Capitolo 2
Venticinque minuti dopo, Draco si immerge nella fresca mattinata di aprile con un gufo, l'indirizzo di un café babbano a Knightsbridge e una persistente sensazione di confusione. Sebbene abbia manipolato Potter, lo praticamente pregato e ci abbia persino litigato, di persona non ha ottenuto molto più di quanto abbia fatto con quelle maledette lettere e, cazzo, non ha idea di cosa succederà ora.
Potter, a quanto pare, è ancora un oggetto immobile quando si tratta di cose che non vuole fare e quando si tratta di Draco, il che non lo sorprende per niente. Quello che lo sorprende di più è proprio Potter: la sua irritabilità, il suo aspetto dismesso e il suo stile di vita astruso e riservato. Se qualcuno glielo chiedesse, Draco mentirebbe, ma dentro la privacy della sua testa, deve ammettere che ne è intrigato.
Nella gabbia, Esme urla e arruffa le penne con aria d'importanza, mentre Draco sospira. Si smaterializza e poi trascina se stesso e il suo gufo tra la folla di turisti, in direzione della sede del Fondo.
"Allora, visto: non sei felice di esserti messo il cappotto?" dice Janice, autocompiaciuta, nel secondo in cui Draco entra in ufficio.
"Non fa tutto questo freddo," risponde lui, conscio di suonare petulante e disinteressato. Posa la gabbia sulla scrivania e si stiracchia le dita congelate di nascosto.
"Esmeralda!" grida Janice, affrettandosi da dietro la scrivania per aprire la gabbia e portare il gufo sul suo trespolo con chiara gioia.
Per un paio di minuti, Draco la osserva tubare qualcosa di incomprensibile al volatile e accarezzare le sue piume arruffate. Alza gli occhi al cielo: credendo che sia distratta sufficientemente per un po', si avvicina alla porta, in direzione del cucinino che dividono con le segretarie di Cholmondely, che si trova lungo il corridoio. Finché:
"Immagino che non abbia ricavato niente di buono dal signor Potter per quel che riguarda il Galà?"
Draco si ferma con una mano ferma sulla cornice della porta. "Che cosa te lo fa pensare, Janice?"
Lei distoglie la sua attenzione da Esme e lo guarda, con la testa piegata da un lato. "So che qualche volta pensi che io sia rincitrullita, giovanotto, ma mi accorgo delle cose. E visto che hai sempre la stessa espressione sulla faccia, devo assumere che non è andata affatto come speravi."
Draco alza un sopracciglio e poi rifila a quella vecchia strega scaltra un cenno forzato della testa. "Non viene comunque."
La bocca di Janice si piega in un sorriso triste. "Come immaginavo," dice, esitando per un attimo. "Sua Altezza è venuta qui quando non c'eri. Vuole vederti nel suo ufficio al più presto."
Lo stomaco di Draco si contrare e l'espressione di Janice acuisce il suo terrore. Sa che si sarebbe trattata solo di una questione di tempo prima che la presidentessa Cholmondely richiedesse un'altra 'riunione sul progresso della questione Potter' e, come al solito, le sue tempistiche sono perfette.
"Meglio toglierselo di mezzo, allora," dice, sfilandosi il cappotto e appendendolo, incapace di scrollarsi di dosso la sensazione di terrore che si è insinuata in lui.
"Le maniche," gli ricorda Janice, mentre Draco si gira per andarsene. Segue il suo sguardo in basso, nel punto in cui le maniche arrotolate della camicia mostrano chiaramente il Marchio sul suo braccio sinistro.
"Grazie," risponde, quasi sussurrando e, in quel momento, lo stomaco gli si contrae leggermente. In silenzio, si srotola i polsini e li abbottona per bene, nascondendo quel ricordo del suo passato che il suo capo non può sopportare di vedere. Esala lentamente dal naso e si forza di affrontare gli occhi della sua segretaria con un sorriso mesto.
"Va', allora," lo sprona lei, in modo spiccio e Draco obbedisce, con un senso di allerta. "Io e Esme ti prepariamo il tè quando torni," aggiunge e la sua voce lo accompagna nel corridoio, rallegrandolo per una frazione di secondo.
Draco entra nell'ufficio del quinto piano al grido di un "Sì, sì, entri, per l'amor del cielo," che segue i suoi colpi alla porta.
"Sarò breve, signor Malfoy," dice la presidentessa Cholmondely, prima che Draco abbia persino il tempo di sedersi. Con palese impazienza, gli indica una sedia con un gesto, poi intreccia le mani cicciottelle, ricoperte di gioielli, sulla scrivania. Draco si chiede distrattamente quanti preziosi orfani di guerra potrebbe aiutare solo grazie al contenuto delle dita grassocce, ma poi immagina di non avere la possibilità di parlare.
"C'è rimasto meno di un mese prima di quello che, non ho bisogno di ricordarle, sarà l'evento più importante dell'intero anno per questa organizzazione. Per questa causa, signor Malfoy. E io devo ancora avere una parola da lei per quel che riguarda la presenza del nostro ospite d'onore. Mi dica qualcosa e mi dica qualcosa adesso."
Draco si concentra sul mantenere la sua postura ben dritta e sul cercare di non giocherellare con i polsini. Il problema qui, nonostante l'ovvio problema-Potter, è che non ha un grammo di rispetto per questa donna melodrammatica, ingioiellata, ignorante, con un ovvio complesso di superiorità e una natura spietata, ma la sua posizione richiede che mostri educazione spropositata, come tutti gli altri. Vicepresidente o no, Draco deve rispondere a questa persona e in un modo o nell'altro, il nome dei Malfoy dipende dalla sua abilità di simulare rispetto per lei.
Purtroppo, quel poco che ha da dirle non le farà piacere e non è di certo un segreto che a malapena lo sopporti, per come sono ora le cose. Un membro del consiglio intraprendente era riuscito a convincerla che cedere a Draco quella posizione avrebbe mostrato tolleranza e inclusività da parte del F.O.G. e lui è del tutto consapevole che quel ruolo sia, al momento, appeso a un filo. Sospira dentro di sé. Quel cazzo di Potter.
"Io e il signor Potter stiamo... negoziando, ora come ora," dice, alla fine, rivolgendo alla signora Cholmondely il suo sorriso più mite. "Poiché abbiamo iniziato la nostra discussione per iscritto, ho ritenuto che un approccio faccia a faccia fosse necessario e abbiamo avuto un incontro questa mattina."
Non è bugia, niente di tutto quello lo è, eppure a Draco viene quasi da ridere per l'abisso immenso che c'è tra le sue parole pacate e la realtà imbarazzante.
"E cosa è risultato da questo...incontro?" chiede lei.
"Sento di aver fatto dei progressi concreti," mente, stavolta tra i denti. "Il signor Potter sta di certo prendendo il nostro evento in considerazione."
La signora Cholmondely assottiglia gli occhi, poi si sporge sulla scrivania immacolata, verso di lui. Ha un odore dolciastro, opprimente ed esageratamente artificiale, ma Draco pensa che sia appropriato alla persona.
"Sono stata molto tollerante, signor Malfoy. Sono stata molto paziente. Questo è il mio Galà e non lascerò che lei me lo rovini. È essenziale che Harry Potter partecipi. Essenziale." Si ferma e si asciuga la saliva dalle labbra con un fazzoletto bianco.
Se è così essenziale, perché non lo fai tu? Si chiede Draco in silenzio, lasciandosi stampato in faccia quel sorriso mite, anche se il cuore gli batte in petto per l'implicazione che non ci sia nulla di nuovo: l'implicazione sia solo un fastidio e un essere umano senza scopo e che sia solo la generosità della presidentessa Cholmondely che gli mantiene il posto di lavoro.
Ah, sì. Draco sa qual è il suo posto.
"Lo so, signora. Le assicuro che ci sto lavorando. Avrà il suo ospite d'onore," aggiunge con una finta sicurezza e desidera immediatamente non averlo fatto.
"Sono felice di sentirlo," commenta l'altra, lentamente, poi fa un gesto con la mano per congedarlo. "Chiuda la porta quando esce."
Fuori dall'ufficio, Draco si appoggia per un attimo contro il muro, finché il freddo non comincia a insediarsi dentro la sua camicia sottile. Rabbrividisce e si passa entrambe le mani tra i capelli, spettinandoli irrimediabilmente. Una vocina, dal fondo dei suoi pensieri, lo sollecita a tornare lì dentro e dire a Sua Altezza dove può ficcarsi il suo Galà: è una posizione non retribuita, si fa il culo, non riceve nemmeno un grazie o altro e non gli serve. Alla fine, però, sovrasta quella voce.
Gli serve eccome e, per come stanno le cose, c'è solo una cosa da fare: dovrà persuadere Potter ad abbandonare quella solitudine da vecchio brontolone e ficcarsi una veste elegante il venticinque maggio.
Draco mugugna ad alta voce e si tira sul dal muro con una spinta, dirigendosi di nuovo in ufficio. La testa incontrerà la scrivania e dubita che, con tutto il tè che Janice può preparargli, riuscirà comunque a convincerlo a fare altrimenti.
** - * - **
Quella sera, Draco è seduto nel suo immenso salotto poco invitante e pilucca la misteriosa carne fibrosa e le patate appena bruciate, cercando di tratteggiare un piano. Un piano acchiappa-Potter. Si è sempre sentito orgoglioso delle sue abilità cospiratrici, ma la sua cena intanto è diventata fredda e lui non ha ancora idea di come farà a persuadere una persona, che lo ha sempre odiato, a prendere parte a un evento al quale non vuole presenziare. Frustrato, appella Klinky e si fa portare un bicchiere generoso di Odgen Riserva Speciale, quasi divertito dal fatto che il suo commento sul cibo, che è 'più o meno buono come sempre' sembri rendere l'elfa felice.
Non era un complimento.
Alla fine, Draco va al lavoro come al solito, ancora mancante di qualcosa che si avvicini minimamente a un piano. Passa gran parte della mattina a scarabocchiare dei draghetti sulla sua pergamena buona da lettera, ignorando Janice e facendo le boccacce al suo tè. Se c'è una cosa di cui è certo, è che deve tornare alla casa dei Black, così prende la decisione definitiva di aspettare fino a metà mattinata; Potter non sembra proprio una persona mattiniera e nemmeno Draco lo è, perciò gli sembra ragionevole giocare a favore delle probabilità.
"Di nuovo nella mischia, allora," borbotta a se stesso, alzandosi in piedi e mettendosi il cappotto prima che Janice possa dire una parola. Si avvolge una lunga sciarpa verde attorno al collo come precauzione. "Augurami buona fortuna."
Janice alza lo sguardo e lo scruta con aria critica. "Buona fortuna. Mettiti i guanti."
"Non ce li ho," mente Draco, fingendo di controllarsi le tasche alla ricerca del borsellino.
"Non dirmi le bugie, giovanotto, non ti si addice. Sono nel cassetto della tua scrivania."
Draco non sa se preoccuparsi del fatto che la sua segretaria sappia cosa ci sia nel suo cassetto o insistere che, invece, mentire gli si addice parecchio. Quando solleva gli occhi, però, l'espressione dell'altra è tale da fargli chiudere la bocca e cercare nel cassetto fino a recuperare i guanti.
Li sventola in aria e sospira rumorosamente. "Ciao, Janice."
"Ciao, tesoro. Non accettare un no di risposta."
Draco non ha intenzione di farlo. Dopo tutto, pensa con tristezza mentre si affretta verso l'Area di Smaterializzazione e fa un salto, diretto a casa di Potter, chi potrà davvero dire no a uno che indossa dei guanti con le paperelle?
** - * - **
A quanto pare, la risposta a quella domanda in particolare è un uomo che si rifiuta di aprire la porta.
Draco si rende rapidamente conto che il giorno prima è stato solo fortunato che Granger fosse stata lì per aprirgli. In quel momento non ha la stessa fortuna. Bussa alla porta finché gli fanno male le nocche, nonostante i guanti, poi aspetta dieci minuti e ricomincia a bussare. Cerca anche di urlare ma nessuna combinazione di 'Potter!', 'Potter, fammi entrare, per l'amore del cielo, voglio solo parlarti!' o 'Potter, muoviti, c'è il Ministro della Magia ed è arrabbiato' è stata proficua. Il suo tentativo poco avveduto di lanciare un incantesimo per accedere risulta in una fiammata dalla maniglia e in una sordità temporanea e Draco ha la sensazione che sarebbe potuta andare molto peggio. Potter ha sempre saputo come difendersi, non lo si può negare.
Alla fine, sentendosi sconfitto e con la testa confusa, Draco volge le spalle alla dimora dei Black e gironzola in direzione di un nutrimento. Dopo tutto, ne avrà bisogno: non ha assolutamente intenzione di mollare.
Mentre si avvicina di nuovo all'abitazione, un'ora dopo, reggendo il caffè in un bicchiere di carta, nota che le tende sono tirate, anche se è quasi mezzogiorno. Si chiede quasi se Potter sia uscito, ma ovviamente non è così. Non lo fa, a quanto pare. Con rassegnazione, Draco ripete il precedente programma di urlare e bussare, ma questa volta non si preoccupa di tirare fuori la bacchetta, decisione saggia, probabilmente.
Quando, come si era aspettato, non succede niente, ripiega il lungo cappotto sotto di sé e si siede sul primo gradino. Avvolge le mani guantate attorno alla tazza di caffè bollente e fissa le sue scarpe di pelle immacolate. Sua madre gli diceva sempre che i dettagli erano le cose che definivano un uomo e che un uomo con indosso delle belle scarpe avrebbe percorso una strada molto lunga. Un paio di mocassini di pelle italiana da trecento galeoni non lo aiuteranno con quello che deve fare, però, e in quel momento si chiede se fosse stata sarcastica per tutto quel tempo. Sospira e affonda la testa nella sciarpa per un attimo.
Quello è il punto a cui arriva un uomo per disperazione, immagina. Per disperazione e per un sacco di decisioni sbagliate. È perché hanno sempre voluto fare colpo sulla gente, ecco dove i Malfoy hanno sempre sbagliato. La gente come il Signore Oscuro. Lucius Malfoy. Harry Potter.
"Ah, per amor del cielo," borbotta Draco nel vapore che proviene dal caffè. "Ho freddo. Sono avvilito. Tutto questo è ridicolo." Sospira di nuovo, sperando che gli venga un po' di ispirazione e canticchia piano, a bassa voce. Mentre è lì seduto sui gradini gelati, quel canticchiare sommesso prende la forma di una canzone che Janice ama cantargli quando è di umore particolarmente pessimo.
"Heaven knows I'm miserable now," canta, percependo ogni grammo di quell'ironia patetica e trovando difficile infischiarsene. "I was looking for a job and then I found a job, but heaven knows I'm miserable now."
Un uomo avvolto da un mantello viola sta portando a spasso il suo Crup sul marciapiede davanti a Draco e gli rifila un'occhiata parecchio strana. Draco si ferma. Potrebbe essere per il semplice fatto che lui sia lui o potrebbero essere i guanti, ma potrebbe essere anche perché sta cantando. Risolto il dilemma, Draco fa quasi per sorridere.
"In my life, why do I give valuable time to people who don't care if I live or die?" canta, alzando la voce a un livello insopportabile e gonfiando i polmoni di aria fredda per aiutare a far rimbombare le parole in modo stonato. "Two lovers entwined pass me by, and heaven knows I'm miserable now!"
Draco corregge la sua affermazione precedente: questo è il punto a cui arriva un uomo per disperazione. Ritrovarsi a cantare una stucchevole canzone babbana davanti all'uscio di casa di Harry Potter. Draco non canta bene.
"What she asked me at the end of the day, Caligula would have blushed," urla Draco e dietro di lui la porta si apre. Sorride nel suo caffè e continua a cantare, mentre si alza faticosamente in piedi. "You've been in the house too long, she said, and I, naturally, fled."
Si gira lentamente, rinfrancato dal trionfo e fissa gli occhi di Harry Potter. Qualcosa nella linea dritta della sua bocca e nelle mani strette a pugno ai lati del corpo suggerisce a Draco di tacere, ma si sente leggero per la prima volta dopo giorni. Si è dimenticato di quanto ci si senta bene a infastidire Harry Potter.
"In my life," grida con fare teatrale, con il braccio che brandisce il caffè teso verso l'esterno, "why do I smile at people who I'd much rather kick in the eye?*"
"Malfoy," ringhia Potter e Draco lascia cadere il braccio di lato.
"E' una bella domanda, però, non pensi?" chiede Draco, avanzando di un passo cauto verso la porta.
"Non lo so, Malfoy, non ti ho mai visto sorridere," risponde Potter con gli occhi socchiusi e un diavoletto immaginario sulla spalla di Draco lo obbliga a lanciargli un sorriso a trentadue denti di mezzo secondo senza una ragione valida. Potter si acciglia ancora di più. "Sei un pessimo cantante. Cosa vuoi, oltre a disturbare il mio vicinato?"
"Non è una cosa molto carina da dire," commenta Draco alla leggera. "E se mi fai entrare, te lo dico."
** - * - **
"...il risultato di tutto questo è che abbiamo bisogno che tu partecipi a questo evento, e come tale, non posso accettare un 'no' come risposta," conclude Draco, sentendosi come se avesse davvero finito le parole persuasive. Si rigira il bicchiere vuoto tra le mani e guarda Potter, che è di nuovo appoggiato al bancone della cucina con le braccia incrociate.
" 'Abbiamo bisogno' che io partecipi a questo evento?" dice Potter, disegnando due virgolette con le dita. "O sei tu che hai bisogno che io lo faccia?"
"Che differenza fa?" sbuffa Draco, esasperato.
"Parecchia. È la differenza tra il fatto che io dica no perché i galà maestosi e vistosi che costano quasi quanto quello che ricavano per la loro causa non mi interessano e tra il fatto che lo dica perché non mi piaci." Potter scrolla le spalle e strascica sul pavimento piastrellato i piedi coperti dai calzini.
Draco reprime un gemito e si congratula con se stesso per quella piccola dimostrazione di autocontrollo di fronte a quell'uomo infuriato. "Ascolta," incomincia, con quello che spera sia un tono controllato, "mi rendo conto che, in passato, ho fatto delle cose che sono..." la sua voce si affievolisce quando Potter scuote la testa e si gli rivolge le spalle. "Che c'è?"
"Non riesco nemmeno a credere di stare avendo questa discussione con te, Malfoy. Nella mia cucina, niente di meno." Potter getta la testa all'indietro e si strofina la faccia con entrambe le mani per un attimo, lasciando Draco ad ammirare distrattamente il modo in cui la t-shirt consunta che l'altro indossa aderisce alla sua schiena. Poi sbatte le palpebre e distoglie lo sguardo. "Il punto è che", continua Potter, con tono guardingo, "sono pienamente conscio che siamo entrambi colpevoli di esserci comportati di merda l'uno con l'altro, nel corso degli anni. Non tengo conto del punteggio e non dirò che, con tutto quello che so, avrei mai scambiato la mia vita con la tua."
Si ferma e Draco deglutisce a fatica, mentre lo stupore gli fa galoppare il cuore, solo per un attimo. "Ah," dice, alla fine, e Potter sospira, senza girarsi.
"Ma sai...anche prendendo tutto questo in considerazione...sarò totalmente onesto con te, adesso, Malfoy. Non mi piaci. Sei arrogante e maleducato. Non ti curi degli altri, ma solo di te stesso e la cosa divertente è che, ora, sei proprio come chiunque altro lì fuori: vuoi un po' di me per rendere la tua vita migliore, ma a me non interessa. È chiaro?"
Alla fine, Potter si volta per fronteggiare Draco e l'espressione sul suo viso è incredibilmente imperturbabile. Per quello che sembra un tempo fin troppo lungo, in cucina permane il silenzio e tutto quello che Draco riesce a sentire è solo il suono del suo stesso, controllato, respiro. Incapace di distogliere gli occhi da Potter, dentro si sente stranamente spento e pesante e si rende conto di star stringendo il bicchiere di carta in una presa così forte da schiacciarlo. C'è qualcosa di improvvisamente logico e del tutto insensato nel ragionamento del suo vecchio nemico e Draco non ha idea di come procedere: se non altro, non è mai bello venire disprezzati, per quanto faccia finta di infischiarsene.
"Be'," afferma, infine, con falsa gaiezza, "per quanto io sia contento che tu ti sia tolto un peso dal petto, temo di avere ancora bisogno che tu venga al Galà." Serra le mascelle e si chiede se Potter gli stia per dare un pugno, lo stia per affatturare o qualcosa di peggio.
Invece, l'altro ringhia, impreca e, con un saltello, si siede sul bancone, appoggiando i gomiti alle ginocchia e prendendosi la testa tra le mani. "Malfoy, se hai un briciolo...se ti è rimasto un minuscolo briciolo di decenza umana, ti prego, vattene a fanculo e lasciami in pace," borbotta tra le dita.
Draco è quasi dispiaciuto per lui, ma reprime quell'empatia poco utile e continua a pressarlo. "Direi che abbiamo già stabilito che non ce l'ho, perciò quello che pensavo di fare è continuare a venire qui tutti i giorni finché non accetti l'invito."
"Cosa?" Potter alza di scatto la testa e osserva Draco con gli occhi spalancati da sotto la zazzera della scura chioma spettinata. "No! Non ti azzardare a farlo!"
"Allora, in quel caso, sono certo che i tuoi vicini apprezzeranno le mie doti canore, invece. Pensavo di venire un po' prima, domattina...che ne dici delle sei?" butta lì Draco, con fare innocente.
"Tu...e io uso un Incantesimo Silenziatore," risponde Potter, pieno di trionfo, schiaffeggiandosi entrambe le cosce con le mani. Sopra la sua testa, lo sportello della credenza sbatacchia due volte e poi si ferma.
Draco sbuffa, si avvicina di un passo e fa un gesto con la tazza. "Fai schifo con gli Incantesimi Silenziatori. E te li dimentichi sempre quando sei arrabbiato!"
Potter sbatte le palpebre. Si acciglia. "Come fai a saperlo?" chiede e, in un attimo, Draco vorrebbe rimangiarsi quelle parole. Deve farlo. Come ha fatto a scordarsi che l'unica persona ignara dei sei anni passati a osservare ogni mossa di Potter è...Potter?
Si sente bollire e pensa velocemente, fino a dire la prima cosa che gli passa per la mente. "Come fai a sapere come mi piace il caffè?"
Gli occhi verdi dell'altro si spalancano per un momento e Draco, dentro di sé, sorride trionfante. Non è certo a che razza di gioco stanno giocando, ma non importa, perché sta vincendo lui.
"Lo so e basta. Ti ho visto quel che basta, al tavolo della colazione, nel corso degli anni," mormora Potter.
"Ah, sul serio?"
Potter arrossisce appena e si strofina le ginocchia coperte per metà dal tessuto di jeans logoro. "Senti, se devi davvero parlare ancora del tuo stupido Galà, fallo, ma io comunque non ci vengo. Se vuoi sprecare il tuo tempo, allora io...ma sono papere, quelle?"
"Come, scusa?"
"Papere. Sui guanti," ripete l'altro, indicando la mano sinistra di Draco, che si sta scostando i capelli dalla fronte, e facendolo congelare a metà del movimento. "Indossi dei guanti con le papere. Draco Malfoy indossa dei guanti con le papere," dice ancora, con un filo di voce e non c'è modo di fraintendere la sottile presa in giro o il modo in cui gli angoli delle sue labbra si contraggono verso l'alto. Un modo che, nonostante l'imbarazzo e l'irritazione, fa venire da sorridere anche a Draco.
"Lascia stare le mie papere," asserisce, sapendo che quella battaglia è stata vinta da Potter o, forse, da Janice. "Almeno loro oggi sono uscite, e tu?" Solleva un sopracciglio a mo' di sfida, fissandolo, e il sorriso di Potter svanisce immediatamente.
"No, io no, e non c'è una sola possibilità in tutto l'Universo che lo farò con te. Dimentica quanto ho detto, sul serio." Si mordicchia l'unghia malconcia del pollice e si acciglia. "Altrimenti, tu e le tue papere potete subito tornarvene dritti al cazzo di posto da dove venite, Galà o non Galà."
Sapendo quando arriva il momento di lasciar perdere, almeno per ora, Draco scrolla le spalle, poi posa il bicchiere sul tavolo e, con cautela, si toglie i guanti, sfilandoli dito per dito. "Sua Altezza lo apprezzerà di certo."
"Il tuo capo? La signora Chondley-qualcosa?" chiede Potter, con il polpastrello ancora in bocca.
Draco arriccia il naso. "La presidentessa Cholmondeley, sì. Il suo piccolo cuore nero ti è devoto."
"Perché non lo fai lei, se è così importante?"
Proprio quello che penso io, concorda Draco in silenzio. "È importante, ma non della massima importanza, a quanto pare. È molto importante. Non sei contento di sapere quanto sei importante, con esattezza?"
Potter sbuffa e abbassa le mani per afferrare il bordo del bancone e, con grande stupore di Draco, gli ritorna quel mezzo sorriso sulle labbra. "Sì, adesso potrò dormire la notte, Malfoy."
Draco fa una smorfia e, quando dopo qualche secondo, Potter sembra ancora avere un'aria rilassata, si comincia a slacciare il cappotto, molto cautamente. In cucina fa caldo e si sente sollevato di poter disfarsi dell'indumento di lana pesante: lo appende allo schienale di una sedia di legno e si srotola la sciarpa dal collo. Qualche secondo dopo, si sentono del clangore e delle baruffe provenire dall'ingresso: Draco alza lo sguardo in tempo per vedere Potter fare una smorfia, poi si volta in direzione dei rumori e inciampa su qualcosa di peloso, cadendo di schiena sul pavimento della cucina.
La sciarpa verde gli viene strappata via dalle mani e cade, andando a coprire qualcosa che, in quel momento, è spaparanzato sul suo grembo, qualcosa che si muove e affonda diversi artigli appuntiti nella sua coscia, facendolo gridare di dolore e lasciandolo un po' confuso.
"Che cavolo...?" Draco allunga una mano e il "No!" di Potter giunge un po' troppo tardi alle sue orecchie.
Il qualcosa sotto la sciarpa lo morde, poi balza sul pavimento e scappa, trascinandosi dietro la sciarpa di Draco per diversi metri come uno striscione, fino a che non scivola via e si raccoglie in una pozza di seta verde sulle piastrelle, scoprendo il pelo bruno trascurato e la coda scodinzolante della creatura in ritirata. Draco la osserva scomparire dalla loro vista e poi abbassa lo sguardo sulle ferite piccole, ma profonde, sulla pelle sensibile tra il pollice e l'indice. Muove con cautela la mano e la carne morsa brucia. Si accipiglia.
"Che cazzo era quel coso, Potter?"
Privo di smorfie, il viso di Potter è a metà strada tra la comprensione e il divertimento. Scivola già dal bancone, attraversa la cucina e si ferma davanti a Draco. Per un attimo, quest'ultimo pensa che gli stia per offrire la mano per aiutarlo ad alzarsi, invece le stende entrambe per fargliele vedere, poi le gira per mostrare la miriade di tagli e graffi ai quali Draco aveva fatto caso il giorno precedente: ora hanno un senso e lui si sente stranamente sollevato. Anche se pretende delle spiegazioni per quel gatto psicotico.
"Quella era Mrs P," chiarisce Potter, con l'espressione improvvisamente sonnolenta. "Riesce a carpire il suono di una sciarpa di seta a cinquanta passi o così pare, oltre a una serie di altre cose che infastidiscono la sua sensibilità delicata...le devo ancora scoprire tutte anche io. Ed ecco il motivo dei graffi."
Draco si sente, in un attimo, piccolo e ridicolo, seduto per terra sulle piastrelle, così si tira su e cerca di processare quell'informazione.
"Perché vuoi tenerti qualcosa di così sgradevole?" chiede, strofinandosi i pantaloni con la mano sana. Quel pavimento è sorprendentemente polveroso. "O è parte della tua routine elaborata del 'che nessuno oltrepassi'?"
"No. Gazza è morto circa sei mesi fa e nessun altro la voleva. All'inizio, l'aveva presa Hermione; sai com'è lei," aggiunge, scrollando le spalle e studiandosi le mani. "Non è durata molto, però: Ron è un po' sensibile ai gatti...storia lunga," dice infine, quando Draco continua a fissarlo.
"Gazza? Vuoi dire che quella è...Mrs Purr?" domanda Draco, quasi sussurrando, sentendosi un po' irrazionale, come se la gatta potesse sentirlo e attaccare il...ah! "Che è successo a Gazza?" chiede, genuinamente interessato, suo malgrado.
"Spruzzolosi," risponde Potter, facendo una faccia che Draco non può fare a meno di imitare.
"E'...poco piacevole."
"Già," concorda Potter, girandosi per sciacquare la caffettiera.
"Allora è quella gatta," aggiunge Draco, guardandosi di nuovo la mano e lanciando un rapido Incantesimo di Pulizia, tanto per. "
"Già," dice di nuovo Potter. "Ancora non mi piaci, comunque." Si ferma. Tende l'indice. "Le tazze sono nella credenza, lì."
** - * - **
Draco lascia la dimora dei Black poco prima delle due del pomeriggio, quando viene buttato fuori senza molte cerimonie, sulla base che è ora di colazione e Potter sia "maledetto se mi metto a cucinare per te, Malfoy." Sebbene abbia usato tutto il disprezzo in suo possesso per ricordargli che le persone civili non fanno colazione nel pomeriggio, Draco si ritrova di nuovo a camminare lentamente verso il suo ufficio alle due e cinque, con le mani coperte dalle paperelle ficcate nelle tasche del cappotto e intento a studiare la sciarpa, alla ricerca di artigliate.
In teoria, non ha fatto nessun progresso sul fronte del Galà e pensa che dovrebbe sentirsi sconfitto, abbattuto. Crede che dovrebbe davvero sentirsi in quel modo, ma non è così: si sente...si sente molto strano, invece. Pensieroso. Talmente tanto che Janice gli deve ripetere i messaggi che ha ricevuto mentre era via tre volte, prima che il contenuto gli si fissi in testa. Allarmato per quell'ossessione improvvisa, spinge in un angolo della mente tutto l'intrigo del Galà-con-Potter-Caffè-Mrs Purr e si dedica a compiti meno impegnativi per il resto del pomeriggio.
Continua a fare inspiegabilmente freddo e, quando si prepara a lasciare l'ufficio per andare a casa di Potter, la mattina dopo, Draco si mette il cappotto e i guanti. Dopo aver determinato che la sua sciarpa verde è sopravvissuta all'incontro con la gatta, se la avvolge attorno al collo e si presenta a Janice con fare sarcastico, per la sua solita ispezione.
Lei tamburella le unghie dipinte di rosa sulla sua tazza con i gatti. Le brillano gli occhi. "Che ne dici di un cappello?"
"No. Proprio no."
"Ti stai preoccupando per i capelli, vero?" specula lei. "Non mi sorprendo che tu non abbia una ragazza, tesoro: sei troppo vanitoso."
Draco la fissa con intensità. "Non voglio una ragazza."
Janice lo guarda a lungo, poi il suo viso rugoso si raggrinzisce mentre lei ride, ride e ride.
"Ciao, Janice," sospira Draco ed esce dall'ufficio, senza cappello. Non è che sia un segreto, a ogni modo: non rimarrebbe stupito se scoprisse che anche Potter è gay. E anche in quel caso, Janice, quella vecchia sadica, è ancora il limite assoluto. Draco sente ancora le sue risate fragorose fino alla fine del corridoio e alza gli occhi al cielo.
** - * - **
"Come mai che io vado incontro a un sacco di problemi per tenere tutti fuori di qui, eppure tu sei ancora qui nella mia cucina, tre giorni di seguito?" chiede Potter, in piedi davanti a Draco, con indosso una tenuta composta da un'altra t-shirt consunta, da un paio di vecchi jeans e da dei calzini spaiati, con un'aria che suggerisce che non abbia dormito abbastanza.
"Non lo so. Sono sorpreso che tu non mi abbia ancora affatturato. Secondo me non ci stai provando seriamente," commenta Draco, affondando sulla sedia e appoggiando i gomiti sul tavolo della cucina, sebbene non sia stato invitato a sedersi.
Potter sospira e si siede di fronte a lui. "Quale sarebbe il punto? Torneresti comunque e basta."
"Vero, Potter, vero." Draco prende un sorso di caffè e inspira il vapore, con apprezzamento: non ha davvero senso che faccia così freddo fuori, ad aprile. "Dov'è la tua orribile gatta?"
"Si nasconde." Potter tenta un mezzo sorriso. "Le persone proprio non le piacciono."
Divertito, Draco risponde al sorriso, ma trafuga la prova dietro la tazza. "Dicono che le persone finiscono per somigliare ai loro animali, vero? Sto cercando di ricordare chi sia stato il primo a essere così asociale, ma è difficile da dire."
"Te l'ho detto, non voglio parlarne," sbotta Potter, zittendosi immediatamente.
"Va bene, parliamo di altro," propone Draco, incerto del perché insista sul quel punto, tranne per il fatto innegabile che dovrà far uscire Potter di casa in un modo o nell'altro, altrimenti le probabilità che presenzi al Galà diventeranno davvero scarne. "Potremmo fare una passeggiata nel parco. È una splendida giornata...soleggiata, con possibili geloni." Draco sorride in modo supplichevole, sospettando che quella sia la sua fine. Deve davvero smettere di parlare. "Ti posso prestare i miei guanti con le papere," aggiunge, disperatamente.
"Vaffanculo, Malfoy," mormora Potter, con gli occhi verdi assottigliati e i capelli sparati da tutte le parti, visto che ci ha passato le dita in mezzo e, solo per un attimo, ha un'aria piuttosto...interessante. Draco sente il proprio stomaco contrarsi del tutto contro il suo volere, ma ricambia l'occhiata. "Non voglio essere il tuo esperimento, perciò smettila."
"Sai cosa, Potter? Non tutto riguarda sempre e solo te."
"Questa è casa mia! O te lo sei dimenticato? Sembra davvero che ti comporti come se fossi a casa tua," maligna l'altro, scrutando la posizione di Draco, seduto al tavolo della cucina, con il cappotto e la sciarpa appesi allo schienale di un'altra sedia e i guanti disseminati sul bancone della cucina.
"Non lo faccio per il bene della mia salute, sai," ribatte Draco, in nessun modo preparato ad ammettere che Potter abbia ragione. "E' una necessità. In questo caso, è necessario che tu partecipi al Galà, così da farmi mantenere la mia posizione nel Fondo, che è altrettanto...necessaria." Draco si acciglia, pensando che suo padre, in quel momento, si infurierebbe se fosse testimone dell'esitazione di suo figlio e dell'imbarazzante struttura della sua frase.
"Necessaria per cosa? Non ti serve un lavoro. Forse ho smesso di leggere il Profeta molto tempo fa, ma ne so abbastanza da sapere che non sei esattamente al verde, Malfoy." Potter si stiracchia e si allunga sul tavolo, incrociando le braccia e appoggiando il mento sopra di essere, assumendo una postura pigra, con gli occhi ancora fissi su Draco.
Draco sospira e posa la tazza sulla superficie di legno. "Non si tratta di soldi. Si tratta di...chiamiamolo di controllo dei danni, nel nome dei Malfoy. I miei genitori sono in Francia, perciò è praticamente tutto nelle mie mani. Non pensare che non abbia esaurito tutte le altre opzioni nel corso degli ultimi due anni," dice Draco, guardandosi le dita intensamente. "Purtroppo, ho capito che la filantropia per bambini è l'unica cosa che farà guadagnare a un Malfoy qualsiasi tipo di rispetto, al giorno d'oggi, e credimi, è riluttante."
"Quindi, non ti frega niente dei bimbetti poveri?" lo punzecchia Potter e c'è un tono canzonatorio nella sua voce, ma è più gentile di quello che Draco pensa di meritarsi. In quel momento, è anche ridicolamente onesto e la cosa è abbastanza fastidiosa.
"Non più di chiunque altro," ammette, alzando infine lo sguardo. Lui e Potter si osservano in silenzio per qualche secondo, poi le sopracciglia scure si uniscono insieme in un cipiglio.
"Aspetta un attimo, quindi i tuoi genitori ti hanno lasciato solo e se la sono squagliata in un altro paese...eppure tu ti impegni così tanto per sistemare tutto per loro? Perché?"
"Perché si tratta della mia famiglia, Potter," risponde Draco rapidamente. "Non mi aspetto che tu capisca."
Quando quelle parole vengono assimilate, nota un lampo di dolore negli occhi di Potter e si rende conto che, nonostante il tono di voce aspro, non aveva davvero intenzione di ferirlo ricordandogli goffamente la sua mancanza di genitori. Pentito, tenta subito di sistemare le cose, fin troppo conscio del peso della sua prima vera scusa, per quanto implicita, dopo tutti quegli anni.
"Volevo dire...be', non letteralmente. Non come un insulto. Non mi aspetto che tu capisca. Non sei stato cresciuto nel mio stesso modo. Non è colpa di nessuno," dice piano.
"Tranne di Voldemort," mormora Potter con voce cupa, giocherellando con la manica della maglietta.
A quel nome, Draco sussulta. "Devi proprio?"
Uno strano sorriso arriccia le labbra di Potter. "Sì."
** - * - **
Nel quarto giorno, Potter apre la porta quasi subito, sospira quando vede Draco e si gira, scomparendo dentro casa e lasciando l'uscio aperto per lui, che lo sbatte alle sue spalle.
Con soddisfazione.
"Buongiorno anche a te, Potter," grida, sfilandosi gli indumenti contro il freddo e incamminandosi lungo il corridoio, tenendo gli occhi ben aperti nel caso di una Mrs P furtiva.
"Sai, quando mi chiami Potter mi fai sentire come se avessi tredici anni," si sente dire dalla cucina, così Draco segue l'aroma pieno di caffè e trova Potter in piedi davanti ai fornelli, con un'aria esasperata.
"Cosa?"
"Quando mi chiami Potter. Nessuno mi chiama così. Nessuno mi ha mai chiamato più Potter, dopo scuola. Mi sento come se mi si stia per fare una domanda sull'estratto di Grinzafico o mi si stia per mettere in punizione," ragiona, arricciando il naso in un modo che, allo stesso tempo, sembra ridare vita al suo viso tirato.
"Ti prego, dimmi che non mi stai chiedendo di chiamarti per nome," dice Draco, accettando la tazza fumante senza una parola e tenendola in equilibrio sul palmo della mano, "perché sarebbe la cosa più strana del mondo."
"Non vedo perché dovrei lasciarti invadere la mia privacy e usare il mio nome per farmi sentire a disagio," insiste. "Sei sempre riuscito a dargli un'accezione sgarbata. Potter," aggiunge, in un'imitazione esagerata di Draco.
Draco sorseggia il caffè bollente e intanto pensa a una risposta per le rime. "Puoi ancora chiamarmi Malfoy," precisa, "e se non ti dispiace, preferirei che tu...questo caffè ha un sapore strano." Si acciglia.
"Questo è un sumatrano, l'altro era un guatemalteco," spiega Pottr e poi dice: "Sei un Malfoy. Sei Malfoy. È il tuo nome. E, comunque, ne sei ossessionato."
"Non ti chiamerò Harry," replica Draco, testardo, mentre deglutisce il caffè dal sapore più morbido e leggero. Non è male.
"Non fa niente, Draco," dice Potter, estendendo la pronuncia del nome e facendo un sorrisetto.
"Smettila, è strano!" risponde Draco, con una smorfia, ma il sorriso a trentadue denti di Potter lo coglie di sorpresa.
"Allora siamo d'accordo." Potter annuisce e, con aria soddisfatta, esce dalla stanza con il caffè in mano.
Draco non è sicuro su cosa siano d'accordo esattamente, ma sospetta che sia stato appena vinto in astuzia da Potter. Dal Grifondoro che più Grifondoro non si può. Sospira e cerca di non fare un salto di scatto quando Mrs Purr attraversa la porta della cucina di soppiatto, con i grandi occhi gialli accusatori su di lui.
"Harry un cazzo," mormora alla stanza vuota e quando lo sportello della credenza sbatte tre volte di seguito sopra la sua testa, ci manca poco che gli venga un infarto. Rifila al mobile un'occhiataccia, esce dalla cucina, oltrepassa Mrs Purr e va in cerca di Potter. Harry. Potter. Nel frattempo, ha la penetrante sensazione che la credenza si stia facendo beffe di lui.
** - * - **
Nella quinta mattinata, torna Granger. Apre la porta e lo fissa con le sopracciglia sollevate per molto più a lungo di quanto sia tassativamente decoroso.
"Salve, Granger," dice Draco infine, scimmiottando un breve gesto di saluto con la mano. È certo di riuscire a indicare l'esatto secondo in cui l'altra fa caso alle paperelle sui guanti.
"Sì," dice lei, con aria confusa e divertita allo stesso tempo e Draco non sa bene come interpretarla.
"Chi è, 'Mione? Uno simpatico o Malfoy?" si sente dire da dentro casa e Draco sbuffa.
"Malfoy," urla lei di rimando, dopo qualche attimo.
"Be', fallo entrare, porca puttana, prima che inizi a cantare!"
Draco fa del suo meglio per trattenere un sorriso, ma quando nota l'espressione perplessa di Granger che fa un passo indietro per farlo entrare, non può negare che abbia appena condiviso un momento di 'battuta nostra' con Harry Potter. Da un lato, è piuttosto preoccupante; dall'altro, pensa che il futuro del Galà si stia facendo un po' più roseo.
Decide di concentrarsi sulla seconda opzione, così si siede composto e beve il caffè al tavolo, mentre Potter e Granger portano avanti un'accesa discussione su un bizzarro libro che hanno appena letto, poi passano almeno un quarto d'ora a spettegolare di un povero sfortunato di nome Franklin, che ha appena perso il suo impiego al Ministero.
Visto che Draco non ha nessuna opinione da offrire su nessuno dei due argomenti e comunque non gli viene chiesta, esamina la superficie porosa del tavolo e canticchia tra sé e sé. Non ha senso fingere che quella situazione sia oltre i limiti del surreale, perciò non ci prova nemmeno.
Eppure, comincia a sentirsi davvero a casa in quella cucina. Si chiede se manchi a Janice.
Crack-sbam, dice la credenza rumorosa e Draco solleva gli occhi, con cautela. Potter e Granger sono seduti dall'altra parte del tavolo, piuttosto lontani dal mobile e la loro conversazione continua indisturbata.
Crack-sbam, ripete la credenza e un intrigo incerto fa capolino nello stomaco di Draco.
"Ce l'hai con me?" sussurra, sentendosi ridicolo.
Sbam, sbam, sbam, dice la credenza, lentamente. Dice. Per forza. Sta per forza parlando, per quanto assurdo Draco si rende conto che sembri, ma non sa quale sia il messaggio.
"Non capisco," bisbiglia, accigliato. "Non parlo...il credenzese."
Crack. Sbam. BANG. Stavolta, lo schianto riecheggia nella cucina e Potter e Granger si zittiscono, fissando Draco con sguardi indagatori.
"Andate pure avanti," dice Draco, con un sorriso ingenuo, sorseggiando il caffè con quella che spera sia un'espressione innocente sul volto. Sfacciata credenza del cazzo, che cerca di farmi finire nei guai, borbotta tra sé. Non che si preoccupi molto di Potter: è Granger che gli mette paura.
"Allora, dicevo, l'hanno chiamato in ufficio ieri..." comincia Granger e Draco distoglie l'attenzione da loro.
"Sei una spina nel fianco," sussurra, con l'angolo della bocca. "E comunque, ancora non ti capisco."
Sbam, sbam, sbam, dice piano la credenza.
"Be', grazie per le scuse," sibila Draco, irritato e poi si ferma. Si acciglia. Si scuote via i capelli dagli occhi e guarda in alto, verso lo sportello di mogano, che in quel momento oscilla avanti e indietro. Vivo di una sorta di rinnovato piacere, Draco sorride perché l'ha appena compresa.
Lo sportello cigola lentamente e Draco sospira, ancora sorridente. "Va bene, forse non stavo ascoltando con attenzione, prima. Non c'è bisogno di sbattermelo in faccia."
Con premura, lancia uno sguardo a Potter e Granger, che sono ancora molto presi dal loro conversare, del tutto ignari della sua esistenza in quel momento. Se lo fa andare bene: se l'è fatto andare bene già per diversi anni, a scuola.
"Allora," bisbiglia, avvicinando la sedia alla credenza, "raccontami tutti i segreti di Harry Potter."
* (N.d.T.) questa è una canzone degli Smiths, che si chiama Heaven Knows I'm Miserable Now. Per farvi capire l'accezione del testo, ve lo riporto tradotto: "Dio solo sa quanto sono avvilente, adesso/ Stavo cercando un lavoro, l'ho trovato, ma Dio sa quanto sono avvilente, adesso/ Perché, nella mia vita, dedico il mio prezioso tempo da delle persone alle quali non interessa se sono vivo o morto?/ Due innamorati abbracciati mi passano davanti e Dio solo sa quanto solo avvilente, adesso!/ Quello che mi ha chiesto a fine giornata, be', persino Caligola sarebbe arrossito/ Sei a casa da troppo tempo, mi ha detto, e io, ovviamente, sono scappata/ Perché, nella mia vita, sorrido alle persone che invece prenderei a calci in faccia?"
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