusa." Draco attira la tazza vicino a sé e si scalda le mani sopra di essa.


"Non l'ha presa bene?"


Draco scuote la testa con fare smorto. "No. Dice che non viene," confida, con la voglia di raccontarle tutta la storia, ma ripensandoci appena in tempo.


"E?"


"E basta. La mia carriera è finita; Sua Altezza si assicurerà che sarà così. I miei genitori..." la voce di Draco si spegne, mentre lui dà un'occhiata alla fotografia con rinnovato senso di colpa.


"I tuoi genitori non sono qui," dice Janice, in modo sbrigativo. "Non te ne preoccupare. E il signor Potter, invece?"


"Niente," borbotta Draco.


"Ah, niente," gli fa il verso Janice, con le labbra color corallo piegate in un sorrisetto sardonico. "Perché, sai, è buffo... di solito vieni qui dopo che sei stato da lui e canticchi, sorridi e risplendi..."


"Risplendo?" la interrompe Draco, con le sopracciglia che schizzano in alto per l'incredulità.


"Sì e non mi interrompere. Ai miei tempi..."


"Ai tuoi tempi, i giovanotti non interrompevano?"


"No, infatti. Silenzio! E oggi sei entrato, hai sbattuto la testa sulla scrivania e sei rimasto lì per buon parte di un'ora. Lo hai fatto arrabbiare tu o è lui che ha fatto arrabbiare te?" indaga come se gli stesse chiedendo se preferisca i biscotti farciti alla crema o quelli al burro, con il tè.


Draco sospira, sentendosi esausto all'improvviso. "Be', l'ho fatto arrabbiare io... poi si è infuriato ancora di più e alla fine lui ha fatto incavolare me. Anche parecchio, se devo essere sincero."


"Ti sei scusato?"


"Sì," scatta Draco, sperando che continuare a fissare Janice la farà andare via o, almeno, renderla meno ficcanaso.


"E lui?"


"No."


"Glielo hai lasciato fare?"



"Che cazzo sarebbe questo, Janice, un quiz a domande?" esplode Draco sapendo che no, non ha effettivamente concesso a Harry di scusarsi.


"Modera i termini. Bevi il tè," dice, dondolandosi avanti e indietro sulla sedia. "E poi va' lì e risolvi questa stupidaggine prima che lo faccia io per te," aggiunge, con tono cupo.


"E' un pensiero terrificante," commenta Draco ed è così. L'idea che Janice si presenti sulla soglia di Harry e si intrometta dentro casa gli fa venire i brividi, anche se c'è una minuscola, ma interessante possibilità, che le possa venire voglia di adottare Mrs Purr. "E non è una stupidaggine." Si acciglia.


Janice sbuffa e ridacchia. "I sentimenti sono estremamente stupidi. È così che vanno le cose."


Draco arrossisce. "Di certo non..."


"Non sto parlando di lui. Sto parlando di te. Smettila di andarmi contro, giovanotto," aggiunge e i suoi occhi azzurri acquosi risplendono con puro senso di sfida.

Mentre Draco rimane seduto lì, cercando di fissarla con intimidazione, la scintilla di anticipazione si fa sentire di nuovo, e alla fine crolla. "Va bene. Ma se non esco vivo da lì, mi avrai sulla coscienza."

Janie gli rivolge a malapena un'occhiata mentre lui spinge indietro la sedia e raggiunge la porta.


"Perché hai messo il cappotto?" chiede, all'improvviso.


Draco si gira e la fulmina con lo sguardo. "Sei seria?"


"E' una splendida giornata di primavera, che hai che non va?"


Draco le rifila un'occhiataccia, si toglie il cappotto e glielo lancia.


***

Quando Draco termina il percorso famigliare in direzione della dimora dei Black, la luce sta svanendo e Janice, come al solito, ha ragione: è una giornata primaverile meravigliosa e non serve il cappotto. Gli ultimi raggi solari, con il loro calore, filtrano attraverso il tessuto sottile della sua camicia e proiettano una lunga ombra davanti a lui mentre è in piedi sul marciapiede fuori casa di Harry.

Draco bussa alla porta e questa si apre quasi immediatamente; il sollievo negli occhi di Harry quando quest'ultimo lo vede è dolorosamente palese. Il cuore di Draco sussulta e, d'un tratto, non ha idea di cosa dire. Non gli è mai importato molto di litigare con un amico, perché è ciò che sono, amici, al di là di quello che sta dicendo il dolore insistente nel suo petto, e lui è impreparato a gestire la situazione.


"Draco," afferma Harry, semplicemente.


"Già," risponde Draco inutilmente, sollevando una mano con un gesto imbarazzato per massaggiarsi la nuca.


"Riguardo quello che ho detto... non... solo che..."


"Non fa niente," lo interrompe l'altro, anche se non è così, ma all'improvviso non crede che potrebbe sopportare di ascoltare una scusa.


"Be', invece sì, ma... okay." Harry si dondola sul posto con gli occhi contriti e Draco gli rivolge un lieve sorriso. Quello che riceve in ricambio lo riscalda così tanto che è costretto a distogliere lo sguardo. "Sono contento che tu sia tornato," continua Harry. "Volevo farti vedere una cosa."


Draco solleva un sopracciglio, ma segue Harry dentro casa senza commentare. Quando Harry sale le scale, il suo fragile autocontrollo sembra quasi spezzarsi e nell'attimo in cui Mrs Purr sfreccia fuori dal nulla e gli artiglia la gamba, lo perde del tutto e riempie l'aria di una raffica di imprecazioni che diventano sempre più creative.


"Proprio quando stavamo andando così d'accordo," borbotta, massaggiandosi il polpaccio e incespicando dietro Harry sul pianerottolo. "Gatto di merda. È pazza, Harry, oppure si diverte particolarmente a trastullarsi con me."


"Io non la prenderei sul personale," consiglia Harry senza girarsi.


"Mi odia!"


"Odia tutti, Draco." Harry apre una porta alla fine del pianerottolo e fa un gesto in direzione di Draco per dirgli di seguirlo.


"No, odia me. Lo so. È insopportabile. Che problemi hai e perché ti prendi in casa dei randagi?"



"Be', ho preso anche te, no?" mormora Harry, esasperato, chiudendo la porta con un calcio.


"Adesso sta' zitto e sdraiati."


"Sdraiarmi?" Draco cerca di attutire l'impennata di eccitazione o terrore che quella richiesta evoca, ma il divertimento negli occhi di Harry non sta aiutando per niente. "Sdraiarmi dove, a ogni modo?" chiede, accigliandosi e lasciando vagare lo sguardo sulla moquette verde e spoglia.

 

"Qui". Harry cammina al centro della stanza e si abbassa sulla moquette. Quando Draco continua a stazionare davanti alla porta, l'altro alza gli occhi al cielo e dà un colpetto al pavimento accanto a lui. "Siediti, cazzo, Malfoy."


"E per tutto questo tempo tu hai cercato di convincermi che non sei matto," mormora Draco, ma abbandona la sicurezza dell'uscio e si siede con obbedienza accanto a Harry.


"Sta' zitto. Adesso sdraiati e guarda e basta." Harry si stende sulla schiena e porta le braccia dietro alla testa, a mo' di cuscino.


Con il cuore che gli galoppa in petto, Draco simula la sua migliore espressione da 'c'è qualcosa di terribilmente sbagliato in te', poi si stiracchia accanto a Harry. La moquette è spessa e sorprendentemente morbida e lui ci affonda le dita, come se aspettasse che tutto abbia un senso.


"Guarda il soffitto, non me," mormora Harry.


Inconsapevole del fatto che lo stesse fissando, Draco si sente la faccia andare in fiamme. Si morde forte la parte interna della bocca, alza gli occhi al soffitto e dimentica di tenere sotto controllo il sussulto che gli sfugge dalle labbra. Ha visto una cosa del genere solamente in un'altra evenienza ed era a Hogwarts. Al posto del solito soffitto bianco stuccato c'è un cielo blu meraviglioso, sporcato di morbide nuvole fluttuanti e screziato di pennellate arancioni e dorate date dal sole che sta tramontando: Draco capisce immediatamente che si tratta di una rappresentazione del cielo che c'è fuori.

Il cielo che Harry non vede da oltre un anno.


"Un Draco senza parole? Non credevo sarebbe mai arrivato il giorno," arriva la voce di Harry da qualche centimetro più in là e Draco scoppia in una risata sommessa.


"Forse sono un po' colpito," ammette, inclinando il viso in altro, verso il sole serale. Non è sicuro che quella sensazione di calore sia reale o immaginaria, ma la apprezza comunque.


"Hai detto che volevi andare al parco."


Draco riprende fiato. "Ah, sì?"


"Sì. E questo è il meglio che posso fare. Sai, di solito non faccio entrare nessuno qui, tranne 'Mione, quando mi ha aiutato con il soffitto," confessa Harry.


"Ne sono onorato," dice Draco, cercando di infondere una nota di sarcasmo nella sua voce con limitato successo.


"Dovresti," risponde l'altro e Draco capisce che sta sorridendo. Mantiene gli occhi fissi sul soffitto di cielo, ma quando Harry, lì accanto, continua a muoversi e a un certo punto finisce più vicino a lui, tanto da poterlo quasi toccare, il suo odore di caffè e di oceano cattura le narici di Draco ed è impossibile non guardarlo, anche solo per un secondo.


"Che c'è?" chiede Harry, quasi sussurrando. La luce tenue fa risplendere la sua pelle pallida e una ciocca di capelli gli cade su un occhio.


Draco si schiarisce la gola e rastrella la moquette con le dita. "Scommetto che potremmo Trasfigurare dell'erba vera. Sai... se davvero volessi fare le cose per bene e fingere che tu sia nel parco."


Harry sorride. "A-ah. Una volta l'ho fatto, ma dopo la moquette è rimasta appiccicosa per settimane."


Sbuffando, Draco smette di accarezzare la moquette e incrocia le braccia sul petto, poi piega le ginocchia e appoggia i piedi sul pavimento. "Il tuo cortile non è sicuro?"


"Sì, certo." Harry scrolla le spalle. "Ma non c'è l'erba. Siamo al centro di Londra, ricordi?"


"Io ho un prato con l'erba. Ne ho un sacco," puntualizza Draco.


"Sbruffone."


"Imbecille."


"Segaiolo."


Draco sospira, mentre percepisce il fastidio che le tracce di quella discussione mezza dimenticata risvegliano. "Questa l'abbiamo già detta, direi."


Accanto a lui, Harry fa un leggero verso di comprensione. "Ah, già." Si ferma. "Stavo scherzando... sulle squillo, sai?"


"Non l'avrei mai detto," dice Draco asciutto, ma con una punta di sollievo.


"So che non capisci, vedi... riguardo al non volere uscire. Non devi fare finta."


Draco contempla in modo torvo la luce dorata che si allunga attraverso il soffitto. "Però voglio."


"Fare finta?"


"Capire."


"Ah." Harry si sposta di nuovo, appoggiando le braccia lungo i fianchi e Draco si rende conto di essere osservato, ma ha il coraggio di girarsi e incrociare lo sguardo di Harry.


"Perché"?


Draco sospira pesantemente e scuote la testa. Prima che si renda conto di quello che sta facendo, il braccio accanto a Harry scivola sulla moquette e non gli serve nemmeno guardare per capire che le loro mani ora sono pericolosamente vicine. Il ritmo martellante all'interno della sua gabbia toracica è così violento che teme che si possa sentire. Poi, e non sa chi dei due si muove di una frazione di centimetro, ma uno di loro due lo fa, le loro dita si stanno sfiorando ed è più spaventoso di qualsiasi altra cosa che Draco riesca a pensare in quel momento.

"Draco?"


"Mh?"


"Quanto mi toccherebbe fare per far sì che il tuo capo non ti uccida?" chiede Harry e quando un Draco incredulo si sforza di guardarlo, vede che l'altro sta fissando intensamente il soffitto con i lineamenti contratti in un'espressione di feroce determinazione. La luce del sole morente mette in risalto le angolature del suo profilo e, in quell'attimo, è stupendo.

Aggrappandosi al suo coraggio a brandelli, Draco sfiora il dorso della mano di Harry con i polpastrelli. Quando non trova alcuna resistenza, li lascia appoggiati lì e poi riporta lo sguardo al soffitto, con la mente che galoppa.


"Non lo so... un breve discorso, la cena, forse un po' di socializzazione con un paio di quelle persone importanti. Non dovresti rimanere tutta la sera," dice, osando a malapena sperare.


"Odio tenere discorsi," borbotta Harry. Tamburella gentilmente le dita sotto quelle di Draco, come se fosse in contemplazione, ma non le allontana. Alla fine, sospira. "Okay, ma niente di più. Non voglio rimanere per tutta la sera. E odio usare la Metropolvere, ma... è quello che dovremo fare."


Pervaso da un sollievo elettrizzante, Draco chiude gli occhi e lascia che un sorriso gli affiori sul volto. Quando solleva le palpebre, Harry lo sta fissando da pochi centimetri distanza e solamente per quella manciata di secondi, Draco si sente più in pace di quanto si sia mai sentito in vita sua.


"Davvero? Lo farai davvero?" incalza, bisognoso di una conferma.


"Sì, Draco, verrò davvero al tuo cazzo di galà schifoso. Devo essere diventato matto," si lamenta, sollevando la mano libera per sbattersela sulla faccia. "Mi devi un grande favore, ovviamente."


Draco scoppia a ridere e chiude la mano intorno a quella di Harry, stringendola forte e infischiandosene di tutto. Non ha idea di cosa stiano facendo lì o di cosa significhi tutto ciò, ma è folle e meraviglioso.


"Bene. Non c'è problema. Harry, davvero..." Draco si interrompe, colto di sorpresa da qualcosa che vola quasi dritto contro la finestra. Si sente un tonfo ovattato, un rumore raspante e sia lui, sia Harry si siedono, con le mani ancora intrecciate.


"Deve essere il tuo gufo," riflette Harry, ritirando la mano per potersi alzare e dare un'occhiata migliore. "Quello dal genere confuso."


Draco arriccia le dita sul suo stesso palmo, si prende un momento per scuotere la testa e rimettere i capelli e il cervello a posto. Con un sospiro, si alza in piedi e apre la finestra per far entrare Esme, che va dritto da Harry per ricevere attenzioni, non appena Draco gli rimuove la lettera dalla zampa.

La nota è breve e riporta la grafia da 'ragno ubriaco che danza in un boccetta di inchiostro' di Janice, ma Draco riesce comunque a comprenderla. Ha l'impressione che si sia effettivamente impegnata per scrivere più chiaramente del solito.


"La Cholmondely vuole tutti i membri della commissione del galà tra dieci minuti nel suo ufficio," sospira Draco, spostando gli occhi su Harry. "Devo andare."


Harry si passa una mano tra i capelli. "Okay. Be', almeno ora non dovrai mentirle," dice con tono leggero, mentre curva le labbra in un sorrisetto bizzarro.


"Grazie," risponde Draco, senza sapere esattamente cosa fare. Si chiede se debba dirgli addio, perché non può fingere sul serio di avere una scusa per continuare ad andare lì, ora che hanno risolto il problema del galà, e quel pensiero smorza il suo buon umore in maniera piuttosto efficace.


Harry mormora qualcosa a Esme, che gli mordicchia il dito e poi esce dalla finestra, quindi si gira verso Draco.


"Togliti dal cazzo, Malfoy." Affonda le mani nelle tasche dei jeans. "Ci vediamo domani."

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