Capitolo 1
12 aprile, 2000.
Egregio signor Potter,
Le comunichiamo che è cordialmente invitato al Ventesimo Galà Annuale di Beneficenza per Il Fondo per gli Orfani di Guerra, che si terrà al Malfoy Manor il 25 maggio, 2000. Come sono certo saprà, si tratta di un evento di estrema importanza nel calendario filantropico e sarebbe un immenso piacere per il Fondo se Lei potesse partecipare come ospite d'onore.
Una risposa celere verrà alquanto apprezzata.
In fede,
D.A. Malfoy, Vicepresidente, F.O.G.
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17 aprile, 2000.
Egregio signor Potter,
Le scrivo in riferimento alla mia lettera del 12 c.m., nella quale si richiedeva la Sua presenza al Ventesimo Galà Annuale di Beneficenza per il Fondo per gli Orfani di Guerra, che si terrà al Malfoy Manor il 25 maggio. Il sopracitato Fondo avrebbe piacere se Lei potesse partecipare a questo evento di estrema importanza per una buona causa come ospite d'onore.
Poiché il nostro gufo non è ritornato dalla consegna prevista, presumo che Lei non abbia mai ricevuto la nostra lettera. La prego di accettare le mie più sentite scuse. Capirà di certo che una risposta celere è di vitale aiuto, in quanto si necessita di organizzare le cose al più presto.
In fede,
D.A. Malfoy, Vicepresidente, F.O.G.
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21 aprile, 2000.
Caro signor Potter,
Le scrivo in riferimento alle mie lettere (plurale) datate, rispettivamente, 12 aprile e 17 aprile.
Poiché il nostro gufo ha fatto ritorno privo di lettera di risposta, devo concludere che Lei le abbia, di fatto, ricevute. Impossibilitato a consegnare a mano la benedetta missiva e prendere nota del fatto che Lei la apra, non vedo altro modo di assicurarmi che il messaggio raggiunga destinazione e accertarmi che il contenuto non possa essere interpretato in maniera confusa.
Per quanto mi infastidisca ripetermi, Le riformulo l'invito originale:
Il Fondo per gli Orfani di Guerra richiede l'onore della sua presenza al Ventesimo Galà Annuale di Beneficenza, che si terrò al Malfoy Manor il 25 maggio; data che, come sono certo Le farà piacere, si sta avvicinando. La sua onorevole presenza contribuirà, senza dubbio, a raccogliere maggiori donazioni in denaro per un'ottima causa.
La prego di rispondere di rimando.
In fede, disperata,
D.A. Malfoy, Vicepresidente, F.O.G.
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23 aprile, 2000.
Caro Potter,
Ti scrivo in riferimento ai miei ripetuti e graziosi richiami alla tua attenzione e al tuo rifiuto totale di comportarti come l'adulto, che si suppone tu sia, anche solo per il mezzo minuto che ti ci vorrebbe per leggere e rispondere a una di queste lettere. Sebbene ci siano dei giorni in cui stento a crederlo, so per certo che, sia tu, sia io, siamo in grado di leggere e scrivere e il tuo atteggiamento ha davvero poche scusanti. Nessuna, a dir la verità, per quanto io mi ritrovi a offrire, gentilmente, delle attenuanti, memore del fatto che tu sia stato cresciuto da babbani.
E ora, arriviamo al punto di questa esasperante mono-corrispondenza: sei stato, come sono certo ora saprai, invitato al Ventesimo Galà Annuale di Beneficenza del Fondo per gli Orfani di Guerra, che, in seguito a votazione quasi unanime, ha decretato che la tua presenza come ospite d'onore sia, infatti, quel che serve al nostro evento per raccogliere parecchi soldi destinati a dei poveri bambini senza genitori. È per una buona causa ; questo lo sai, Potter.
Una tua risposta di rimando sarebbe davvero eccezionale.
Saluti,
D.A. Malfoy, Vicepresidente, F.O.G.
P.S. Rivorrei indietro il mio gufo, grazie. Il primo. Intatto.
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26 aprile, 2000.
Potter,
Deduco tu desideri vedere le mie mani macchiate del tuo sangue, perché, lasciatelo dire, il tuo rifiuto più totale di rispondere ad anche una sola delle mie lettere significa che mi sto rapidamente avvicinando a una morte sadica e cruenta a opera della presidentessa dei F.O.G. Ha centovent'anni, Potter, ed è spaventosa.
E dai. Non si tratta di me. Si tratta di quei poveri bambini di cui continuo a parlare. Perciò, se potessi togliere il tuo numinoso pollice dal tuo rozzissimo didietro e buttarmi giù due righe, mi faresti un immenso piacere. L'evento si terrà il 25 maggio di quest'anno, non del prossimo. Se così non sarà, sto sul serio ponderando di venire lì e ficcarti...
Draco si ferma a metà frase, perché una presenza sferragliante e affannosa fa il suo annuncio in ufficio. Janice, la sua segretaria in là con gli anni, sorpassa la sua scrivania e, nel farlo, si trascina dietro una zaffata di profumo alla fresia e un vassoio da tè d'argento, che sbatte, senza grazia alcuna, di fronte a lui. Osserva la delicata zuccheriera di ceramica tremolare pericolosamente per un attimo e sospira, posando la piuma.
"Che faccia che hai, stamattina!" sentenzia Janice, mentre sprimaccia il cuscino ricamato poggiato sulla sedia dietro la sua scrivania e lascia correre lo sguardo al di là delle pile di documenti che vi troneggiano sopra.
Draco le rivolge una smorfia e si passa una mano distratta tra i capelli. "Non...ho nessuna faccia," mormora, ricalcando la frase di Janice, anche se quelle parole gli risuonano estranee in bocca.
Janice sbuffa e si sistema sulla sedia. Gli lancia un'occhiata dubbiosa, che ha il solo scopo di ricordargli che lei, come chiunque altro nella sede del F.O.G., non lo teme affatto. Come se ci fosse bisogno di ricordarglielo. A volte, fatica a rammentare proprio il motivo per cui abbia accettato quel lavoro non pagato, esasperante e privo di riconoscimenti, ma gli basta una rapida occhiata alla fotografia sulla sua scrivania per venir investito, di nuovo, da una piena chiarezza.
La odia, quella fotografia, se deve essere onesto, perché cattura la famiglia Malfoy – lui e i suoi genitori – in tempi più felici. Prima che tutta la storia del Signore Oscuro si facesse di nuovo seria, prima che pensasse che sarebbe stata una buona idea farsi segnare il braccio da quel marchio e prima di quella guerra che aveva distrutto tutto. Prima che ai suoi genitori venisse notificata una sentenza inaspettatamente leggera e se ne andassero a fanculo in Francia, lasciando Draco solo, con il Manor cui badare, una fortuna da gestire e la richiesta, da parte di sua madre, di riportare il nome dei Malfoy in auge e ridonargli la sua vecchia gloria.
A Draco piace pensare di star facendo il meglio che può sul quel fronte; tuttavia, è più realista di quello che la maggior parte delle persone penserebbe e sa che ripulire qualcosa di così insozzato richiederà parecchio lavoro e che rivendicare quella patina che faceva ottener loro infiniti complimenti dalla così detta 'gente normale' potrebbe essere fuori dalla portata di un ex Mangiamorte di diciannove anni dalla lingua tagliente e che prova repulsione all'idea di dover lavorare con altre persone.
Eppure, ora è lì e si è fatto strada, a suon di parole, fino agli alti ranghi dell'organizzazione filantropica di punta della comunità magica. Non gli ci sono voluti nemmeno dodici mesi per ottenere la posizione di VP, un ufficio tutto suo, una segretaria musona e un osceno carico di lavoro. Organizzare l'altruismo di massa è un lavoraccio.
"Grazie per tutto l'aiuto," borbotta, lugubre, alla foto, mentre sua madre e suo padre gli rivolgono sorrisi cortesi e regali dall'interno della cornice.
"Ti stai di nuovo ringraziando da solo?" lo richiama Janice.
Draco solleva lo sguardo aspramente, quasi dimentico di non esser solo in ufficio.
"Brutto segno," aggiunge, senza aspettare una risposta. Non lo fa mai. Draco sospira.
"È tutto un brutto segno, stando a te," commenta, sollevando un sopracciglio e, allo stesso tempo, cercando di scacciar via il mal di testa con un battito di palpebre.
"Mi stai facendo l'occhiolino?" gli chiede, con le labbra colorate di corallo protruse.
Draco sussulta e smette immediatamente di sbattere le ciglia. "No, Janice," dice, quindi si versa del tè, troppo infuso e aranciato, come al solito e si rende conto, prendendone un sorso, che ormai ci si è abituato, come tutto il resto nella sua nuova e fastidiosa vita. "Non ti stavo facendo l'occhiolino. Anche oggi, la tua virtù è salva."
L'anziana segretaria sbuffa di nuovo e risucchia, in maniera sgradevole, dalla sua tazza, che è gigante e decorata con delle figure in movimento di gatti. Un secondo dopo, fa una smorfia e lancia un Accio verso la zuccheriera con un vigoroso movimento di bacchetta; manca per un pelo il naso di Draco, il quale le rifila uno sguardo assassino.
"Attento, tesoro," dice Janice, quasi fosse un ripensamento. Aggiunge quattro zollette di zucchero alla sua tinozza di tè e sorride.
Draco alza un sopracciglio e si appoggia il mento sulla mano, con il gomito puntellato sulla scrivania cosparsa di pergamene. Occhieggia la lista di lettere che deve ancora scrivere, di inviti che deve sollecitare e diverse, eminenti organizzazioni, che deve contattare in connessione con quel cavolo di Galà. Osserva quel tè penoso e le macchie di inchiostro sulle mani. Si guarda intorno quell'ufficio minuscolo, pieno zeppo di scartoffie, intriso di profumo da anziana. Guarda Janice, con i suoi boccoli grigi e quell'atteggiamento spassionato nei suoi confronti.
Immagina che potrebbe andare molto peggio. Non è turbata, spaventata o tantomeno particolarmente rispettosa verso di lui, ma non si mostra nemmeno odiosa o critica. Non sussulta quando Draco si stiracchia e le maniche della camicia scivolano giù e rivelano quel brutto segno sulla sua pelle e da quel che ha potuto constatare nei mesi passati a lavorare insieme, le sue più grandi preoccupazioni sono la sua stabilità mentale – o la mancanza di essa – e il timore che non mangi abbastanza.
Mentre quel pensiero si fa strada nella sua mente, Draco si affretta ad afferrare un biscotto dal vassoio e se lo ficca in bocca. Non ha fame, ma non vale la pena beccarsi un'altra ramanzina da parte di Janice o uno dei suoi tremendi panini che odorano di cibo per gatti.
"Hai fatto colazione?" gli chiede, all'improvviso.
Draco avverte il suo sguardo su di lui e tossisce. Si strofina via le briciole dalla bocca e prende la sua piuma, facendo frusciare i fogli e cercando non si sa cosa, per distrarla. Le lettere. Ah, già.
"Perché ho una segretaria, ma devo continuare a scrivere le lettere da me?" domanda, sollevando gli occhi.
"Be', tesoro, penso che sia perché hai detto che la mia calligrafia fosse 'altamente disturbante'," ribatte lei, scimmiottando un accento che non le appartiene.
Draco sbuffa. "È vero. Per quale motivo ti pago?"
"Non mi paghi. Non lo fa nessuno, ti ricordi?"
Draco ruota gli occhi e li sposta sulla pergamena in cima alla pila. La lettera – la quinta di quelle destinate a Potter, tra tutti quanti – nella quale Draco si è ridotto a pregare per la sua partecipazione al Galà di maggio, un evento che sta diventando la sua spina nel fianco. E non solo a causa di Potter, ma, sul serio, quello stronzetto salva-mondo si sta comportando da vero maleducato. Un tempo Draco avrebbe amato l'idea di un Potter completamente in silenzio e del tutto invisibile, ma ora quell'abitudine di scomparire dalla faccia della Terra da quando è finita la guerra non è nient'altro che un'inconvenienza per lui.
Ritiene che sia semplicemente il modo in cui giri il mondo. I Potter sono stati un disturbo per i Malfoy da tempo immemore, ma questo non gli toglie il diritto di essere furioso con questo Potter in particolare e il suo... modo.
"Cazzo di Potter," dice alla lettera, lanciandole un'occhiata severa e facendo sparire la chiazza di inchiostro alla fine dell'ultima frase incompleta.
"Linguaggio," lo ammonisce Janice. "I giovanotti beneducati non imprecavano in presenza delle signore ai miei tempi."
"Non sono un giovanotto beneducato, Janice," replica Draco con tono gentile, conscio del fatto che sia meglio dissipare ogni diffamazione contro il suo ruolo da distinta signora.
"Stai di nuovo scrivendo al signor Potter?" gli domanda.
Draco alza gli occhi, sorpreso. "Sì, visto che me lo chiedi. Per la quinta volta. Sembra intenzionato a ignorarmi, che immagino non sia una novità."
Janice sospira, lo fissa con intensità per qualche secondo e poi posa la tazza sulla scrivania. Draco la osserva mentre scosta la sedia e si abbassa, con fare impacciato, per recuperare una catasta di qualcosa dall'ultimo cassetto.
"Ecco," dice, dirigendo quel mucchio di roba in aria, fino a farlo atterrare sul grembo di Draco. "Tanto vale che tu sappia che le ha rimandate indietro. Non volevo dirtelo, ma..." Janice scrolla le spalle e avvolge la tazza con le dita solcate da rughe, precipitando nel silenzio.
Le dita di Draco si distendono sulla liscia pergamena color crema, coperta dalla sua stessa calligrafia. Assottiglia gli occhi, incredulo, e scorre tra le lettere, trovando ogni singola missiva spedita a Potter. Le lettere sono state aperte – e lette, probabilmente – e poi rimandate in ufficio. E, a quanto pare, intercettate da Janice, per ragioni a lui sconosciute.
"Che diamine?" domanda, andando a incontrare un paio di nebbiosi occhi blu all'altro lato della stanza. "Da quant'è che ce le hai? Perché le ha rimandate indietro?"
"Da giovedì," ammette ed è la prima volta che Draco vede i suoi tratti induriti ricomporsi in qualcosa simile a un'espressione colpevole.
"È lunedì!" urla, facendo quasi rovesciare la tazza.
"Be', pensavo che sarebbe stato meglio non farti alterare. Diventi sempre irascibile quando si tratta delle lettere al signor Potter." Janice tira su con il naso e si sistema meglio sulla sedia, facendola scricchiolare, per trovare una posizione comoda.
"Per non farmi...alterare?" ripete Draco, mentre un'onda di indignazione gli comprime il petto e gli rende la voce acuta e stridula. Lui non diventa affattoirascibile. "In nome di tutto ciò che è sacro, che cosa ti dice la testa?"
"Non è colpa mia se non vuole parlarti, no?" sentenzia Janice, con tono ferito. "Forse ha troppo da fare. È una celebrità di fama internazionale, no? È troppo indaffarato per i tipi come noi, per questo non si fa mai vedere, immagino." Annuisce tra sé e sé, come se fosse informata sulla questione e si lecca il dito, per raccogliere le briciole del biscotto allo zenzero sul polpastrello.
Draco arriccia il naso mentre guarda quella mezza matta e il senso di rabbia si dissipa. Non è colpa della sua segretaria, in realtà. Per un secondo, seppellisce la testa tra le mani e lascia che alcune ciocche fredde e setose gli ricadano tra le dita. Quel gesto è quasi rilassante, finché non si ricorda della lavata di capo che è pronto a mettere su, se non avrà un RSVP di conferma da parte di Harry Potter prima della fine della settimana. Geme.
Ha bisogno di quello stupido lavoro e, di conseguenza, ha bisogno di Harry maledetto Potter. Di comunicare con lui. Altrimenti, la vedrà.
Intento a progettare catastrofi silenziose, gli occhi di Draco si posano su una delle lettere, in particolare, sulla minaccia futile e per lo più sarcastica di recarsi alla residenza di Potter e forzarlo a rispondere. Ignorando il farneticare a metà bocca di Janice proveniente dall'altro lato della stanza, Draco fa un respiro profondo, sorride risoluto e si alza, per poi accatastare tutte le lettere - inclusa l'ultima, quella incompleta, - e dirigersi verso la porta.
"Dove vai?"
"Esco," ribatte, resosi conto di avercela ancora un po' con lei, dopo tutto.
Janice abbassa la tazza e si accipiglia. "Mettiti il cappotto."
Draco occhieggia il pesante soprabito nero sull'appendiabiti e guarda fuori dalla finestra. "È aprile."
"Fa freddo. Mettiti il cappotto."
La guarda storto. "Smettila di essere così autoritaria."
"Sei troppo magro; ti prenderai un malanno," commenta Janice, scrutandolo dall'alto in basso con un'espressione di biasimo. "Mettiti il cappotto."
"Sono slanciato," ribatte lui, sulla difensiva, per poi incrociare le braccia sul petto. "Come tutti i Malfoy. Siamo fatti così."
Janice lo fissa. "Mettiti il cappotto."
Draco si mette il cappotto.
** - * - **
Nonostante la faccia che fa alla schiena di Janice, decorata da un motivo floreale, Draco è grato per aver messo il cappotto quando esce dal palazzo e si dirige verso l'Area di Smaterializzazione più vicino. Ovviamente, si guarderà dal confessare a Janice che avesse ragione. Il vento è freddo e tagliente, nonostante i raggi del sole splendente di aprile, così Draco si tira su il colletto e si stringe il pesante cappotto di lana intorno al corpo, percependo il freddo fin dentro le ossa. E se si ritrova a essere un pochino sottopeso è perché non ha quasi mai appetito di recente e tende a dimenticarsi di mangiare. Il fatto che, poi, l'unico elfo domestico che i genitori hanno pensato bene di lasciargli sia inutile in cucina tanto quanto lui e quasi pessimo quanto Janice non aiuta affatto.
Non appena scorge il familiare cerchio argentato dell'Area, Draco affretta il passo. Le strade del nord di Londra sono affollate, come lo sono sempre il lunedì mattina e allo stesso modo inevitabili, così come lo sono le occhiate di diversi passanti, quando lo riconoscono. Tuttavia, gli sguardi di disprezzo provengono da una minoranza di persone e la maggior parte dei pedoni non sembra accorgersi di lui.
O notarlo.
Di certo, una volta non era così e Draco non è sicuro di come si senta al riguardo. Non riesce a scuotersi la sensazione di dosso, però, che se solo si costruisse un nome da benefattore – un Malfoy benefattore – tutto si aggiusterebbe. Tutto andrebbe a posto.
"Guarda dove vai, Malfoy," sbotta qualcuno, così Draco si volta al di là della sua spalla, per guardare il giovane uomo dai capelli color biondo cenere che si allontana dal quasi scontro e si chiede se si tratti di un vecchio compagno di scuola. Finley, Ferguson o una cosa del genere.
Sembra di star a rivangare un passato scioccamente lontano; Draco ruota gli occhi e sussurra un freddo "scusa," all'aria vuota. Raggiunge l'Area di Smaterializzazione e si prende un momento per concentrarsi sulla vecchia casa dei Black, prima di tentare il salto; se deve dirla tutta, non si aspetta di riuscire a ottenere l'accesso all'abitazione, ma ormai si trova lì e, almeno, se ci prova, non dovrà passare il resto del pomeriggio a sbattere così tanto forte la testa sulla scrivania.
Optando per la prudenza come migliore approccio, Draco mira al marciapiede fuori dal numero quattordici. Ha sentito parlare abbastanza dei luoghi non localizzabili da sapere che i salti raffazzonati che ne derivavano rischiavano di essere poco piacevoli e un po' pasticciati e sebbene sia atterrato sulla strada lastricata sano e salvo, il riverbero violento e improvviso della magia repellente lo fa incespicare e rendersi conto che è giunto proprio al limite di una barriera Anti-Smaterializzazione molto potente. Scuote la testa nel tentativo di sbarazzarsi del fischio fastidioso nelle orecchie, poi alza lo sguardo verso la forma imponente e torreggiante del numero dodici di Grimmauld Place, a qualche metro di distanza alla sua destra.
La riesce a vedere. Interessante.
La strada è deserta e il vento pungente sferza sul suo volto e sulle sue dita. Si ficca le mani nelle tasche del cappotto, stringendo il plico di lettere con una determinazione feroce. Un brivido di ansia gli corre lungo la schiena e non è la prima volta che questo accade nella sua vita relativamente breve, così si chiede per quale cazzo di motivo lo stia facendo. Sospetta che si tratti di qualcosa di avveduto e insensato, ma non importa.
"Il Galà," ricorda a se stesso con tristezza, cercando di pensare agli orfani: il tentativo fallisce e si ritrova, invece, a pensare a Potter e al sud della Francia e al 'guarda dove vai, Malfoy' e alla signora...alla presidentessa Cholmondely e alla sua ira, a Potter e alla guerra e al fatto che avrebbe dovuto mettersi i guanti e che Janice gliene aveva effettivamente regalati un paio a Natale, anche se avevano sopra delle paperelle. "Il Galà, il Galà, il Galà," ripete, pensando che dovrebbe davvero finirla di parlare da solo.
Fa un versaccio infastidito e si irrita quando vide il suo respiro diventare visibile nella corrente gelata, quindi raddrizza per bene la schiena e avanza lungo il marciapiede fino ad arrivare davanti alla porta del numero dodici, sulla quale bussa prontamente e poi attende. E attende. E attende, diventando impaziente e lasciando che il vento gli scosti i capelli dalla fronte e comunque nient'affatto curioso di saperne di più su Potter. O forse solo un pochino.
All'improvviso, la porta si spalanca e una voce femminile guardinga fende l'aria. "Se fossi in lei, non mi disturberei troppo, non apre mai l...ah. Malfoy. Che vuoi?"
Nell'attimo in cui incontra un paio di occhi castani esausti, Draco fa un involontario passo indietro. "Granger. Ah...questa è la casa di Potter, giusto?" Si ferma e gli ci vuole solo un secondo per comprendere, in un lampo, come stanno evidentemente le cose. "Ma certo. Non mi ero reso conto che voi due foste..." Fa un gesto vago, togliendo una mano dalla tasca.
"Per l'amor del cielo, Malfoy, non siamo..." e imita il gesto di Draco con ovvia esasperazione. "Non vivo qui. Dai, sul serio, che vuoi?"
Draco la fissa. Non vede Granger da...be', da quasi due anni, in ogni caso. Sta bene: stressata, ma sta bene. Indossa una veste elegante che, per quanto sia di fattura economica, ha un bel taglio e porta i capelli, ondulati con cura, sciolti sulle spalle. Si chiede distrattamente se sia stata sempre così carina.
"Malfoy."
E, anche se lo è, si sente quasi sollevato per il fatto che lei e Potter non stiano insieme, perché pensa che sarebbero davvero una strana coppia. Quasi strana quanto Potter e la donnola femmina ai tempi di scuola, ma non tanto strana quanto lui e Pansy, anche se Draco sa bene che il problema era la sua mancanza di eterosessualità e non tanto il fatto che Pansy...non tanto Pansy.
"Malfoy!"
Draco sbatte le palpebre, guarda di nuovo Granger, che ora ha entrambe le sopracciglia sollevate e ha la presa salda sul bordo della porta, come se volesse sbattergliela in faccia. Potrebbe farlo, pensa Draco: una volta, gli ha dato uno schiaffo, anche se ne sono successe di cose da allora.
"Giusto, sì. Sc...salve, Granger," dice, con fare rigido, trattenendo le scuse.
"Direi che siamo andati oltre questa parte," commenta lei e, se non fosse una considerazione ridicola, Draco giurerebbe di aver visto un guizzo di ironia nei suoi occhi scuri. "Allora, che vuoi? Solo che io adesso devo tornare al lavoro e a Harry, le visite... non fanno molto piacere."
Stavolta non c'è modo di sbagliarsi sull'implicazione nella voce e negli occhi di Granger: sono entrambi letteralmente glaciali e, in quel momento, ogni goccia del decoro purosangue di Draco finisce dentro l'espressione educatamente neutra che si appiccica in faccia e nella postura, dritta come un fuso, che lo fa troneggiare sull'altra. Come se servisse a qualcosa.
Galà.
"Volevo parlargli del Fondo per gli Orfani di Guerra," dice, infine: il viso di Granger si addolcisce inaspettatamente.
"Riguarda le lettere?" gli chiede.
Lo stupore gli fa sfuggire un breve verso incontrollato, ma Draco è troppo intontito dal freddo e dalla confusione per sopprimerlo. "Sai che gli ho scritto?"
Lei alza gli occhi al cielo. "Sì. E, ascolta, non lo sto dicendo perché mi piaci un minimo o altro, spero che tu te ne renda conto, ma avrebbe dovuto davvero risponderti. Sono certa che tu stia solo cercando di fare il tuo...lavoro," conclude a scatti, come se le parole non volessero davvero uscirle dalla bocca.
"Grazie, Granger," risponde Draco e anche lui fa fatica a formulare quella frase. Tossisce appena. "Posso entrare?"
L'altra si morde il labbro ed esita. "Ho una riunione tra dieci minuti," spiega e, per la prima volta, Draco fa caso allo stemma del Ministero cucito sul colletto della veste. Vent'anni e dipendente del Ministero: non vorrebbe davvero rimanerci di sasso, ma è difficile non farlo.
"Sai che c'è? Entra. Mi arrendo."
Draco annuisce e un senso di soddisfazione lo riscalda da dentro. La segue in casa, osservando l'ampio ingresso rivestito di panelli di legno, il mobilio vecchio ma funzionale e lo spazio vuoto nella parete direttamente opposta a lui.
"Non fare domande," dice Granger e Draco non risponde: non ha bisogno di chiedere nulla. Ricorda bene il ritratto che si trovava lì dalle rare visite in quel posto che faceva quando era piccolo: gli faceva sempre venire gli incubi. Si chiede come abbia fatto Potter a staccarlo dal muro, ma l'occhiata di avvertimento di Granger lo induce a tenere la bocca chiusa, per una volta.
"C'è Malfoy!" urla verso le scale, poi afferra il cappotto e la borsa e si dirige alla porta. Draco, in preda a un vago senso di panico, la segue.
"Potresti..." inizia, ma lei lo interrompe.
"Non puoi Materializzarti o Smaterializzarti qui e ha fatto disconnettere questo posto dalla Metropolvere."
Draco tira su con il naso e finge di non essere stato sul punto di chiedere qualcosa al riguardo.
Lei gli rivolge un sorrisetto e si infila il soprabito. "Non stavi bussando alla porta d'ingresso, come un babbano? O quello era un altro Draco Malfoy?"
"Sta' zitta, Granger," ribatte, ferito. "Non sono venuto qui per farmi abusare verbalmente."
Qualcosa di interessante brilla negli occhi della ragazza, qualcosa che assomiglia molto al divertimento. "Be', buona fortuna, allora. Mi sa che ne avrai bisogno."
A quelle parole, l'ansia che ha colto prima Draco riemerge e il battito del suo cuore accelera in un modo che non avrebbe mai ammesso. C'è qualcosa di bizzarro lì e non si tratta solamente del fatto, fin troppo surreale, che si trovi a casa di Potter. E che voglia parlare con lui.
"Aspetta." Le afferra il braccio e lei si gira di nuovo verso di lui, con le sopracciglia alzate. "C'è...qualcosa che non va con lui? È malato?"
"Sta bene, Malfoy. Solo che non gli piaci. Te lo ricordi?"
Draco si acciglia. Si sente un tafferuglio improvviso dal piano di sopra e, per un attimo, lui e Granger inclinano la testa verso il soffitto, fissandolo inutilmente.
"Pensavo che questo posto fosse sotto Fidelio," commenta Draco infine, per temporeggiare.
Granger, con già le dita sulla maniglia, sospira: sembra che stia calcolando esattamente quanto in ritardo arriverà alla riunione.
"Lo era, ma è saltato tutto durante un attacco dei Mangiamorte alla fine della guerra, perché qualcuno lo ha seguito a casa e ha usato un...senti, Malfoy, sai che c'è? È una storia lunga, ma ormai sei qui, perciò diciamo solo che Harry sceglie altri metodi di protezione adesso."
"Protezione da cosa?" insiste, intrigato. Non ci sono Mangiamorte rimasti, di questo ne è certo. Non validi, per lo meno.
Granger apre la bocca per rispondere, ma poi la richiude.
"E che cazzo, 'Mione, pensavo stessi scherzando," si sente una voce roca, ma familiare, pronunciare alle spalle di Draco, che viene immediatamente accompagnata da uno scricchiolio delle scale. Draco si gira lentamente e vede Potter, con una mano appoggiata sulla balaustra e l'altra che si arruffa i capelli incasinati.
Un paio di occhi verdi assottigliati incrociano i suoi per forse un secondo, ma il disprezzo che brucia dentro di essi è dolorosamente palese. Draco ricambia lo sguardo, in parte per abitudine e in parte per via delle lettere che sta progressivamente stropicciando nel pugno. Non sa come, ma si era dimenticato di quanto irascibile e di cattivo umore l'abbia sempre fatto sentire Potter e quella sensazione lo turba un po'.
"Scherzavo? No," dice Granger con brio, quindi spalanca la porta. "Sono in ritardo. Harry, ho trovato Mrs P, si è nascosta nel bagno giù di sotto, tanto per fartelo sapere," aggiunge con fare intrigante, poi concede loro un cenno vago di saluto, sbatte l'uscio alle proprie spalle e scalpita giù dai gradini.
Potter sospira e si gira verso Draco: ha l'aria stanca. "Sii convincente, Malfoy."
"Chi è Mrs P?" chiede lui, prima di riuscire a fermarsi. Potter alza gli occhi al cielo e incrocia le braccia al petto, così Draco si rassegna al fatto che ci sia qualcosa in Harry Potter che incenera la sua funzione 'pensa prima di parlare'e che ci sia sempre stato. Si acciglia.
"Malfoy. Cosa. Vuoi?"
Draco si ricompone, getta la risma di lettere su un tavolo che si trova convenientemente lì di lato e poi mima la posa a braccia conserte di Potter. "Voglio sapere perché tu non possa onorare una semplice richiesta. Voglio sapere perché non ti sei disturbato a rispondere a nemmeno una delle mie lettere. Voglio sapere perché pensi che sia un comportamento accettabile rispedire ognuna delle suddette lettere senza un 'sì, Draco, sarei felicissimo di partecipare al tuo meraviglioso Galà di Beneficenza' o anche un 'vattene a fanculo, Malfoy, piuttosto mi crucio'..."
"Una persona normale avrebbe interpretato la mia mancata risposta come la seconda opzione," lo interrompe Harry.
"...e vorrei anche sapere dov'è finito il mio gufo buono," continua Draco, trasportato da una rabbia impetuosa e irrequieta, "a meno che tu non sia entrato in un giro di rapitori di gufi, adesso che hai finito di salvare il mondo."
Con il respiro grosso, ritorna in silenzio. Potter si limita a fissarlo dal terzultimo scalino, con un'espressione illeggibile. Draco si morde la lingua e ascolta il lieve ticchettio dell'antica pendola del nonno nell'ingresso, l'unico suono che si ode nella quiete, ignorando quella piccola parte di lui che si sta domandando se, forse, non sarebbe stato meglio usare un approccio più delicato. Immagina che ormai sia troppo tardi.
"Un giro di rapitori di gufi?" chiede Potter, dopo quello che a Draco sembra un tempo infinito.
C'è una strana sfumatura nella sua voce che, all'improvviso, lo fa sentire stupido e infantile. Scrolla le spalle e non lo fa con imbarazzo, perché i Malfoy non provano mai imbarazzo, ma ha l'impressione che la sua solita compostezza si sia dissipata nel momento in cui ha iniziato a urlare in faccia a Potter.
"Allora?"
"Non l'ho rapito, Malfoy," sospira Potter, all'apparenza contento di deviare dall'intero problema della maleducazione per non aver risposto alle lettere. Draco decide che, forse, sia prudente permettere all'altro di farlo per ora, perché fare il suo gioco potrebbe essere una buona idea. Visto che si è manifestato un briciolo di prudenza, farà meglio ad aggrapparcisi ben stretto.
Quando Draco non dice niente, Potter scioglie l'incrocio delle braccia dal petto e scende verso l'ingresso, poi si dirige verso una porta e sparisce oltre la soglia, senza dire una parola. Draco esita per un secondo, quindi lo segue, ritrovandosi in un lungo corridoio alle spalle dell'altro. E lo guarda, perché non ha nient'altro da fare e visto che quella è la conversazione più lunga che abbiano mai sostenuto, se si può chiamare tale, non la forzerà di certo.
Si sorprende nel notare che Potter non sia cambiato molto dall'ultima volta che l'ha visto, quando ha parlato al processo per i Mangiamorte, poco dopo la fine della guerra. Al contrario di Granger, che ora irradia salute e successo, Potter ha ancora quell'aria fastidiosa di chi non ha interesse in niente. È magro, ma lo è sempre stato e, a ben vedere, non c'è stato nessuno scatto di crescita improvvisa per il Salvatore, che è ancora uno o due centimetri più basso di Draco e la sua postura ingobbita accentua ancora di più quella caratteristica.
Quando Potter lo conduce dentro un soggiorno pieno di luce, Draco non può fare a meno di rendersi conto che la pelle di Potter è quasi chiara quanto la propria, in quel periodo. La luce del sole colpisce e risplende sugli occhiali squadrati con la montatura di ferro, sulla fibbia della cintura che gli tiene su i jeans dismessi e sui diversi graffi, qualcuno vecchio, qualcun altro più recente, sulle mani dalla forma elegante con le unghie smangiucchiate.
Le assi del pavimento di quella stanza sono nude e scricchiolano sotto i loro passi. Draco si morde il labbro, mentre il silenzio quasi totale gli pesa opprimente sulle spalle e gli impedisce di pronunciare anche solo una singola parola, che comunque non riesce a trovare. C'è un odore stantio e stranamente famigliare, lì dentro, che lo riporta a un'epoca in cui di certo Harry Potter non camminava come se fosse stato già sconfitto. Draco inala rumorosamente, nel tentativo di scrollarsi la tensione di dosso e con il desiderio di stringersi il cappotto ancora di più addosso, anche se in casa fa caldo e non riesce a respirare bene.
Si sente un rumore raschiante e, in quel momento, Potter si sporge per tirare su una vecchia finestra a ghigliottina e fischiare in modo complicato. Qualche secondo dopo, il suo gufo da lavoro buono, quello che Janice chiama Esmeralda, anche se è un maschio, sguscia dentro la stanza e si posa sulla spalla di Potter.
"Esme! Piccolo bastardo traditore che non sei altro!" rantola Draco, mentre il gufo mordicchia l'orecchio di Potter e poi gira la testa verso Draco per guardarlo con disapprovazione.
Potter scoppia in una risata brusca che stupisce Draco più di quanto dovrebbe. "L'hai chiamato Esme, Malfoy?" dice, poi solleva le sopracciglia e l'ilarità gli illumina di nuovo il volto, solo per mezzo secondo. "Lo sai che è un maschio, vero?"
Per nessuna valida ragione, un delicato rossore comincia a spandersi su un lato del collo di Draco. Spera davvero che il colletto alzato riesca a nasconderlo alla vista dell'altro.
"Sì, certo. La mia segretaria è...lascia stare, Potter. Ti sollecito a ridarmelo immediatamente. Compratene uno tuo," scatta infine, controllando a malapena la tentazione di sbattere i piedi a terra.
"Io un gufo ce l'ho," precisa Potter e con il dito indica il grande esemplare di allocco nascosto in un angolo alle spalle di Draco, che dorme con la testa sotto l'ala. "Non è colpa mia se il tuo non vuole tornare da te e di certo non è colpa mia se maltratti i tuoi gufi," aggiunge, con tono cupo.
"Non lo faccio assolutamente!" si adira Draco. "E comunque, il problema non sono i gufi."
Le palpebre dell'altro sbattono lentamente. "Giusto."
Potter attira una gabbietta dall'altra parte della stanza con quello che sembra essere un movimento pigro della mano: Draco lo osserva, colpito e ferito allo stesso tempo. Harry spintona dolcemente Esme per farlo entrare in gabba e chiude lo sportellino, poi la porge a Draco, insieme al gufo traditore al suo interno.
"Solo che mi era parso che i gufi fossero il problema," spiega, muovendo e arricciando appena il naso, come se stesse per sbadigliare.
"No. Il problema sono le lettere. Le lettere, Potter." Draco non può fare a meno di sentirsi nient'affatto in controllo della situazione e per quanto questo non sia nulla di nuovo, sa di avere ragione e che quello dovrebbe almeno contare qualcosa.
Con un sospiro, Potter si strofina la faccia e fissa Draco con uno sguardo inquisitorio, poi sembra ripensarci e si gira senza una parola, marciando fuori dalla stanza con un minimo di interesse in più rispetto a quello che aveva quando vi era entrato.
Draco rimane in contemplazione della soglia vuota per qualche attimo: si chiede se Potter tratti tutti i suoi ospiti in quel modo, ovvero che si aspetti che lo seguano per la casa in silenzio. In silenzio reverenziale e adorante, pondera. Con un verso di disappunto rumoroso, solleva la gabbia per potersela sistemare tra le braccia e poi si reca in cerca di Potter.
"Le hai almeno lette?" gli chiede, quando lo trova in cucina, determinato a iniziare per primo la conversazione. L'arte del dibattere, dell'argomentare, è una delle poche cose utili che suo padre gli ha insegnato ed è un'arte nella quale eccelle, di solito. Potter, come ogni cazzo di volta, è un caso speciale.
"Lette che?" Non si gira nemmeno, rimanendo davanti al bancone intento a spingere il tappo di una caffettiera a filtropressa d'argento brillante sul fondo. Accanto a essa, vi è una tazza e Draco sospetta che non sia per lui.
"Lette che," borbotta tra sé e sé, furioso. Le sue dita stringono la presa sulla gabbia di Esme e le sbarre metalliche affondano nella sua pelle. "Santo cielo, quanto sei insopportabile."
"Allora sentiti libero di andartene," sbotta Potter, versando il caffè, che riempie la cucina dell'aroma ricco e amaro di qualcosa di fresco e pensato per una persona sola, immagina Draco. "Sei tu che spezzi la mia giornata con le tue accuse e sei tu quello che mi piomba dentro casa senza invito. Nessuno ti forza a rimanere qui, Malfoy. Non mi piaci e io non piaccio a te e non ha senso che..."
"C'è chi mi forza," lo interrompe Draco, preferendo educatamente non commentare sul fatto che si disprezzino a vicenda. È sicuramente vero, ma ammetterlo o cercare di negarlo non lo aiuterà. "La presidentessa Cholmondely è piuttosto insistente affinché tu partecipi a questo evento e visto che è mia responsabilità assicurarmene..." fa una pausa, spostando di nuovo da una mano all'altra la gabbia e piantando gli occhi sul retro della t-shirt grigia di Potter. "Lo sai, è davvero maleducato dare le spalle a qualcuno che ti sta parlando, Potter. E sai che altro è maleducato? Non rispondere a..."
"Alle tue lettere?" propone Potter, voltandosi. Fissa Draco dall'alto al basso, come se stesse analizzando il suo cipiglio, il suo cappotto e la sua presa goffa sulla gabbia che ora contiene un Esme urlante. Draco impiega un secondo per rendersi conto che gli sta porgendo la tazza colma di caffè fumante: quel gesto è in completa opposizione con l'espressione infastidita di Potter.
Confuso, Draco si arrende e posa a terra la gabbia, poi prende la tazza e la avvolge con le mani fredde, combattendo l'esigenza di lanciare un paio di Incantesimi Rilevatori per assicurarsi che possa berlo.
"Non c'è niente," dice Potter, alzando gli occhi al cielo. "Non mi metto ad avvelenare le persone, anche se non mi piacciono. Anche se indossano un pomposo cappotto invernale nelle giornate di sole."
"Fa freddo fuori," ribatte Draco, un po' più sulla difensiva di quanto avrebbe voluto essere. Dubita che nemmeno Potter avrebbe voglia di discutere con Janice sulla questione cappotto.
L'altro scrolla le spalle. "Non esco."
Draco sbatte le palpebre: la tazza ora gli brucia le dita, ma non riesce a posarla e ad allontanare lo sguardo Potter. "Non esci?"
"No."
"Per niente?"
"No, Malfoy, sei sordo?" Incrocia di nuovo le braccia al petto. "Adesso, bevi quel cazzo di caffè oppure ridammelo, perché è roba buona e non mi va che lo sprechi."
Sbigottito, Draco prende un cauto sorso di caffè. È nero, appena dolcificato, ha un sapore ottimo, scende giù per la gola con facilità e gli riscalda lo stomaco, lasciandogli nella bocca un retrogusto morbido e con un sentore di cacao. Sospira, deliziato e, solo per un attimo, si dimentica di essere nella cucina di Harry Potter, si dimentica che gli ha rubato il suo gufo buono e si dimentica di essere ancora furioso per tutta la storia delle lettere non risposte.
È solo quando si sente uno scricchiolio sordo che Draco alza gli occhi in tempo per vedere Potter accigliarsi e far scattare una mano verso l'alto per chiudere la credenza leggermente aperta sopra la sua testa. Lascia la mano lì per diversi secondi, poi la toglie dando un paio di colpi decisi sullo sportello di mogano scuro. Sembra quasi che stiano facendo conversazione e, se non avesse alcun senso, Draco giurerebbe che sia così. Forse Potter è davvero impazzito: non sarebbe stano che Granger gli mentisse, dopo tutto.
Draco lo fissa dall'altra parte della cucina e Potter ricambia pacato lo sguardo, con le mani nelle tasche, come se non fosse successo nulla di insolito. E poi si ricorda.
"Davvero non esci? Per niente?"
"Sai cosa, Malfoy? Parliamo delle lettere. Fa' una bella scenata, riprenditi il gufo e la tua...personalità e lasciami in pace," dice Potter, strofinandosi di nuovo la faccia con un gesto stanco.
"Perché mi hai fatto il caffè?" gli chiede, di nuovo prima che scatti il suo solito filtro. Può solo prendersela con quel caffè ridicolmente buono e con il modo deciso in cui lo sta fissando l'altro.
"Buone maniere," borbotta Potter, con la mano davanti alla bocca.
"Sei stanco."
"E a te, che cazzo te ne frega?"
In quel momento, ha gli occhi fiammeggianti e Draco non sa se ritirarsi o combattere. Alla fine, non fa nessuna delle due cose. Si ricompone, un po' a fatica e parla.
"Potter, adesso ti parlerò del Galà. E dei poveri bambini abbandonati. E anche un po' delle lettere. E poi, tu mi dirai perché ti faccia così tanto piacere venirci e mi dirai che marca di caffè è questa e poi io me ne andrò, così tu potrai rimetterti ad accarezzare la credenza in santa pace." Draco si ferma. "Che ne dici?"
"Basta che ti spicci, Malfoy," risponde Potter, appoggiandosi al bancone e facendo un altro sbadiglio.
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