Capitolo 3


Il giorno seguente Draco non si preoccupa nemmeno di andare in ufficio. Sa che Janice non ci sarà e, soprattutto, sa che non ci sarà nemmeno la signora Cholmondely. Non sa cosa faccia il suo capo durante i fine settimana e non pensa di volerlo sapere; qualcosa dovrà pur tenerla in vita, molto in vita, alla sua età. Qualcosa di orrendo.

Klinky prepara una preoccupante colazione composta da aringhe affumicate gommose e una brioche all'albicocca sospetta, che Draco allontana da sé non appena l'elfa esce dalla stanza. Si sente particolarmente generoso quel giorno e non sa bene perché. Forse è la consapevolezza che, per una volta, ha dei piani per il fine settimana. Non sarà un altro sabato squallido e pieno di sbadigli per Draco, non si ritroverà a vagare per il Manor fino a chiudere i battenti e andare in ufficio da solo: oggi darà sui nervi a Potter e, a dire il vero, non vede l'ora.

"Evanesco," mormora, muovendo la bacchetta con pigrizia e pronunciando l'incantesimo tanto per rompere il silenzio in sala da pranzo. Il piatto della colazione scompare e lui ripone la bacchetta.

Si alza dal tavolo e gli viene in mente la magia senza bacchetta operata senza fatica da Potter e si blocca. Inclina la testa di lato, si concentra al massimo sulla tazza vuota e tende una mano, lanciando il primo incantesimo che abbia mai imparato a Hogwarts.

"Wingardium Leviosa," dice con fermezza, incanalando tutta la sua energia e potere sul sollevare la tazza dalla superficie del tavolo.

L'oggetto non si muove. Draco si acciglia e ci riprova, socchiudendo gli occhi e rifilandogli un'occhiata molto severa. "Sollevati, porca miseria! Wingardium Leviosa!"

Al quarto tentativo, la tazza diventa verde e si rompe in mille pezzi. Draco sbuffa e cammina avanti e indietro per la sala: i suoi passi risuonano nello spazio cavernoso. Quindi Potter sa praticare la magia senza bacchetta. Draco sa... uscire.

Ed è quello che fa e anche se non c'è nessuna Janice a dirgli di coprirsi bene, lo fa lo stesso.

**~*~**


"Ma sul serio?" borbotta Potter quando apre la porta dopo diversi colpi su di essa da parte di Draco. Era proprio in procinto di mettersi a cantare.

"Cosa?" Draco strizza gli occhi per proteggersi dalla pioggia di grandine che gli sta colpendo la faccia da cinque minuti circa. Non è così stupido da non sapere che farà meglio a evitare di usare qualsiasi tipo di magia contro la porta d'ingresso di Potter, ma sta cominciando a far male.

"E' sabato!"

"Esatto," dice Draco, spintonando Potter di lato e rifugiandosi nel corridoio. Rabbrividisce e si scuote di dosso i minuscoli granelli di ghiaccio dal cappotto e dai capelli. "Sabato, primo maggio. Sai cosa succede a maggio, vero, Potter?"

"Uhm... è strano che ci sia la grandine?" risponde Potter, coprendosi metà della bocca per sbadigliare, mentre chiude la porta sbattendola e si appoggia su di essa. "Ed è 'Harry', ricordi?"

"No, è il mese del Galà." Draco rivolge a Potter un sorrisone, divertito nel vederlo sbigottito di fronte a esso. "E tu sarai sempre 'Potter', per me," ribatte e si rende conto decisamente troppo tardi che lo sta provocando.

Potter sbuffa. "'Potter' è bandito quando sei a casa mia, Draco," risponde, facendo un sorrisetto e tirandosi su dalla porta. "Non credere che io non riesca a sentirti pensare, inoltre," aggiunge.

Allarmato, Draco lo osserva sparire dalla sua vista, con le mani nelle tasche e ancora un altro paio di jeans consunti. Sotto agli orli sfilacciati e strascicanti, nota che quel giorno un calzino è blu e l'altro è a strisce bianche e nere. Draco dubita che gli individui che non riescono nemmeno ad abbinare i calzini possano leggere la mente, ma chi può dirlo. Un Potter chiaroveggente è una prospettiva davvero spaventosa.

"Non sai farlo davvero," dice, seguendolo in cucina e sperando che le sue parole suonino più come un'asserzione che come una domanda.

Il sorriso che lo accoglie è breve, ma inaspettatamente affettuoso. "No, ovviamente no, ma avresti dovuto vedere la tua espressione."

Draco si incupisce e si sfila i guanti così da poter prendere il caffè dalla mano tesa di quello stronzo spavaldo. Il caffè che aveva già preparato, nonostante le sue proteste alla porta, nota Draco stranamente compiaciuto.

"Vaffanculo, Potter."

"Harry," lo corregge. "Non pensi che lo sapresti, se io fosso un Legilimens? Lo userei per scoprire tutti i tuoi segreti così potrei costringerti a lasciarmi in pace."

"Forse conosci già tutti i miei segreti," dice Draco, irritato, tenendo in equilibrio la tazza sul palmo della mano e beandosi della fitta familiare della ceramica bollente.

"Ne dubito", commenta Potter, a bassa voce. Sospira, si gratta i capelli fino spararli da tutte le parti, poi incontra lo sguardo di Draco e, all'improvviso, i suoi occhi sono così sinceri, luminosi e normali che per un secondo sembra un Harry.

Draco deglutisce a fatica, poi Harry apre la bocca per parlare e non può fare a meno di percepire che gli stia per essere concessa ualche incredibile rivelazione, proprio lì in cucina.

"Devi proprio tenere la tua tazza in quel modo?"

Draco sbatte le palpebre e la strana tensione che l'ha tenuto immobile, con quel gesto, si spezza. Tenere la sua tazza?

"Di che parli?" scatta, evitando di pronunciare un 'Potter' istintivo. L'espressione sincera è palesemente sparita, ma Draco non riesce a eliminarla del tutto dalla sua mente.

"La tua tazza. Non puoi reggerla come un essere umano normale?"

Draco rivolge uno sguardo accigliato alla tazza bianca che è, al momento, in equilibrio sul palmo della sua mano sinistra. "Ho sempre retto le tazze così."

"Lo so!" urla Potter, dando l'idea di essere sorprendentemente esasperato. Scuote la testa e si tira su dal bancone.

Qualcosa di bizzarro fa formicolare la nuca di Draco e lui non riesce più a ricordare anche solo una delle cose con le quali avrebbe voluto provocare Potter quel giorno. Si incupisce e fissa la finestra, osservando e ascoltando la grandine che picchietta ancora sul vetro, poi lascia la tazza dov'è, in una muta ribellione.

Potter sospira. "Pensavo che, forse, mi sarebbe stata concessa una tregua, visto che è il fine settimana," rivela, con un altro sbadiglio.

"Ti sei appena svegliato?" gli chiede Draco, girandosi di nuovo a guardarlo e scrutando il suo aspetto scompigliato.

"Non dormo bene."

Draco solleva un sopracciglio. "Forse perché non vai mai da nessuna parte. Non hai l'occasione per stancarsi sul serio."

"Oh, no, non di nuovo," borbotta Potter, abbandonando la testa tra le mani.

"Mi serve che tu sia ben riposato, in tempo per il venticinque, sai." Draco finisce il contenuto della tazza e si avvicina all'altro di un passo, appoggiandosi al bancone accanto a lui. Quelle dita graffiate e con le unghie mangiucchiate si separano momentaneamente e un paio di occhi verdi scrutano Draco da dietro gli occhiali. "Il che significa che, probabilmente, dovresti smetterla di gironzolare per casa nel bel mezzo della notte.

"Non..."

"La tua credenza dice un'altra cosa," lo interrompe Draco, "...Harry," aggiunge, mentre gli si contorce lo stomaco.

"Hai ragione, è strano," commenta Potter-Harry, sollevando la testa dalle mani. "E non riesco a credere di aver appena detto che hai ragione. E... come? La mia credenza parla con te? La mia credenza ti racconta i fatti miei?"

La credenza sbatte le ante rumorosamente diverse volte di seguito e Draco scoppia a ridere. L'espressione indignata sul volto di Potter-Harry davanti quelle scuse cigolanti lo fa solo ridere di più e la cosa aumenta l'indignazione di Harry.

Alla fine, con un sorrisone e rimasto senza fiato per via di quell'ilarità genuina e affettuosa, Draco si riprende e si zittisce, addirittura sollevando le mani in aria in segno di resa.

"Immagino che sia qualcosa che abbia a che fare con i Black," dice Potter, alla fine, distogliendo gli occhi dalla credenza per guardare Draco con un altro sorriso ironico, probabilmente alla Harry. "Sirius mi ha lasciato questa casa, perciò sono io il suo padrone, per così dire. Tu hai il sangue dei Black: evidentemente rileva anche quello. Strano."

"Pensavo che, forse, parla a chiunque si prenda la briga di ascoltare," confessa Draco.

Potter sbuffa. "No. Hermione ci ha provato un sacco di volte, credimi. Ovvio che tu sia l'unica altra persona che possa capirla; adesso non mi sbarazzerò mai più di te."

"Non è vero. Sai benissimo come sbarazzarti di me," puntualizza Draco, ignorando lo sbattere ansioso sopra la sua testa e la gelida scossa di realtà che gli provocano le sue stesse parole.

Ah, sì. Il Galà. Per un attimo, è riuscito a dimenticarsi che la sua più importante preoccupazione lì non è fare una gara di sguardi con Harry Potter. Peccato: stava diventando piuttosto bravo.

"Non verrò al tuo stupido Galà, Malfoy."

"Spero che la mia amara delusione non sia troppo traumatizzante per te," commenta Draco con asprezza, ricacciando indietro un sorrisetto ribelle. "Potter," aggiunge.

**~*~**


Il picchiettare insistente sulla finestra della camera da letto di Draco lo sveglia, mentre il cielo di quella domenica mattina passa da rosa ad arancione e filtra attraverso le tende aperte per metà. Sollevando una palpebra, cerca la bacchetta con la mano e lancia un Tempus.

Le cinque e mezza.

Draco sospira e si trascina fuori dal letto per accettare la lettera del gufo in attesa. Anche senza guardare, sa che è da parte di sua madre, ma la srotola lo stesso e fissa le parole austere e la scrittura svolazzante con occhi appannati.

"Spero che tu ti stia prendendo cura di te, spero che tu non stia lavorando troppo, spero che ti stia comportando in maniera rispettabile, spero che ti ricordi di essere un Malfoy, eccetera," parafrasa alla stanza vuota e sospira rumorosamente, cercando di ricordare a se stesso che con la differenza di fuso di un'ora, nel luogo in cui si trova sua madre è già un orario più accettabile. Un filo più accettabile.

Mentre si dirige alla cassettiera antica, coglie di sfuggita l'immagine di se stesso all'ampio specchio poggiato su di essa e si ferma. Sa di non avere un brutto aspetto; una volta avrebbe persino detto attraente, ma adesso? Draco assottiglia lo sguardo. La sua pelle pallida e i suoi capelli arruffati dal sonno risplendono nella luce clemente dell'alba, ma Janice ha ragione: ultimamente è troppo magro. È tutto leggermente più spigoloso del solito ed è difficile ignorare la cosa quando è lì in piedi con indosso solamente un paio di pantaloni del pigiama larghi.

Come se motivato da suo stesso subconscio, lo stomaco di Draco produce un gorgoglio basso e lui lo fissa con sguardo severo. È certo che stavolta non sia colpa sua: è riuscito a passare la maggior parte del pomeriggio del sabato alla residenza dei Black e sta ancora aspettando che Potter gli metta qualcos'altro sotto i denti, oltre al caffè, inoltre i recenti tentativi di Klinky sono stati peggiori del solito.

Ignorando la fame, Draco rivolge un'ultima occhiata alla missiva di sua madre. Ha scritto la data in cima, a grandi lettere, anche se non c'è modo che se la possa dimenticare. Sono passati due anni dalla fine della guerra. Due anni di libertà, a quanto pare e non che non ne sia grato, ma non si sente molto in vena di festeggiare, non mentre sta... aspettando.

Sospira, desiderando che sua madre non insistesse nel rimarcare delle date insensate solamente per farlo sentire in colpa, ma piega la lettera accuratamente e la infila nel primo cassetto, insieme a tutte le altre.

**~*~**


Quando si ferma davanti la casa dei Black è più presto del solito, ma almeno è sorto il sole. L'aria fredda gli scosta i capelli dalla faccia e intrappola le sue narici con una fragranza fresca e terrosa; in un certo senso, odora di speranza, eppure non riesce ancora a sopraffare la sensazione di trepidazione che lo avvolge quando si materializza sul marciapiede fuori dal numero quattordici.

Non ha idea di come Harry festeggerà quella giornata o se lo farà affatto: è fin troppo conscio che, nonostante tutti gli anni di osservazione potteriana, non ha molto senso predire in che modo si comporterà in una determinata situazione. Forse Granger e la donnola si presenteranno a sorpresa per festeggiare. Forse cercherà i suoi amici perduti sul fondo di una bottiglia.

A ogni modo, Draco dubita che accoglierà di buon grado un'altra sessione insistente e irriverente di convincimento per il Galà. Eppure, eccolo lì e non per la prima volta Draco si chiede se sia vero e poi si rende conto che non ha davvero idea di come facciano gli altri.

Fa un respiro profondo, solleva una mano guantata per bussare alla porta, ma questa si apre di scatto prima che le nocche possano toccare il legno.

"Sai che cavolo di ora è?" chiede Potter e ha un aspetto orribile. "Entra, Malfoy."

Non è una richiesta. Un'energia ansiosa e instabile crepita intorno a lui e a Draco non va molto di litigare. Ha la forte impressione che Potter, perché questa persona è Potter, senza dubbio, non sia andato a letto. E che lo stesse aspettando.

Entrando in casa, Draco si toglie di dosso il cappotto e il resto e si guarda intorno furtivamente, alla ricerca di bottiglie vuote o mobili rotti, ma non trova nulla. Mentre segue un Potter che marcia a passo rapido, superando le scale, però, trova un'altra cosa: una zampa spelacchiata che schizza tra il corrimano e prima che Draco abbia il tempo di reagire, gli graffia la faccia.

Sibila per il dolore e si copre l'occhio con la mano, ma Mrs Purr sibila in risposta e mostra i denti gialli e affilati.

"Ho trovato il tuo gattaccio," gli grida a denti stretti, mentre guarda il felino sgattaiolare via su per le scale.

"E cosa vuoi, adesso, una medaglia?" urla Potter dalla cucina, con la voce più roca del solito.

Draco si toglie la mano dal viso. Non c'è sangue a macchiare la lana verde lime del guanto, ma fa comunque male, cazzo. Per un attimo, rimane lì in piedi nel corridoio, senza muoversi. Respira lentamente e con cautela, con il cuore che batte per lo shock, sentendo ancora il bruciore pulsante del graffio tra l'attaccatura dei capelli e il sopracciglio. Ascolta il borbottio a raffica, probabilmente diretto alla credenza e... sì, la risposta sono delle ante che sbattono e degli scricchiolii. Si chiede, pensando con razionalità, che razza di persona sana di mente si infilerebbe in una situazione del genere e vorrebbe rimanerci.

"La pazzia è continuare a fare la stessa cosa diverse volte, ma aspettarsi risultati diversi," mormora tra sé e sé mentre si trascina in cucina. Non riesce a ricordare chi l'abbia detto, ma chiunque sia stato, aveva un ottimo punto, probabilmente. È solo quando Potter gli risponde che si rende conto di aver parlato ad alta voce.

"Stai avendo una piccola realizzazione laggiù, Malfoy? Perché, sai... avrei potuto dirtelo anni fa."

Non si gira dai fornelli, in cui sta punzecchiando qualcosa che sfrigola in una padella: a Draco viene l'acquolina in bocca mentre annusa l'odore gustoso del bacon per la prima volta. I movimenti di Potter sono inquieti, leggermente maniacali e non vi è alcun dubbio che sia stato sveglio tutta la notte. Probabilmente, c'è più caffeina che sangue nelle sue vene al momento, eppure il caffè sta scendendo, appena fatto, nella caffettiera sul bancone.

"Sta' zitto," dice Draco, senza pensarlo davvero. "Guarda cosa mi ha fatto il tuo gatto."

Stavolta si volta e... cazzo, le ombre sotto i suoi occhi sono spaventose. Di certo non ci sarà nessuna festa per Harry Potter oggi, si rende conto Draco, e il dolore dentro di lui è sospettosamente simile all'empatia.

Potter fa una smorfia. "Scusami. Oggi è di pessimo umore. Mi ha colpito già due volte," dice, facendo a malapena una pausa per prendere fiato, poi ritorna alla padella. Allunga un braccio per mostrare a Draco una serie di graffi freschi e quelle linee rosse risaltano sulla sua pelle pallida.

"Forse rileva la tua... tensione," riflette, tirando fuori la bacchetta e ripulendosi la faccia dal graffio.

"Non sono teso."

Draco sbuffa, ridacchiando. "A-ah, ti crederei anche se magari mi guardassi o la smettessi di muoverti per un secondo. O se, per esempio, non avessi l'aspetto di uno che non dorme da una settimana."

"Nemmeno tu sei esattamente un fiore, Malfoy," replica Potter, praticamente ringhiando.

Draco si ferma e ascolta lo sfrigolio del bacon. Anche se sa bene che Potter non può sapere nulla della sua auto-analisi critica di quella mattina, quel commento brucia lo stesso.

"Io sono fantastico, come sempre," risponde, indossando la sua maschera fredda, impervia e in lotta con il mondo. Perché vuole, ovviamente, non perché gli freghi qualcosa di quello che Harry Potter pensi di lui. Ignora lo sbuffo d'ilarità che proviene dai fornelli e cambia argomento. Se Potter vuole fingere che stia bene ottimo, allora è quello che faranno. Draco sa fingere bene: è un maestro in quell'arte. Significa solo che ci sarà più tempo per parlare del Galà, dopo tutto. "Che cavolo stai facendo con quella padella?"

"Cucino, Malfoy. È una di quelle strane arti primitive delle quali noi contadini siamo esperti."

"Divertente. Volevo dire cosa stai cucinando e perché lo stai facendo mentre io sono ancora qui? Di solito mi devi prima buttare fuori casa," puntualizza Draco, rendendosi conto, mentre lo dice, che ora lui e Harry hanno un 'di solito'. Si accipiglia, poi si tira su le maniche verdi e incrocia le braccia. Un 'di solito'. Gli amici hanno vari 'di solito'.

"Ti sto preparando la colazione," dice Potter e Draco deve sporgersi in avanti sul bancone e trovare con le mani i bordi lisci e duri su cui aggrapparsi per contenere lo stupore. Potter non si gira.

"Be', è fastidioso. Non vuoi firmare un pezzetto di carta in cui dici che parteciperai al Galà perché mi odi, ma cucini per me?" chiede Draco, mollando un calcio in direzione di Mrs Purr che è stata chiaramente attratta dall'odore di bacon. L'animale corre oscillando la coda e Draco non prova alcun rimorso.

"Sono stufo di vederti gironzolare a casa mia con l'aria di uno mezzo-affamato. Ti preparo una colazione come si deve e tu la mangi. Chiaro? Ti piacciono le uova?" chiede Potter, tutto di fretta.

"Chi pensi di essere, mia madre?" ribatte Draco, colto a metà tra l'indignazione per l'implicazione e il divertimento per la battuta. "E, a ogni modo, non è affar tuo dirmi che ho bisogno di mangiare, ti sei visto?"

"Sai quanto è fastidioso rispondere a una domanda con un'altra domanda?"

"Non lo so, no?" risponde Draco, con un sorrisetto.

Potter getta la spatola al di là della sua spalla con un'accuratezza impressionante e Draco fa appena in tempo ad abbassare la testa, poi si gira per vedere l'utensile volare senza danni sulle piastrelle e sbattere contro la parete.

"Malfoy."

Draco sospira. "Sì, chiaro e, sì, mi piacciono le uova," dice, mellifluo.

**~*~**


Pieno per la prima volta dopo tanto tempo, Draco posa il coltello e la forchetta e sospira piano. È solo quando sente un pizzicorino sulla nuca che solleva lo sguardo dal piatto e si rende conto di essere osservato. Potter è seduto dall'altra parte del tavolo in una posizione che ora gli è familiare, mezzo allungato sulla superficie con le braccia incrociate e il mento su di esse. Sembra ancora terribilmente stanco e le dita che tamburellano sul tavolo tradiscono la sua tensione nervosa, ma mentre guarda Draco, sembra quasi compiaciuto di se stesso.

Ha solo piluccato il suo cibo, Draco, tuttavia, è troppo rilassato, soddisfatto e sgomento per farglielo notare. La colazione era deliziosa, non si può negare, ma tutta quella storia è strana. Il due maggio è chiaramente abbastanza traumatizzante per Potter da astenersi dal dormire, dal radersi e dalla sanità mentale, perciò... dove sono i suoi amici? si chiede Draco. Perché il mago più popolare del mondo magico è seduto qui, a guardarlo mangiare la colazione?

"Dov'è Granger, oggi?" dice, con fare casuale, picchiettando la bacchetta sul caffè per riscaldarlo e ignorando la smorfia visibile sul viso di Potter.

"Non lo so. A casa, probabilmente." Potter studia un nodo sul tavolo davanti a lui con eccessiva intensità.

"Voglio dir-"

"So cosa volevi dire."

Draco spinge il piatto lontano da sé e considera di imitare la posizione piatta sul tavolo di Potter, ma resiste. Al contrario, appoggia il mento su una mano e abbassa lo sguardo sulla zazzera di capelli neri scompigliati. La sua tolleranza verso la finzione sembra essere arrivata al limite, perché sta per scattare. Proprio contro Potter.

"Senti, mi sono rotto le palle di fare finta che non ci sia qualcosa di diverso, oggi. Due anni fa, sono successe un paio di cose piuttosto grosse, oltre a parecchie cose senza un cazzo di senso. Lo so, Harry. E lo sai anche tu. Sono solo confuso perché i tuoi cosiddetti amici oggi non sono qui con te, visto che non stai bene," dice Draco, con la voce che si addolcisce alla fine della frase. Non ha senso fingere che non sia per lo meno un minimo preoccupato, perché lo è e la cosa lo infastidisce. "O forse stai solo mettendo su il tuo teatrino da eroe che si sacrifica?" aggiunge, forzando un sogghigno, per sentirsi meglio.

"Hai finito?" ribatte Harry, quasi sussurrando.

"Probabilmente sì," risponde Draco.

Harry ridacchia a bassa voce e passa un bel po' di tempo prima che sollevi lo sguardo. "Ron e Ginny sono con la loro famiglia: il loro fratello è morto, ricordi? E 'Mione...be', lei già fa abbastanza. È un sacco di pressione da caricare sulle spalle di una persona sola. Sai di cosa parlo, no?" dice e, per un attimo, i suoi occhi verdi si infiammano, per poi spegnersi di nuovo quello dopo. "Ecco perché non uso più il Fidelius. Hermione mi hai detto che glielo hai chiesto."

"Perdonami per essere sorpreso dal fatto che tu abbia reso di nuovo tracciabile un posto non tracciabile," sospira Draco, allungando una mano per prendere la sua tazza. "Soprattutto adesso che so quanto sei paranoico. A ogni modo, che c'entra la pressione con tutto questo? Pensavo che la adorassi," asserisce, ignorando il commento tagliente di Harry sulla sua persona.

"Non pressione su di me, ma sul Custode Segreto."

"Non hai delle persone delle quali ti fidi?" chiarisce Draco. Almeno quello lo capisce.

"Certo che ce le ho. Non è per quello, è l'idea della pressione che quel segreto addossa a qualcuno. Può far prendere loro...delle decisioni fuori di testa. Delle decisioni pericolose." Harry torna di nuovo silenzioso e preme la bocca sull'avambraccio, come per impedire a se stesso di dire altro.

Non ne ha bisogno, però. Qualcosa di freddo attraversa la spina dorsale di Draco e il ricordo rivive nella sua mente. Il ricordo delle notti passate seduto, a fare la guarda, incapace di dormire e quel Codaliscia viscido accanto a lui. A raccontarti storie del passato. Vantandosi delle cose che aveva fatto per il suo Signore. Cose come tradire Lily e James Potter e poi incastrare il loro vecchio Custode Segreto per fargli passare il resto della vita ad Azkaban.

"So di Sirius Black," dice, combattendo la secchezza che sente in gola.

La testa nera arruffata scatta verso l'alto e Harry spalanca gli occhi cerchiati di due ombre scure. "Come?"

"Vuoi davvero saperlo?"

Si fissano per un lungo momento, poi Potter lascia cadere la testa sulle braccia incrociate. "Non se l'è mai perdonato, sai. Non voglio fare a nessuno lo stesso."

Quella nostalgia esausta si rovescia addosso a Draco, che sospira e chiude gli occhi.

"Chi cavolo ti vuole morto, Potter?" scatta prima che riesca a censurarsi. Nei secondi che seguono le sue parole, si chiede se voglia una risposta e basta. Qualsiasi risposta. Qualsiasi emozione. E, in effetti, ne riceve una.

"Sta' zitto, Malfoy. Stronzo insensibile."

"Già va meglio," rimbecca, incrociando le braccia con rabbia. "Ero preoccupato che fossi troppo impantanato nell'autocommiserazione per arrabbiarti con me."

"Autocommiserazione?" Potter afferra il bordo del tavolo e gli rivolge un'occhiata assassina. "Come cazzo di permetti? Non sai niente di quello che è successo quel giorno. Niente. Perciò tieni la bocca chiusa, cazzo."

"Va bene, non so niente!" gli concede Draco, con l'adrenalina che aumenta quando ricambia lo sguardo, con la sola voglia che qualcosa si rompa; non sa nemmeno perché, oramai, sia così importante. Solo che lo è. "Come si fa ad aiutarti se non ne parli con nessuno, cazzo? Come ti aspetti che io..."

"Io non mi aspetto che tu faccia niente, Malfoy. Non voglio il tuo aiuto! Non ti ho mai chiesto id venire qui! Non ti voglio! Oggi è una giornata già abbastanza difficile e ci manchi tu che te ne stai seduto qui a farmi domande stupide!" urla Potter, mentre il suo controllo comincia a cedere.

Scatta in piedi e calcia via la sedia, poi rimane fermo lì, in mezzo alla cucina, con il respiro pesante, con gli occhi fissi su Draco. Ha un aspetto di merda, eppure sembra avere la forza di dieci uomini.

"Allora smetti di fingere che vada tutto bene!" sibila Draco, alzandosi e facendo forza sul suo minuscolo vantaggio in altezza. "Sono morte delle persone. Parliamone, che ne dici?"

"Io sono morto," dice, con la voce roca, incrociando gli occhi di Draco, mentre il panico invade il suo volto. Solleva entrambe le mani e se le passa tra i capelli.

"Cosa?" Draco abbandona le braccia lungo i fianchi e, in quell'attimo, qualcosa si insinua in lui, mozzandogli il respiro.

"Io..." Potter esita; il suo respiro è talmente frastagliato da sembrare assordante, in quel silenzio. "Come hai detto, un sacco di persone sono morte quel giorno. Una di loro ero io."

"Non stiamo parlando... in senso metaforico, vero, Potter?" indaga Draco, sentendo un freddo improvviso e mettendosi le mani in tasca. Non lo fa mai. "Perché se è così, penso che..." Draco esita. La sua mente sta galoppando e cerca, invano, di finire la frase.

"No." Potter si passa una mano sulla faccia sfinita e sospira: sembra aver esaurito tutta l'energia.

L'atmosfera in cucina si placa finché l'aria non è più carica e Draco riesce a respirare. "Ehm, bene."

Si sente una risata sarcastica dall'altro lato della cucina, mentre Harry, decisamente Harry ora, anche se solo per un attimo, si accascia sul pavimento con le ginocchia al petto e la schiena al muro. Il suo sguardo si addolcisce, mentre gli chiede: "Mi hai davvero appena chiesto se sono morto metaforicamente? Solo tu, Malfoy."

"Be'," dice Draco e poi si perde. Guarda le piastrelle con cautela e si rende conto che sono parecchio polverose, poi sposta gli occhi su Potter, accasciato in una massa di jeans, con gli arti pallidi e graffiati abbandonati sul pavimento. Potter, che a quanto pare, oggi celebra il secondo anniversario della propria morte. Ha un sacco di domande al riguardo e immagina di poter rischiare i vestiti per avere delle risposte.

Una volta sistematosi sul pavimento si appoggia ai fornelli, cercando il calore che è rimasto, proprio come un gatto.

"Sei morto," mormora, tracciando un ghirigoro nella polvere con il dito.

"Sì," risponde Harry.

"E sei ritornato."

"Sì."

"Ti spiacerebbe spiegare meglio?" dice Draco, girando la testa per guardarlo, con un paio di metri di pavimento a separarli. "So che sono io e tutto il resto, ma mi sembra un'opportunità piuttosto buona. E non ti sto mentendo, sono curioso."

"Dammi un minuto, Malfoy," sospira Harry, a bassa voce, poi appoggia la testa sulla parete alle sue spalle e chiude gli occhi.

Per un attimo o due, Draco osserva il petto di Harry che si alza e si abbassa e il rossore rabbioso che gli ha tinto il collo e gli zigomi scomparire. Poi si volta dall'altra parte, preme la guancia sul metallo caldo dello sportello del forno e aspetta.

***

Il calore, la pace e il tonfo sordo della pioggia che ha iniziato a battere contro la finestra avvolgono Draco come una coperta e, nonostante la curiosità, sta cominciando ad appisolarsi quando Harry, finalmente, riprende a parlare.

"Non è spaventoso come si pensa, morire."

Draco apre gli occhi e solleva la testa, sbattendo le palpebre per cacciare via l'offuscamento, poi si gira a osservare Harry. È seduto nella stessa posizione, con le braccia appoggiate alle ginocchia e lo sguardo fisso sul pavimento. "Cerco di non pensarci," ammette Draco.

Harry ridacchia a bassa voce. "Pensavo che volessi sapere cosa è successo."

"Sì. Per quanto ne so, l'intera cosa è avvolta dal mistero, ma la curiosità non mi è stata esattamente conveniente in passato." Draco fa una pausa e si abbraccia le ginocchia al petto. "Al diavolo, dimmelo e basta. La cautela appartiene ai contadini e ai Tassorosso."

Si sente un suono buffo provenire dal lato della cucina in cui è Potter, che solleva gli occhi e li punta in quelli di Draco. "Sai, Malfoy, sai essere piuttosto divertente quando vuoi. Peccato che non hai idea di quando sia il momento appropriato di esserlo."

Non c'è sarcasmo nel suo tono, però, e Draco scrolla le spalle. "'Appropriato' è una parola terribile. Così tanta accondiscendenza, controllo e meschinità tutti compressi in quattro piccole sillabe."

"Lo sai bene," dice Harry, con dolcezza.

"Lo so," concorda Draco. "Però, dai, mi stavi raccontando della tua morte."

"Dopo avermi ucciso..."

"Il Signore Oscuro?"

"Voldemort," corregge Harry con fare provocatorio e Draco rabbrividisce, anche se non così tanto come avrebbe fatto una volta.

"Sì, lui. Io non lo dico. Continua."

"E' solo un nome, Malfoy. Sono io quello che è stato ucciso. Comunque sia, il punto non sono i dettagli disgustosi. Il punto è... la stazione del treno," dice Harry, unendo le mani e sospirando a caso.

"Mi hai perso. E non sarebb-"

"Sta' zitto." Potter si acciglia e distoglie lo sguardo, come se le gambe del tavolo della cucina fossero, all'improvviso, di grande interesse per lui. "Dopo essere morto, mi sono ritrovato alla stazione di King's Cross... solo non... e poi c'era Silente e io dovevo... decidere cosa fare."

Trascinato da quelle parole sussurrate ed esitanti, Draco stavolta non riesce a pensare a nessun commento sarcastico da fare. "Decidere?"

"Se rimanere lì... rimanere morto... o tornare indietro e cercare di salvare altre persone."

"Ti è stata data la scelta di tornare indietro dai morti?" insiste Draco, sbalordito.

Harry si toglie gli occhiali con un gesto secco e si strofina gli occhi con la manica, poi guarda Draco. L'intensità di quel verde senza la barriera di vetro è abbastanza da costringerlo a riprendere fiato e, ancora peggio, Potter sembra leggergli la mente. "Perdonami se non entro nei dettagli, Malfoy, ma non preoccuparti, è una di quelle cose circostanziali, che accadono solo una volta. Non sono immortale, se è quello che ti preoccupa."

"Sono contento che tu l'abbia chiarito," dice Draco con un filo di voce e stavolta è lui che distoglie lo sguardo. "Perciò sei tornato indietro. Hai salvato un sacco di vite. Hai sconfitto il Signore Oscuro. Direi che hai preso la decisione giusta."

Si aspetta che Potter risponda subito con un commento tagliente o per lo meno con un verso di derisione, quindi Draco si sorprende quando l'altro si limita a sospirare pesantemente e scivola sul pavimento, con la stoffa dei jeans che sfrega sulle piastrelle.

"Ed è questo il punto, Malfoy. Non sono certo di averlo fatto," risponde dopo un attimo e lo fa in un modo così privo di emozioni che nel petto di Draco si srotola una lingua di panico e i suoi lunghi viticci si allungano a stringergli il cuore: se Potter intende dire che preferirebbe essere morto, Draco si ritrova invischiato in una situazione talmente più grande di lui che è certo che entrambi affogheranno. Deglutisce a fatica.

"Che intendi, esattamente?" domanda, con la voce tesa, quasi al punto di rottura.

"Calmati, porco cazzo," scatta Potter, poi lancia un incantesimo non verbale che non provoca a Draco dolore, ma lo coglie di sorpresa e lo forza a stabilire un contatto visivo con lui. Poi, con il mento appoggiato a una mano e il gomito sul ginocchio piegato, sospira. "Non sto dicendo che voglio morire adesso. Non ho pensieri suicidi, okay? Puoi anche smetterla di fare la faccia di uno che vuole darsela a gambe, anche se sai che non ti fermerei."

"Be', scusami per..." Draco dà un leggero colpo di tosse, incapace di trovare una finale soddisfacente per quella frase, poi dà altri colpi di tosse, tanto per essere sicuri. "Va' avanti."

"Giusto," dice Potter, fissando Draco con un'occhiata molto strana prima di rimettersi gli occhiali, grazie al cielo. "Il punto è che, quel posto... quel posto in cui mi trovavo morto... in cui stavo aspettando... era pacifico e pieno di luce... calmo, come nulla che avessi mai visto prima. E Silente ha detto 'prova pietà per i vivi' e ha fatto tutta quella roba che fa per farti fare la cosa giusta... lo sai. Così sono tornato indietro e ho fatto la cosa che tutti si aspettavano che facessi, che tutti avevano bisogno che facessi. E..."

Harry si ferma e si lascia sfuggire un lungo sospiro irregolare dalle labbra, mentre corruga le sopracciglia. "E non è smesso più. Tutti volevano qualcosa. Tutti volevano sapere qualcosa, ogni minuto di ogni giorno e tutta la luce e la pace e la calma erano sparite e la mia vita apparteneva a tutti quelli che ho salvato e tutti quelli che non sono riuscito a salvare e non ho mai chiesto nulla di tutto ciò, cazzo."

Draco espira con cautela e appoggia il mento sul ginocchio. L'angoscia, la frustrazione e la stanchezza lo colpiscono a ondate e lui vorrebbe solo dire a Potter di smetterla di comportarsi come un bambino e andare avanti, ma non riesce a trovare le parole.

"Ecco perché non esci," dice, invece, più a se stesso che altro. "Questo è il tuo... cosa? Un santuario? Un nascondiglio? Una sala d'attesa?"

Harry gli rivolge un sorriso stanco e sardonico. "Attesa è una bella parola."

"Attendere cosa?" chiede Draco, con il cuore che cavalca per via della connessione silenziosa che non ha nessuna intenzione di condividere.

"Non lo so. Lo saprò quando lo vedrò, però."

Draco non sa come ribattere, così si limita ad annuire. "Va bene. Immagino anche che sei pienamente cosciente dell'ironia nel confessare tutto ciò a una di quelle persone orride che vogliono qualcosa da te... qualcosa che sei titolato a dare per via di tutto quello che è successo due anni fa?"

"Non stavo pensando di confessare niente, Malfoy. Me l'hai tirato fuori con l'irritazione."

"Be', se ci fossero stati i tuoi amici..."

"I miei amici non lo sanno," lo interrompe Harry, mentre il suo viso pallido si colora leggermente. "Le uniche persone che sono a conoscenza di quanto ti ho appena detto sono in questa stanza."

Draco solleva la testa con uno scatto così veloce che si scontra sullo sportello del forno, producendo un sordo tonfo metallico. Ignorando il dolore, fissa Harry. "Sei impazzito?" chiede con veemenza.

"Non più del solito," borbotta Harry e poi aggiunge: "A dire la verità, forse un po' più del solito. Non sono depresso, sai. Non sto così tutti i giorni, come avrai notato, visto che questa settimana hai passato più tempo con me che chiunque altro. Oggi è una brutta giornata. È una giornata difficile. Oggi passo più tempo del solito a valutare la saggezza di quella decisione... il resto del tempo mi limito a vivere con le conseguenze che ne sono derivate."

"O a evitarle," puntualizza Draco, sollevando una mano verso la nuca per controllare se gli sia spuntato un bozzo. "Non esci mai. Non vedi mai nessuno. Tranne me e sappiamo entrambi che non ha molto senso parlare del Galà oggi." Draco si ferma. Non ci sono bozzi. "Dovrò riprendere l'argomento della discussione domattina."

"Ah, bene," mormora Potter, alzando gli occhi al cielo. "Non vedo l'ora. E, comunque, vedo gente. Hermione viene a trovarmi ogni paio di giorni, Ginny e sua madre anche, se c'è un'occasione speciale. Ron... be', è parecchio impegnato con il corso per Auror in questo periodo..."

"Ne sono certo," dice Draco, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere il disgusto che prova per la donnola. Non gli è sfuggito il fatto che sia stato sempre presente durante ogni scontro che Draco ha avuto con Potter durante gli anni, a peggiorare le cose. "Quindi le tue uniche interazioni sociali sono con Granger e una formidabile squadra di donnole? Non mi sorprende che stia diventando un tale misantropo."

"Parla il bue che dice cornuto all'asino," risponde Potter, a denti stretti.

"Non sono un misantropo, Potter, ho decine di amici," ribatte Draco, disinvolto, ma gli ci vogliono solo un paio di secondi per rendersi conto che la sua amica più cara, in realtà, è Janice e si chiede quando sia successo. Probabilmente nello stesso periodo in cui Potter ha perso fiducia nel mondo: ora che ci pensa, tutti i suoi amici, quelli che facevano parte della sua vecchia vita, sono morti, si trovano ad Azkaban oppure hanno inscenato lo stesso trucchetto di sparizione dei suoi genitori.

Ironico: è sempre riuscito a convincersi di essere una sorta di pioniere tra i Malfoy, ma forse la verità è che sia semplicemente... solo.

"Mh?" domanda, riscuotendosi e rendendosi conto che Potter ha detto qualcosa.

"Stavo dicendo che non ti credo. Se avessi decine di amici, non avresti passato ogni giorno della settimana e la maggior parte del tuo fine settimana con me."

Punto sul vivo e consapevole che le sue scuse connesse al lavoro non staranno in piedi, Draco non risponde. Guarda Harry che si toglie la crosta di uno dei graffi sul braccio, con il labbro inferiore tra i denti e l'espressione concentrata e Draco ha voglia di schiaffeggiargli la mano per allontanarla dalla ferita che si sta rimarginando, senza un vero e proprio motivo.

"Allora, dove sono tutti i giornalisti succhia-sangue?" dice, cambiando di colpo argomento.

"Ci sono così tante fatture su questo posto che non osano nemmeno bussare alla porta... almeno non più di una volta," spiega, senza sollevare lo sguardo. "E' magia intelligente."

"A me ha fatto passare."

"Non così intelligente, allora. E comunque, non sono così interessante per la stampa a meno che non esca effettivamente fuori e faccia qualcosa degno di nota."

"Non sono accampati davanti la tua porta," specifica Draco, spostandosi sul pavimento. Sta cominciando a sentire freddo e dubita che rimanere lì seduto sulle piastrelle possa far bene a qualcuno. "Pensavo che l'avrebbero fatto."

"Una volta sì," ammette Harry, "poi si sono arresi. Non hai veramente decine di amici, vero?" aggiunge, tornando all'argomento precedente nel suo stesso modo brusco.

Draco sospira. "Tanto non credo che potrai dirlo a qualcuno, no? Ho una vecchia baldracca pazza che crede di essere mia madre, un elfo domestico incompetente e... be', tu."

"Io non sono tuo amico, Malfoy," dice Harry in un soffio, ma sembra quasi divertito.

"Lo so. Volevo solo far sembrare la mia lista più lunga. A dire il vero, due cose non fanno nemmeno una lista," dice Draco.

"Quanti di loro hanno lasciato il paese?"

"Un sacco."

"Quindi sono tutti scappati via dai loro problemi," considera Harry, con la voce arrabbiata. Continua a grattarsi la crosta.

Draco scrolla le spalle. "Già. Proprio come te."

"Non è corretto."

"Ma è vero."

Harry fa un verso impaziente e si alza in piedi. "Faccio il caffè."

"Va bene."

"Ne vuoi un po'?" gli chiede, strofinandosi il mento, ombrato dalla barba, con la mano e osservando Draco che si tira su rigidamente, senza offrirgli aiuto.

"Tu che dici?"

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